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4. Il popolamento dalla tarda Antichità al primo alto Medioevo

4.2. La struttura del paesaggio della Val di Pecora

4.2.2. Puntone Vecchio

Qui sono visibili infatti ancora oggi i resti di un edificio termale che doveva appartenere ad un complesso insediativo, portato alla luce negli anni ’30 del XX secolo durante i lavori di recupero delle scorie accumulate nel campo Butelli e che si estendevano fino a questa zona275. Già dalla

relazione di Gamurrini, l’archeologo che nel 1843 276 si trovò a visitare i lavori di escavazione delle

scorie, si legge che “uno dei poggetti (…) era tagliato a metà e sotto giacciono le rovine, un altro fu abbattuto fino al piano e rimangono in piedi diversi muri”277; lasciando intendere come i cumuli di

scorie, o almeno gli strati più superficiali, coprissero le strutture della villa.

Quest’ultima, che doveva in origine essere piuttosto ampia, venne identificata come una struttura pluriarticolata di cui tuttavia l’impianto termale costituisce, ad oggi, l’unica parte conservata in elevato, e di cui abbiamo una dettagliata descrizione fatta da Gamurrini 278. Il sito, infatti venne

ulteriormente danneggiato dalla escavazione del canale delle acque reflue, eseguita nel 1962 dalla Montecatini, che asportò le strutture esistenti aldilà dell’attuale fosso, compromettendo irreparabilmente l’articolazione originaria del sito.

275 Cucini 1985 p.177; Balestri-Magagnini 1981, p.70.

276 Relazione presentata alla Divisone delle antichità del Ministero della pubblica istruzione in data 14 giugno 1843 (Baiocco 1990, p. 102).

277 Segue la denuncia di come gli ingegneri del Genio Civile “avevano scoperto i cumuli e sfasciato apposta gli antichi edifizi, per riempire di quelle macerie alcuni punti del Padule di Scarlino”. 278 Franco Cambi, che condusse sul sito alcuni trincee esplorative, ipotizza che questo edificio sia da mettere in relazione con l’insediamento rinvenuto presso il Puntone Nuovo, a circa 700 m in direzione sud, identificabile con la statio di Manliana, (Cambi 2004), per la cui descrizione si veda oltre.

Questa zona, negli anni ha restituito diversi materiali ceramici e vitrei associati a materiale da costruzione, quali tegole e tubuli a sezione circolari e mattoncini da suspensurae o colonne, oltre a lastre da rivestimento parietale o da pavimento279, che rafforzano l’identificazione di questo

complesso con una nucleo abitativo di rango elevato risalente alla piena età romano imperiale. I materiali restituiti, e le ceramiche più nello specifico, attestano un’occupazione di questa struttura fino agli inizi del III secolo280, periodo oltre il quale la villa, diversamente dalla limitrofa area di

accumulo delle scorie, non sembra più essere insediata.

Tale insediamento, analogamente all’area di accumulo delle scorie di Poggetti Butelli, doveva sorgere lungo il cosiddetto tombolo costiero, ovvero una lingua di terra asciutta compresa tra l’area acquitrinosa del Padule di Scarlino ed il mare, attraversata, a partire dalla fine del III secolo a.C., dal tracciato della via Aurelia vetus281. A sostegno di tale ipotesi, oltre alle indicazioni riportate

nelle relazioni dell'ingegnere Alfredo Baccarini, preposto ai lavori di bonifica del padule, una valida testimonianza si ritrova, ancora una volta, nella descrizione fornita dall’archeologo Gamurrini quando nel 1893 si trovò a visitare il luogo. A proposito dei poggetti di scorie, nella sua relazione si legge che essi “fronteggiano la via Emilia”282, nome con il quale nella cartografia ottocentesca viene

indicata la via Aemilia Scauri, che in questo tratto poteva corrispondere allo stesso tracciato della via Aurelia283.

La documentazione medievale, e più precisamente il Breve Pisani Communis del 1286, tramanda notizie sull’esistenza, in questa zona, di un lastricato stradale posto non oltre 200 metri dalla attuale linea di costa; per quanto si riferisca ad una cronologia tarda, è comunque interessante notare che il documento riporta la necessità di contrassegnare bonis longis palis quel tratto di strada (silicem) che stava sprofondando dentro il padule di Portiglioni, a causa di un fenomeno di bradisismo, in modo che i viaggiatori potessero percorrerla anche quando, con la alta marea, il livello dell’acqua aumentava fino a coprirla284.

279 Si riconoscono lastre in opus sectile realizzate con una notevole varietà di marmi policromi, tessere per mosaico bianche e di diverse cromie, intonaci di “quarto stile pompeiano”, stucchi, vetri per finestra Cucini 1985, p. 177).

280 Oltre alla sigillata italica, tardoitalica, ed anfore dressel 2/4, la ceramica africana è presente sul sito con forme da mensa di sola produzione A2 (piatto Hayes 27), e da cucina tra cui si riconoscono piatti/coperchio Ostia I, fig. 261, Ostia III, fig. 322 e frammenti di casseruole non meglio tipologizzabili.

281 Sulla ricostruzione del tracciato viario in questa zona si veda da ultimo Ponta 2006, pp. 453-468. con bibliografia precedente.

282 Relazione presentata alla Divisone delle antichità del Ministero della pubblica istruzione in data 14 giugno 1843 (Baiocco 1990, p. 102).

283 Ponta 2006, pp. 453-468.

284 Tra le indicazioni riportate nel documento si ritrova, inoltre, la necessità che le comunità di Piombino, Vignale, Campiglia, Scarlino, Suvereto, Castiglione della Pescaia e Abbazia al Fango provvedessero ad ampliare e risistemare la strada. Anche il Repetti parla di un lastrico di antica strada sommerso nell’attuale padule e in parte visibile con la bassa marea, senza però precisare se il lastricato sommerso appartenesse alla via Aurelia o alla Emilia. Lo studio effettuato da chi scrive sulle foto aeree di questa area ha messo in evidenza una vistosa anomalia, all’interno dell’attuale Padule, rettilinea, con andamento parallelo alla costa, che potrebbe essere la traccia del lastricato sommerso di cui parla il Repetti e della silicem del Breve Pisanis. La sua localizzazione in una area attualmente interna al Padule è da attribuirsi ad un progressivo fenomeno di impaludamento dovette interessare zone sempre più ampie, un tempo asciutte.