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Non solo una prospettiva vittimocentrica: le proiezioni garantistiche sottese all’art 3 Cedu.

LA TUTELA DEI DIRITTI FONDAMENTALI ATTRAVERSO IL DIRITTO PENALE

3. Non solo una prospettiva vittimocentrica: le proiezioni garantistiche sottese all’art 3 Cedu.

Nel corso dei precedenti paragrafi è emerso come dall’incontro tra i diritti umani sanciti dagli artt. 2 e 3 della CEDU e il diritto penale si dischiudano scenari di tutela differenti. Oltre alla valorizzazione delle istanze di cui è portatrice la vittima del reato, le due norme convenzionali fanno emergere un nucleo duro di proiezioni garantistiche che investe il delicatissimo territorio dell’esecuzione della pena e dei diritti violati ai soggetti che, proprio perché in stato di detenzione, sono particolarmente vulnerabili.

«Avere in custodia una persona significa - anzitutto -

custodirla»182, significa proteggere e rispettare il suo corpo e la sua

psiche. Occorrerebbe, pertanto «salvaguardare primariamente la vita, l’integrità fisica, la salute e la dignità dei detenuti»183 e garantire il senso di rieducazione della pena. A tal proposito, è stato osservato come ciò che rimane del terzo comma dell’art 27 Cost sia ormai solo una dimensione meramente utopistica perché, come si vedrà, «la realtà

       

182 S.CARNEVALE, Morire in carcere e morire di carcere. Alcune riflessioni intorno agli abusi

sulle persone private della libertà, in F.CORLEONE,A.PUGIOTTO, (a cura di), Il delitto della pena.

Pena di morte ed ergastolo, vittime del reato e del carcere, Roma, 2012, p. 207.

dell’esecuzione della pena in Italia è decisamente distopica.»184 Il sistema carcerario italiano è ormai tragicamente imploso: al già citato problema del sovraffollamento carcerario si uniscono le drammatiche condizioni di vita dei detenuti; allarmante è il numero dei suicidi in carcere e sempre più frequenti sono i casi di maltrattamenti da parte degli agenti di polizia penitenziaria. In questo contesto «la morte per suicidio non è cosa molto diversa dalla morte per abuso di potere, se

quel suicidio è comunque riconducibile ad uno stato di privazione della libertà personale che non rispetti la legalità dell’ordinamento»185.

Le responsabilità dello Stato non sono da imputare solo agli organi che amministrano il sistema penitenziario. Occorre, infatti, chiamare in causa direttamente il legislatore italiano e le politiche criminali attuate negli ultimi vent’anni «volte alla ricerca di un consenso elettorale fondato sulla protezione dal “nemico” ( e della tutela dell’amico)». Si è creato «un sistema “a due velocità” introducendo reati impunibili, resi innocui da leggi facete, e reati eccessivamente puniti, al confine tra repressione feroce e diritto

       

184 L.RISICATO, La pena perpetua tra crisi della finalità rieducativa e tradimento del senso di

umanità, in Riv. it. dir. proc. pen., 3/2015, p 1239.

185 A.PUGIOTTO, Aprire le celle alla Costituzione, in F.CORLEONE,A.PUGIOTTO, (a cura di), Il

penale simbolico186». Il sistema penale, ispirandosi al paradigma “amico-nemico”, seleziona i destinatari della repressione, individuandoli in relazione all’appartenenza a specifiche categorie sociali187.

Siamo dinanzi a politiche che «generano violazioni dei diritti umani per approfondimento delle diseguaglianze188» e non si tratta di un dato tragicamente casuale il fatto che, di regola, le morti sospette in carcere colpiscano prevalentemente persone con storie di tossicodipendenza, con disagi di carattere psichiatrico o stranieri e che si tratti sempre di soggetti ancora solo accusati o condannati per reati bagatellari, come piccoli furti o detenzione di modiche quantità di sostanze stupefacenti.

La breve analisi delle condizioni in cui versa il sistema carcerario italiano dà la possibilità di cogliere il motivo per cui, in

       

186 L’amara ed emblematica riflessione è di L.RISICATO, La pena perpetua tra crisi della finalità

rieducativa e tradimento del senso di umanità, op. cit., p 1240; critiche incisive alle «riforme

legislative dai contenuti poco coerenti e dagli esiti talvolta deludenti» che portano alla «progressiva affermazione di un diritto penale a due velocità, atto mostrare un volto mite per la criminalità economica in senso lato (…) e un volto arcigno con la criminalità comune convenzionale» si rinvengono in G.MANNOZZI, Diritti dichiarati e diritti violati: teoria e prassi

della sanzione penale al cospetto della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, op. cit., 335.

Sul diritto penale del nemico significative anche le riflessioni di D.PULITANÒ ( ID, La cultura del

controllo. Uno sguardo sulla storia recente del sistema penale italiano, in A.CERETTI (a cura di),

Pena, controllo sociale e modernità nel pensiero di David Garland, Milano, 2005, p. 109.

187 Cfr. ad esempio G. GATTA, Aggravante della “clandestinità” (art 61, n. 11-bis c.p.):

uguaglianza calpestata, in Riv. it. dir. proc. pen., 2009, 713 ss.

188 G. MANNOZZI, Diritti dichiarati e diritti violati: teoria e prassi della sanzione penale al

questo contesto, le violazioni dell’art 2 e 3 CEDU avvengano con notevole frequenza e con rilevante poliedricità.

Analizzando la casistica giurisprudenziale, infatti, sarà possibile evidenziare come l’Italia sia stata condannata, ex art 3 CEDU, non solo a causa del sovraffollamento carcerario189, ma anche per violenze perpetrate a danno dei detenuti da agenti di polizia penitenziaria.

Nel caso Saba c. Italia190, la Corte Edu accerta che episodi caratterizzati da una “violenza inumana” avevano avuto come sede esclusiva proprio l’istituto penitenziario di Sassari. «Nel corso di quelle che avrebbero dovuto essere soltanto una perquisizione generale e un’operazione di trasferimento di alcuni detenuti, accompagnate dalla presentazione del nuovo comandante, i detenuti erano stati spostati dai luoghi in cui si trovavano e sottoposti ad atti di violenza gratuita. Alcuni detenuti erano stati costretti a spogliarsi, erano stati ammanettati, insultati, percossi e sottoposti ad umiliazioni. Secondo il tribunale, si trattava di un “tunnel degli orrori”»191.

       

189 Già prima della sentenza Torreggiani, il sovraffollamento carcerario è stato al centro di

un’altra sentenza di condanna per violazione dell’art 3, ci si riferisce, in particolare a C. eur. dir. umani, 16 luglio 2009, Sulejmanovic c. Italia; nella sentenza Scoppola c. Italia (C. eur. dir. umani, 10 giugno 2008, Scoppola c. Italia) l’Italia è condannata per aver mantenuto il detenuto, anziano e disabile, in condizioni detentive inidonee a garantire minime funzioni di vita; l’incompatibilità tra il regime detentivo e le condizioni di salute del detenuto sono alla base di altre pronunce : C. eur. dir. umani, 29 gennaio 2013, Cirillo c. Italia e C. eur. dir. umani, 11 febbraio 2014, Contrada c.

Italia.

190 Corte EDU, 1° luglio 2014, Saba c. Italia,

Va osservato come, già a partire dalla sentenza Torreggiani192, si era attivato un processo di espansione dei diritti fondamentali dei detenuti e la sentenza Saba non fa che sottolineare «l’urgenza di estendere questo processo di rinnovamento anche sul terreno degli obblighi di tutela penale che discendono dall’art 3 della Convenzione.»193 In questo contesto, fondamentale rilievo si è sempre assegnato al già citato concetto di dignità umana, utilizzato come parametro per verificare la presenza di una violazione dell’art 3 CEDU.

Nel 1978, con la sentenza Tyrer, in particolare, la Corte europea individuava uno dei presupposti per ritenere integrata la lesione della dignità dell’uomo nel fatto che lo stesso fosse stato considerato “un oggetto nelle mani dell’autorità”194.

In altre pronunce la Corte pone l’accento sulla compatibilità del regime carcerario con particolari condizioni di salute del detenuto; vedremo come l’interesse dei giudici di Strasburgo abbia avuto ad oggetto anche l’ergastolo, la detenzione amministrativa e gli abusi nei

       

192 Corte EDU, 8 gennaio 2013, Torreggiani e altri c. Italia.

193 A. BALSAMO, L’art 3 della CEDU e il sistema italiano della prescrizione: una riforma

necessaria, cit., p. 3929.

CIE, la gestione degli sbarchi a Lampedusa195, e sarà interessante anche interrogarsi sulla compatibilità del regime detentivo del 41 bis con l’art 3, regime che autorevoli studiosi hanno definito tortura democratica196, ma rispetto al quale, ancora, non si registrano sentenze di condanna della Corte nei confronti dell’Italia.

4. Gli obblighi convenzionali di tutela penale: gli obblighi negativi

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