4. Il popolamento dalla tarda Antichità al primo alto Medioevo
4.3. Il territorio di Roccastrada
Il limite orientale del territorio interno da cui provengono dati utili per la tematica affrontata in questa ricerca è costituito dal comprensorio comunale di Roccastrada; come anticipato nella premessa a questo capitolo, la fascia compresa tra quest’ultimo ed il monterotondino, che corrisponde al territorio di Montieri, allo stato attuale delle ricerche non può essere inserito all’interno del campione utilizzato.
Nello specifico, nella Valle del Bruna e Ombrone, negli anni ’80 del Novecento, vennero svolte da Silvia Guideri alcune campagne di ricognizione archeologica, impostate con una specifica transettatura541 volta a cogliere la risalita della maglia insediativa durante l’alto Medieovo, tenendo
il focus puntato sull’individuazione dell’eventuale rapporto tra nuclei abitativi e risorse minerarie. Sebbene la tematica fosse dunque molto specifica, la ricerca sul campo non prescindette da una delle principali peculiarità della archeologia del paesaggio, ovvero la diacronia. La revisione dei dati e dei materiali raccolti eseguita da chi scrive, ha infatti evidenziato un’attenzione particolare a cogliere tutti gli elementi del paesaggio utili ad un’ampia ricostruzione del trend insediativo che portò alla nascita e definizione dei castelli medievali.
La scelta di inserire il campione territoriale di Roccastrada, trova le sue ragioni nella necessità di comprendere quanto si estendesse il modello di popolamento che caratterizza il territorio delle Colline Metallifere verso sud. Tra le indagini effettuate precedentemente nei comprensori circostanti, quelle relative l’area di Roccastrada metteva a disposizione un quantitativo significativo di reperti ceramici e di tematiche interessanti legate al periodo oggetto di questa ricerca.
541 Le indagine effettuati hanno coperto 60 chilometri quadrati che corrispondono al 25 % del territorio interessato; Guideri 2001, pp. 7-10. Sul concetto di transettatura si veda Cambi-Terrenato 1994, in particolare pp. 101-107.
L’area interessata si presenta come un complesso di media ed alta collina (le alture più alte sfiorano gli 800 m s.l.m.), coperte da una fitta vegetazione boschiva, votata per lo più all’allevamento e allo sfruttamento di risorse naturali quali il legname ed i giacimenti metallici542.
Lo sviluppo insediativo di questa area, che rimarrà sempre più periferica rispetto alle zone costiere, viene collocato tra III e II secolo a.C., epoca di poco successiva alla conquista da parte di Roma di Roselle, città di riferimento per il roccastradino già in epoca etrusca. Nel momento di massimo sviluppo della maglia insediativa, a parte l’eccezione della villa del Selvello543, non si registra la
presenza altri insediamenti di alto rango, bensì abitati sparsi disposti nelle aree pianeggianti, talvolta organizzati in vici. L’economia di questi abitati è stata messa in relazione alla possibilità di effettuare coltivazioni in estensione data dalla morfologia stessa del territorio, favorevole per questo tipo di attività. I dati a disposizione attestano un progressivo calo insediativo a partire già dal I secolo a.C. periodo in cui si registra la perdita del 50% degli insediamenti minori e di carattere sparso, sorti nei secoli precedenti, diversamente dai villaggi che continuano a vivere. Con il I secolo d.C. il processo di spopolamento si fa maggiormente incisivo e crea un divario sempre più evidente con la realtà osservata nella pianura follonichese e nella bassa val di Cornia, precedentemente descritta. Una prova concreta di tale tendenza è costituita dalla quasi mancanza di attestazioni di
542 Benevnuti, Guideri, Mascaro 1991.
543 Si tratta di un insediamento che occupa una superficie complessiva di 10000 mq caratterizzata da una lunga occupazione compresa tra il II secolo a.C. e il V d.C. (Guideri 2001, p. 15). Benché ricadente all’interno del comprensorio delle Colline Metallifere, perlopiù di ambito populoniese, l’area di pianura compresa tra il torrente Asina e fiume Bruna, in cui è localizzato il sito, dal punto di vista socio-economico e geografico è riferibile maggiormente alla realtà rosellana e vetuloniese.
produzioni ceramiche africane che, come visto, dal II-III secolo d.C. risultano invece essere particolarmente presenti nel territorio populoniese544.
Il processo di contrazione della maglia insediativa, avviato dunque prima della fatidica crisi agraria del III secolo, che contraddistingue questo comprensorio, interessò le aree di pianura che con il II secolo risultano essere sempre più spopolate a favore di uno spostamento degli abitati a quote collinari che sopravviveranno in alcuni casi fino al VI-VII secolo.
Nello specifico si tratta di insediamenti a carattere accentrato che si presentano in superficie come aree di concentrazione di materiale ceramico misto a laterizi, localizzati per lo più sul versante occidentale della Valle dell’Ombrone. La ceramica rinvenuta è costituita maggiormente da produzioni acrome caratterizzata da una sostanziale omogeneità di carattere tipologico e tecnico, osservata tra i vari siti.
Le indagini di superficie hanno evidenziato la presenza di cinque principali insediamenti a carattere accentrato, a cui associano 12 emergenze di minore estensione, che si presentano come piccole concentrazioni di pietre e ceramica, e sono state interpretate come case o capanne.
Rientrano nel primo gruppo i siti di Fornoli (UT 3a), Litiano, Torri (UT 88.1), Rosciano e S. Disagio545.
4.3.15. Fornoli
Fornoli è localizzato in una zona collinare posta a circa 2,5 dal centro abitato di Roccatrada, in direzione sud. Il luogo è conosciuto anche con il toponimo di La Pieve, dovuto alla presenza in quell’area della pieve del castello di Fornoli di cui si trova menzione in una bolla pontificia del 1188546. L’aspetto interessante per la nostra ricerca consiste nella presenza di ceramica tardoromana
ed altomedievale rinvenuta durante le indagini di superficie. Si tratta nella maggioranza dei casi di produzioni acrome, depurate, semi depurate e grezze, a cui sono associati alcuni frammenti di anfore africane e terra sigillata africana; sebbene per quest’ultime le parti conservate non siano diagnostiche, le caratteristiche tecniche consentono di ricondurle all’ultima produzione, ovvero la D, inquadrabile quindi tra V e VI secolo. Per quanto riguarda invece le ceramiche acrome, la tipologia osservata è del tutto simile a quella rinvenuta negli altri siti coevi, ed è costituita in prevalenza da brocche ed alcune forme aperte realizzate con un impasto che varia dal depurato al grezzo, attribuibile ad una produzione locale di cui si dirà più nel dettaglio a breve547. La presenza
di ceramiche riconducibili a cronologie pienamente altomedievali rinvenute nei pressi del castello, posto poco distante dalla concentrazione appena descritta, ha suggerito l’ipotesi che a nostro avviso risulta essere del tutto verosimile, di uno spostamento all’interno del nucleo castrense della popolazione precedentemente stanziata nel sito sottostante548.
544 Tra i materiali revisionati da chi scrive un’eccezione è costituita dal sito di Selvello precedentemente menzionato dove la ceramica africana e presente tanto nella produzione anforica (Africana I, 180-380), che nelle sigillate D, tra le quali si riconoscono: Hayes 91 (450-530, Fig. 3, 3)), Hayes 60 (350-400), Hayes 50 (350-400), Hayes 27 (160-220), Hayes 58 (300-375), Hayes 91c (450-600), Atlante delle forme ceramiche, XXXVI, I (350-400).
545 Di questi insediamenti è stato possibile recuperare, e di conseguenza revisionare, il materiale ceramico soltanto dei siti di Torri e Fornelli. Nei tre restanti casi si fa rifermento a quanto sostenuto da Silvia Guideri (Guideri 2001, pp. 22-23).
546 La prima attestazione come castello risale al 1202: Roccham de Fornori cum corte (Guideri 2001,p. 23). 547 Si veda quanto descritto a proposito di Montorsi (4.3.17).
4.3.16. Torri
Un discorso analogo può essere fatto per il castello di Torri549, posto a circa 4,4 km dal precedente,
in direzione sud-est. Le indagini di superficie condotte in quest’area hanno infatti individuato un insediamento di epoca precedente costituito da 6 unità topografiche di modesta estensione, interpretabile nel suo insieme come un villaggio. I materiali ivi rinvenuti si riferiscono a produzioni acrome tra le quali si riconoscono olle con orlo sagomato a “s” e corpo ovoide, testelli in aroma grezza, brocche con orlo a fascia ed ansa a nastro in depurata e catini dall’orlo rientrante in semidepurata; nel loro insieme questi reperti sono inquadrabili in un arco cronologico compreso tra VII e VIII secolo, analogamente a quanto già osservato per i materiali provenienti dal sito di Fornoli e con i quali condividono una stretta analogia formale e tipologica. Un aspetto molto interessante di questo sito, è costituito dall’associazione di queste produzioni con un gruppo ristretto di ceramiche di epoca romano imperiale tra le quali si distinguono alcuni frammenti di anfora di possibile produzione italica, e pareti sottili non definibili livello tipologico ma riferibili alla produzione altoimperiale. Questo dato avvalorerebbe l’ipotesi che nell’area dove sorgerà il castello di Torri, e dove nell’alto Medioevo aveva sede un villaggio, esistesse una frequentazione di età romana di cui allo stato attuale delle ricerche non è possibile determinare l’entità; il rinvenimento nelle immediate vicinanze di una pestarola, costituisce infine una traccia, seppure labile e di incerta cronologia, di una attività produttiva vinaria svolta in un’area che ad ora risulta essere oltre che isolata anche molto boscosa.
Un altro insediamento che sembra avere avuto una storia simile ai siti precedenti è il castello di Rosciano la cui localizzazione sarebbe da identificare, secondo Romualdo Cardarelli, in corrispondenza del toponimo La Castellaccia550. Nel 1975, durante lavori di realizzazione di alcuni
edifici residenziali, vennero alla luce numerosi conci murari e a frammenti ceramici riconducibili al periodo medievale associati a materiale di epoca romana tra cui sigillata551. Per questo sito non è
stato possibile recuperare il materiale ceramico da revisionare, ma la presenza di questi reperti avvalora, a nostro avviso, l’ipotesi proposta da Silvia Guideri che il castello di Rosciano insistesse nel medesimo luogo occupato, precedentemente, da un edificio di epoca romana.
Lo stessa continuità di occupazione osservata per questi siti tra il primo Medioevo ed i secoli centrali, potrebbe riguardare anche la zona di Sticciano Scalo, ai limiti del territorio di Roccastrada. Nel 1934 in seguito a lavori condotti nella proprietà dei conti Tolomei, in località la Pescaia, vennero messe in luce 4 sepolture di particolare interesse, rispetto ad altre già note ma di cui non rimane traccia, per la presenza di materiali da corredo di maggiore pregio. Tuttavia, già von Hessen552 constatava che i reperti erano andati perduti e dovette quindi affidarsi a quanto pubblicato
in "Notizie degli Scavi”553. Dall’elenco disponibile si evince che i corredi erano costituiti da alcune 549 La prima attestazione risale al 1140 (Guideri 2001, p. 23).
550 Cardarelli 1932, pp. 182-184. Il luogo andrebbe ricercato alla quota di 140 m s.l.m. di Poggio Zenone,, sulla destra idrologica del fiume Bruna, dove si trovano le rovine di una fortificazione di epoca medievale nota appunto con il toponimo La Castellaccia.
551 Per quanto riguarda questo sito non è stato possibile, per chi scrive, recuperare il materiale ceramico da poter revisionare. Curri, che riporta quanto scritto a proposito di questo rinvenimento, non specifica di quale produzione di sigillata si tratti; per questa ragione è ragionevole pensare alla produzione italica diffusa tra la metà del I secolo a.C. ed il II secolo d.C. (Curri 1978, pp. 66-67).
552 Von Hessen 1975, pp. 59-60. 553 Not. Sc.. 1934, p. 66.
brocche in argilla, fibule a disco bronzei, bracciali ugualmente in bronzo ed orecchini a cestello in oro, che trovavano analogie con i reperti delle altre necropoli note del grossetano, quali la Grancia e Casetta di Mota554, permettendo dunque una datazione della necropoli all’età longobarda (VII
secolo). L’aspetto rilevante risiede nel fatto che questa necropoli sarebbe sorta nell’area sottostante l’altura dove, stando alle fonti, nel corso del X secolo si sarebbe originato il castello di Sticciano, confermando dunque, ancora una volta, la tendenza ad insediare, per lungo tempo, le stesse aree.
4.3.17. Montorsi
Nella descrizione dei questi siti che, durante il Medioevo, saranno i principali poli di riferimento territoriale ma che in taluni casi conoscono un’occupazione precedente, abbiamo fatto riferimento ad un determinato gruppo di ceramiche acrome di possibile produzione locale, che costituiscono un minimo comune denominatore per questi villaggi. Tali ceramiche rappresentano un aspetto molto interessante nell’ottica della ricostruzione dell’assetto economico di questo territorio, oltre che insediativo.
Durante le indagini di superficie, in località Montorsi, in un’area pianeggiante posto a circa 800 m ad est del sito della Pieve prima menzionato, in prossimità del torrente Gretano, venne messo in evidenza un deposito archeologico di superficie piuttosto significativo interpretato come area vocata alla produzione di ceramica . Sulla superficie erano infatti visibili alcune concentrazioni di materiale ceramico stracotto, privo di segni d’uso, misti a laterizi (UT 102, 105,111, 112). Nella vicinanza di quest’area furono rinvenute altre due evidenze, interpretate come strutture abitative (UT 106, 107).
Nello specifico, per quanta riguarda la parte produttiva, venne individuata un’area di scarico di una fornace, stimata intorno ai 3600 mquadrati, che sulla base dei materiali ceramici associati, venne datata alla tarda Antichità555; i frammenti raccolti ammontano ad un totale di 157, e il 13% è
costituito da scarti di produzione, ovvero materiale distorto ed eccessivamente cotto. Nell’insieme si tratta di ceramica acroma, che in percentuale maggiore appartiene alla classe delle depurate e semidepurate, caratterizzati in un numero significativo di esemplari da superfici color cuoio e anima azzurro-grigio, e solo nel 4% dei casi si riferisce alla classe delle grezze556. Sebbene si tratti di una
produzione acroma, la tecnologia impiegata risulta di buona qualità, come si evince dall’utilizzo del tornio, dalla miscelatura degli impasti ed il buon grado di cottura raggiunto. Tra le forme individuate una percentuale piuttosto alta di riferisce ad una serie di piatti/coperchio e scodelle che presentano una stretta analogia tipologica con le ultime forme di sigillate africane557, a cui si 554 Von Hessen 1971p. 61.
555 Guideri 2000, pp. 12.17.
556 Oltre allo studio preliminare dei reperti effettuato da Silvia Guideri, il contesto ceramico di Montorsi è stato oggetto di analisi archeometriche, effettuate mediante l’utilizzo di microscopio ottico in luce
polarizzata e per un numero limitato di casi con SEM EDS, finalizzate alla definizione delle matrici argillose impiegate. Lo studio è stato condotto da Laura Basile per la sua tesi di laurea specialistica, sotto la
supervisione di Francesca Grassi; per una descrizione dettagliata del lavoro condotto e dei risultati ottenuti si veda Basile et alii 2010, pp. 387-396; Grassi 2010.
557 La revisione effettuata da chi scrive sull’intero campione di materiali ceramici provenienti da contesto di Montorsi, ha messo in evidenza le tipologie di sigillate africane maggiormente imitate; si tratta di piatti Hayes 86, Hayes 87, Hayes 99, Hayes 109 p/c, Hayes 91D, Hayes 103; per una disanima sulla produzione di imitazioni della sigillata africana a scala peninsulare, rimane sempre un valido punto di riferimento Fontana 1994, pp. 83-100.
affiancano catini troncoconici con orlo a sezione triangolare e bordo appuntito. Tra le forme chiuse, quella maggiormente attestata è l’olla monoansata, caratterizzata da corpo globulare e orlo ad “s” con bordo variamente sagomato, associata a boccali con orlo a collarino e ansa a nastro, a tratti leggermente insellata. La presenza di imitazioni di forme di sigillate africane indica un legame ancora saldo tra questa officina e la tradizione tardo-romana; in linea con la tendenza riscontrata a scala nazionale, la produzione di questa officina vede la scelta di realizzare forme aperte e profonde, quali scodelle, atte al consumo di cibi solidi e liquidi maggiormente funzionali, quindi, rispetto ai larghi piatti piani da portata che avevano contraddistinto allo stesso tempo la produzione africana dell’ultimo periodo558. Sulla base delle tipologie ceramiche imitate e delle associazioni con
le forme chiuse, l’attività produttiva di questo impianto viene inquadrata tra VI e VII secolo; questo aspetto ben evidenzia come, in un territorio interno quale è Roccastrada, dove già in periodo romano imperiale i prodotti di importazione erano poco attestati (a differenza di quanto osservato per il vicino territorio populoniese), fossero presenti capacità tecniche di alto livello capaci di produrre suppellettili polifunzionali di buona qualità, caratterizzati ancora da una discreta varietà tipologica, e atti a sopperire ai diversi usi della tavola e della cucina.
Materiali del tutto omogenei per caratteristiche tecniche e tipologiche sono stati individuati nella concentrazione posta a poca distanza dalle evidenze appena descritte, interpretata da Silvia Guideri come struttura abitativa (UT 106) coeva alla fornace (UT 102). L’interpretazione venne data sulla base della presenza di materiale da costruzione e ceramica discretamente conservata, che presentava tracce di uso, diversamente dagli scarti rinvenuti nell’UT 102.
A breve distanza da queste due evidenze, il survey mise in evidenza un altro fortunato deposito di materiale ceramico, questa volta databile all’VIII- X secolo. Era costituito da tre unità topografiche distinte (UT 105-111-112) che nel loro complesso coprivano una superficie di 1500 mquadri. La concentrazione maggiore (UT 105), misurava 1200 mquadri ed era caratterizzata dalla presenza di materiale ceramico stracotto e deforme, associato a laterizi; le altre due evidenze presentavano in superficie frammenti fittili del tutto omogenei con il precedente sito, ma erano prive di laterizi. Un aspetto molto interessante è dato dal fatto che le ceramiche rinvenute presentano, nella percentuale maggiore dei casi, l’utilizzo della medesima matrice argillosa impiegata nella realizzazione della produzione depurata tardoantica, avvalorando l’ipotesi che si possa parlare di una produzione locale che sfrutta per lungo tempo e senza soluzione di continuità, i medesimi affioramenti di argilla559 . I
tre siti hanno restituito un totale di 296 frammenti, di cui l’80% è costituito da ceramica depurata, l’11% da grezza e 9% da scarti di fornace560. Le attestazioni di ceramica dupurata e selezionata
rimangono costanti rispetto alle percentuali della fase tardoantica mentre risultano meno attestate le ceramiche grezze. Per questa fase produttiva le forme chiuse561, rappresentate da olle con breve orlo 558 Fontana 1994, pp. 83-100.
559 Nell’ambito delle ricerche condotte dal progetto ERC nEU-Med è in corso un lavoro di analisi archeometriche effettuate su un campione significativo di ceramiche acrome, datate all’VIII.X secolo e provenienti dal comprensorio delle colline Metallifere grossetane, e le argille ivi affioranti; uno degli obiettivi principali di questo lavoro, che ha in parte costituito l’oggetto della tesi magistrale di Davide Intermite, consiste appunto dell’incrociare le caratteristiche chimico-petrografiche delle ceramiche e della materia prima per definire l’areale di approvvigionamento di questa produzione che è stata, ed è ritenuta, essere di ambito locale. A questo proposito si veda Briano-Fornacelli-Ponta-Russo 2018, pp.101-121; http:// www.neu-med.unisi.it/ tesi .
560 Grassi 2010.
estroflesso realizzata in grezza, e boccali in depurata, sono nettamente in prevalenza rispetto alle forme aperte ora sparite ad eccezione dei soli catini, con orlo leggermente introflesso e bordo variamente sagomato, anch’essi prodotti in depurata con il medesimo impasto impiegato nei boccali e nelle produzioni di epoca precedente.
Come nel caso della fornace di epoca tardoantica (UT 102), anche per questo secondo impianto produttivo è stato messo in correlazione un deposito di materiale ceramico interpretato come struttura abitativa (UT 107). Si gratta di una concentrazione di circa 80 mquadri costituita da olle, brocche e boccali, la cui tipologia e matrici argillose appaiono del tutto analoghe a quelle che caratterizzano gli scarichi della fornace altomedievale (UT 105, 111, 112).
Come già anticipato a proposito dei siti di Rosciano e di Torri, le ceramiche rinvenute negli impianti produttivi di Montorsi sono state considerate come markers per definire l’occupazione dei contesti abitativi del territorio durante la fase di transizione tra Tardoantico e alto Medioevo. La revisione dei materiali effettuata da chi scrive ha, in questo caso, confermato quanto già proposto dagli studi precedenti, riconoscendo la presenza di ceramiche prodotte localmente tanto nei siti principali, che nel Medioevo verranno trasformati in castelli, quanto in corrispondenza dei 12 siti minori che nella maggioranza dei casi possono essere definiti come singole e modeste unità abitative. Il lavoro archeometrico condotto da Laura Basile sulle matrici argillose degli scarti delle fornaci di Montorsi prima menzionato, aveva, in sintesi, evidenziato l’impiego costante delle medesime argille tanto per la fase tardoantica che per quella altomedievale, riconoscendo in alcune caratteristiche petrografiche, quali la presenza di riolite, gli elementi indicativi di una produzione locale562. Inoltre, il confronto autoptico effettuato da Francesca Grassi tra i materiali roccastradini
con altri relativi ad insediamenti d’altura posti a maggior distanza, quali Scarlino e Montemassi, aveva evidenziato alcune analogie tecniche oltre che tipologiche, inducendo ad ipotizzare, per l’alto Medioevo, uno smercio ad ampio raggio della produzione di Roccastrada563. A nostro avviso,
tuttavia, per poter confermare tale ipotesi, è necessario individuare gli affioramenti e le cave di argilla disponibili nei pressi di Montorsi, da campionare e sottoporre ad analisi specifiche così da ottenere i dati necessari a stabilire l’areale di provenienza dei reperti ceramici attestati a Scarlino e