4. Il popolamento dalla tarda Antichità al primo alto Medioevo
4.3. La struttura del paesaggio dell’entroterra
4.3.9. Poggio Sergente
Nelle vicinanze del luogo appena descritto, a meno di un chilometro in direzione est, nei terreni incolti posti alle pendici settentrionali di Poggio Sergente (275 m sl.m.), il survey ha individuato un’area di concentrazione di materiale edilizio (tegole e mattoni) e ceramica (UT 148). Nonostante i frammenti raccolti abbiano dimensioni ridotte e lo stato di conservazione sia piuttosto limitato, il loro studio ha messo in luce produzioni riconducibili ad un arco cronologico piuttosto ampio; è stato infatti possibile distinguere una forma non tipologizzabile di ceramica a vernice nera (III-II secolo a.C.) e, associati ad essa, un numero significativo di frammenti poco caratterizzanti di ceramica comune, da mensa e da cucina, che sulla base delle caratteristiche di impasto e alcuni elementi tipologici sembrano inquadrabili in una generica età romana.
Al fine del nostro studio è interessante notare come tra le poche forme riconoscibili si distingua un piatto/coperchio tipo Ostia IV, fig. 61 in terra sigillata africana, diffuso tra fine IV e V secolo. Quanto emerso dalle indagini sembra delineare per questo sito un’articolazione piuttosto semplice, riferibile ad un edificio abitativo di media dimensione di cui tuttavia, per limiti dovuti alla fitta copertura vegetazionale, è possibile non sia stata individuata la reale estensione.
La presenza di vernice nera indica con chiarezza come il luogo fosse frequentato a partire dall’età tardo-repubblicana, e come lo sia stato, molto probabilmente, durante il periodo imperiale; tuttavia il materiale a disposizione non permette di delineare con precisione le fasi di occupazione di questo insediamento e pertanto non è possibile stabilire se tra la fase più antica e il periodo tardoantico (a cui si riferisce il prodotto africano) ci sia stata o meno una cesura. Ad ogni modo è interessante
notare che, come nel caso del vicino sito del Bastione, questo luogo d’altura, tra la fine del IV e il V secolo, era sede di un nucleo insediativo, la cui la natura ed entità non è tuttavia meglio definibile. Le ragioni di tale scelta potrebbero risiedere, come nel caso precedente, nella posizione particolarmente favorevole ai fini del controllo territoriale che contraddistingue questi rilievi; inoltre il passaggio del Botro La Dirota nelle immediate vicinanze del sito di Poggio del Sergente consente di ipotizzare che anche quest’ultimo rientrasse tra i centri sorti in corrispondenza del tracciato della antica via di collegamento tra la piana del Cornia e il Lago Solfureo, area dalla quale lo stesso doveva proseguire in direzione di Sasso Pisano, adentrandosi in territorio volterrano491.
491 Sulla questione delle confinazioni antiche tra il territorio populoniese e volterrano si vedano Fiumi 1943, pp. 36-48, Idem 1968, p. 46 ss.; Cambi 2002, pp. 9-27; Bacci 2006, pp. 445-451. Per quanto riguarda il sito di Sasso Pisano cfr. Esposito 2005, pp. 64-67; Bacci 2006, p. 447.
4.3.10. Paterno
Un ulteriore insediamento che ha rivestito un ruolo rilevante nelle dinamiche socio-insediativie del monterotondino nel periodo di transizione, è rappresentato dal sito di Paterno. Ci troviamo a poco più di un chilometro in direzione ovest dal centro di Monterotondo Marittimo, in una vasta area collinare orientata a sud-ovest; le indagini di superficie condotte in quest’area tra il 2004 e il 2007 hanno evidenziato la presenza di numerosi materiali archeologici caratterizzati da una notevole diacronia. Tra questi, quelli presi in esame in questa sede per mettere in luce la presenza di popolamento di epoca tardoantica e altomedievale, sono ubicati lungo i versanti sud dei poggi di Paterno e San Martino, ad una quota compresa tra 420 e 320 m circa s.l.m, specificatamente nei terreni di pertinenza degli omonimi poderi, oggi perlopiù adibiti a pascolo ed oliveta.
Il comprensorio in questione è caratterizzato dall’affioramento di un consistente banco di argilla che attraversa con orientamento nord-sud la fascia di territorio compresa tra Paterno e Monterotondo, passando da Podere San Giovanni, Podere Colombaia, Buriano e Poggio alle Travi, di cui è noto lo sfruttamento in epoca moderna e per il quale, come avremo modo di argomentare in seguito, si ipotizza un uso anche in epoca antica.
Nel corpus documentario lucchese altomedievale, conservato nell’archivio diocesano cittadino, si fa riferimento per la prima volta a Paterno in un atto del 744-745 con il toponimo Paternu-Paterno, indicando un territorio vasto all’interno del quale erano collocate alcune case492. A partire dagli anni 492 Farinelli 2007, p. 62
760, dagli atti di permuta e donazione, emerge la distinzione tra Paterno minore, dove erano collocate alcune case massaricie e Paterno maiore/magno, dove si trovavano case e patrimoni fondiari; quest’ultimo, dove pare sorgesse un monastero intitolato a San Liberio493, era il luogo dove
venivano rogati i contratti nei quali, in molti casi, i firmatari vengono indicati come residenti in loco Paterno.
Sulla base di attenti studi eseguiti sulle carte diocesane, recentemente è stato ipotizzato che nel corso del VIII secolo il Paterno menzionato dalle fonti fosse un villaggio all’interno del quale risedeva un gruppo di possessores494; questi ultimi, prima dell’affermazione dell’egemonia lucchese
che su questa parte della Maritima divenne definitiva all’inizio del IX secolo495, costituivano per
questo territorio un’élite di riferimento piuttosto chiusa e isolata.
In questo villaggio di Paterno, dove, da quanto si evince dalle fonti, doveva sorgere un edificio ecclesiastico, abitava dunque tale cerchia di possessori, uomini liberi e di origine locale, che avevano integrato con beni fiscali i pochi beni allodali posseduti496, costituiti perlopiù da una casa e
da terre ad essa pertinenti, raramente localizzate al di fuori del comprensorio del villaggio, e in tal caso in un ambito con esso confinante. All’interno di tale élite, caratterizzata da una discreta omogeneità sociale, sono stati distinti tre gruppi familiari che a differenza degli altri, possiedono case massarice e contadini dipendenti stanziati, probabilmente, in case sparse al di fuori del nucleo insediativo principale (il Paterno minor?); questi si riconoscono nei figli di Magnenti, che oltre a case possedevano forse una curtis, nei discendenti di Magnifredi Rosso e Magnifredo. Da queste tre famiglie dipende l’avvio e il patrocinio delle numerose donazioni di beni fatte dai possessores di Paterno in favore della chiesa di San Regolo in Gualdo, controllata dell’episcopato lucchese497.
Tra il 770 ed il 791 la struttura della società locale cambia profondamente, per effetto di un vero e proprio trasferimento di beni fondiari appartenuti ai membri dell’élite locale che da allodieri si trasformano in livellari498 della chiesa. Le tre famiglie più eminenti del villaggio godono per un
breve periodo di un accrescimento di prestigio, come ricompensa del loro impegno a favore di San Regolo, per poi perdersi nel silenzio delle fonti.
493 Di pertinenza della chiesa lucchese di San Frediano, Farinelli 2007, p.62. 494 Collavini 2007a pp. 232-233, Farinelli 2007, p. 62.
495 La presenza lucchese nel territorio monterotondino è di certo più antica, come dimostrerebbero i riferimenti riportati dalle fonti scritte riguardo l’appartenenza dell’area circostante San Regolo e di Paterno al territorio lucchese, nonostante, a questo proposito, non siano sempre univoche; un’ulteriore conferma sarebbe costituita dalla pertinenza alla chiesa lucchese del monastero di San Liberio di Paterno (Farinelli 2007, p. 62).
496 Collavini 2007a, p. 232.
497 Le donazioni ebbero inizio subito dopo la conclusione del sinodo romano svoltosi nel 769 con cui venne avviata la politica antilongobarda del papato (Farinelli 2007, p. 68). Secondo l’autore queste donazioni, che non si fermarono neppure quando il corpo di San Regolo venne traslato nella chiesa di san Martino a Lucca (774), sarebbe il segno di una volontà da parte dei possesores locali di disfarsi di una serie di beni che, nell’ottica di un imminente passaggio all’autorità papale, divenivano meno appetibili. Di diverso avviso sembra essere S.M. Collavini, per il quale il ciclo di donazioni, avviate e perpetrate a lungo dalle élites locali, furono fatte dai nuclei familiari più eminenti nel tentativo di accentrare nelle loro mani
maggiore potere attraverso anche le cariche religiose, e da parte dei possessores di rango meno elevato, per favorire l’ente ecclesiastico che custodiva il corpo di San Regolo e rafforzare, di conseguenza, il culto a lui dedicato; nello specifico si rimanda a Collavini 2007a, pp. 231-247.
Nelle dinamiche sociali e politiche del territorio il peso di Paterno viene dunque a scemare; nella documentazione scritta le menzioni al villaggio si fanno sempre più rade e nella maggioranza dei casi si riferiscono alla presenza di case localizzate in loco et finibus ubi dicitur Paterno, dipendenti dalla corte episcopale lucchese e condotte da massari locali 499, da identificare forse nei discendenti
degli antichi possesores.
L’ultimo riferimento a Paterno è del 1158, in esso il sito viene indicato come villa pertinente il castello di Monterotondo, insieme alle vicine località di Buriano e Cagna500.
Le indagini condotte nei campi posti intorno ai poderi Paterno e San Martino hanno messo in luce 17 UT, di cui 10 a carattere insediativo (Fig. 11); queste sono localizzate lungo il versante sud orientale del poggio di Paterno e San Martino, in un’area che misura circa 30 ha, adibita a pascolo e oliveta.
Le 10 UT in questione si presentano come 5 grandi concentrazione di materiale fittile, a cui se ne associano 3 di minore rilevanze, e 2 aree di labile spargimento ceramico. Le 5 evidenze più significative si trovano, in un caso a poche centinaia di metri a nord-ovest di podere San Martino (UT 424), e nei restanti 4 nella fascia di terreni compresi tra Podere Paterno a sud, e la strada provinciale che porta al paese a nord ( UT 258, 325, 413, 323).
Sulla base delle tipologie di materiale rinvenuto, dell'estensione delle aree interessate e della densità di frammenti, esse sono state interpretate come insediamenti di medie dimensioni, probabilmente fattorie, all’interno dei quali la differente distribuzione delle produzioni ceramiche permette di ipotizzare la presenza di ambienti abitativi distinti da altri a carattere produttivo e di stoccaggio. Quanto alla datazione di queste evidenze, esse sono caratterizzate dalla presenza di materiale ceramico ascrivibile ad un ampio arco cronologico che suggerisce una occupazione di queste aree dalla tarda Età Repubblicana fino all’Alto Medioevo e, in taluni casi, anche oltre.
In merito alle tre concentrazioni minori (UT 416, 259, 68), possiamo notare che due di queste (259, 416) sono localizzate a poca distanza dagli insediamenti maggiori (rispettivamente UT 325 e 258), e restituiscono analoghi materiali ceramici; per questa ragione si ritiene che possano essere unità abitative (UT 259) o di servizio (UT 416), in qualche modo pertinenti alle medesime fattorie. La terza UT infine, composta da un numero poco rilevante di frammenti di piccola dimensione, si trova in un’area isolata dal resto del sito, a circa 160 m a sud-ovest del Podere Paterno, ed è dunque plausibile che possa trattarsi di una unità monofamiliare marginale.
Per quanto riguarda infine le 7 evidenze di carattere non abitativo riscontrate in un’area di circa 1,500 mq, posta a 500 m a sud-ovest da podere Paterno, si tratta di due allineamenti murari, probabilmente muri di terrazzamento relativi alle attività poderali, di due opere di sistemazione stradale, e di un punto di cava di argilla, oltre a una fornace per la produzione di laterizi che, da un’analisi sommaria delle caratteristiche costruttive e materiali associati, è stata datata all’Età Moderna (UT 334).
499 Ci riferiamo ai documenti della seconda metà del X secolo, Farinelli 2007, p. 63, 500 Idem, p. 63.
I reperti ceramici rinvenuti testimoniano una lunga e stabile occupazione dal IV secolo a.C. al Medioevo501.
La tarda Antichità testimoniata ancora una volta dall’arrivo di merci di importazione sia regionale, (come indica la presenza di un’anfora di Empoli, UT 323, prodotta nelle officine del Valdarno e nel livornese tra fine II e V secolo d.C.), sia di ampio raggio come la scodella Hayes 105, n.13(UT 258; Tav.1, 1), prodotta in Africa settentrionale tra il 580/600- 660 d.C. A queste produzioni possono essere associati anche alcuni dei frammenti non meglio tipologizzabili di anfore africane, precedentemente menzionate e attribuite al II-V secolo, periodo di loro massima diffusione sulle coste tirreniche e immediato entroterra.
Alle merci di importazione si affiancano alcuni prodotti da cucina, quali le olle dotate di orlo a tesa e alloggio per il coperchio e quelle globulari con bordi nastriformi, diffuse tra la metà del V e il VII secolo502, realizzate con impasti grezzi e semidepurati (UT 258), associate a forme monoansate dove
la sezione dell’ansa è a nastro solcato (UT 323).
Sempre all’orizzonte tardoantico va riferita anche la piccola scodella ingobbiata di rosso, dotata di breve orlo estroflesso con alloggio per coperchio (UT 413, Tav.7, 1), che trova ampi confronti con reperti provenienti da contesti di V-VII secolo503, realizzati anche senza il rivestimento delle
superfici.
Quanto alla fase altomedievale, è interessante notare come la vivacità emersa dalla fonti scritte per il villaggio di Paterno trovi una precisa corrispondenza con il rinvenimento, sul sito in questione, di materiali ceramici ascrivibili al medesimo periodo.
Si tratta di produzioni da cucina, atte alla preparazione e alla cottura dei cibi, realizzate con impasti ricchi di calcite, che presenta evidente anima azzurro/grigia. Questi impasti trovano strette corrispondenze con quelli rinvenuti nelle stratigrafie di VIII-X secolo del castello di Cugnano, e con altri provenienti dal territorio monterotondino ascrivibili al medesimo periodo504; sulla base di
questo confronto è stato dunque possibile stabilire un orizzonte cronologico, seppure di massima, ad un numero piuttosto alto di reperti estremamente frammentati (UT 424, 258), a cui si affiancano rinvenimenti più certi. Nello specifico si tratta di grossi recipienti con orlo verticale ed ingrossato, decorati superiormente da motivi a sinusoide incisi a crudo all’interno di una fascia orizzontale (UT 258, 259; Tav.4, 3), che presentano un impasto del tutto omogeneo a quello sopra menzionato, e che
501 Il reperto più antico rinvenuto risale all’età arcaica, e si tratta di una brocchetta etrusco corinzia. Il quantitativo maggiore di reperti è pero costituito da produzioni di età tardo repubblicana, rinvenuti sia nei terreni di Paterno che in altri quattro siti posti sul terrazzamento superiore, in località Moriglioni, e alle sue pendici meridionali; questo aspetto indica come come il popolamento tardoetrusco avesse eletto come luogo insediativo i due pianori, ben esposti a sud, e particolarmente adatti al popolamento.
La disposizione dei materiali di epoca imperiale (perlopiù rappresentata da terra sigillata italica, africa ed anfore), indica invece come la maglia insediativa abbandoni la quota superiore del pianoro di Moriglioni, si concentri prevalentemente nei campi posti intorno a Paterno e San Martino e qui permanga, senza una reale soluzione di continuità, fino ai giorni nostri.
502 Si fa riferimento ai materiali provenienti dal territorio senese (Valenti 1996, Tav. VI, 7)
503 Luni II tav. 129.6 IV-V secolo e oltre; Olcese 1993 p. 203-206,fig. 37; Cantini 2007 tav. 2.6.6., 2.6.20 per VI-VII secolo.
504 Per un discorso più completo si veda il paragrafo 3.2. Un aspetto interessante è costituito dalla notevole corrispondenza di impasti osservata tra questi reperti e alcuni manufatti rinvenuti nelle stratigrafie altomedievali del sito di Rocca degli Alberti (Monterotorndo Marittimo); ringrazio la dott. Luisa Russo per avere messo a mia disposizione il materiale da lei studiato.
trovano stretti confronti con contesti nazionali della prima età longobarda505. Data l’analogia di
impasto riscontrata tra questi reperti e quelli provenienti da siti del territorio monterotondino, è forse possibile ipotizzare che si trattino di produzioni locali ispirate a tipologie e motivi decorativi ampiamente diffusi, nell’alto Medioevo.
Infine, alcuni pareti di manufatti, per lo più brocche/boccali, realizzati in acroma depurata con sottile anima grigia (UT 325, 424, 413, 258), riconducibili a produzioni di pieno XI secolo, suggeriscono che Paterno continui ad essere frequentato, seppure risulti difficile cogliere la natura di tale occupazione; allo stesso modo la presenza di frammenti di maiolica arcaica (UT 68, 258, 413; fine XIII-XIV secolo), e un piatto realizzato in ingobbiata e graffita arcaica ligure (UT 413), di medesima cronologia, sembra suggerire che neppure durante il basso Medioevo Paterno sia del tutto abbandonato.
Infine, il rinvenimento di produzioni tipiche dell’Età Moderna e la tipologia costruttiva delle parti più antiche degli edifici poderali suggerisce, in ultima analisi, che l’aspetto attuale del luogo possa essersi strutturato, in misura maggiore, proprio in questo periodo.
Quanto fino ad ora descritto mette in luce come l’area circostante gli attuali poderi di Paterno e San Martino conosca un’occupazione antropica di origini molto antiche.
Durante la tarda Antichità per il sito di Paterno sembra si possa parlare di un insieme di insediamenti coevi all’interno dei quali si distinguono 5 nuclei maggiori, affiancati da altri di minore estensione, in grado, i primi, di attrarre, ancora in questa fase, merci di importazione africana506 e prodotti di area regionale. L’ipotesi che si tratti di un villaggio, e non di un unico sito, è
suggerita prevalentemente dalla omogenea distribuzione di produzioni ceramiche coeve e analoghe tra loro su ognuno dei siti, soprattutto su quelli maggiori, che annulla, di conseguenza, una possibile distinzione interna di ambienti funzionali da altri di carattere abitativo.
Tale poliarticolazione del nucleo abitativo tardoantico è un’eredità delle fasi precedenti, per le quali i dati indicano una situazione analoga, e rappresenta un elemento di continuità con quella successiva, ovvero l’alto Medioevo; per questo periodo tuttavia sembra di poter leggere la selezione della quota 360-380 m come sede privilegiata per l’insediamento, che sembra invece farsi più labile nelle quote sottostanti, dove prima sorgevano due dei 5 insediamenti maggiori (UT 413, 323). Tuttavia è doveroso considerare che la lunga diacronia osservata su questo sito, a lungo lavorato e a tutt’oggi abitato, è plausibile abbia provocato il rimescolamento dei materiali ceramici di superficie per cui ogni possibile ipotesi riguardante la distribuzione diacronica degli insediamenti e, soprattutto la loro scomparsa durante periodi per i quali è nota la difficoltà di lettura da survey, va letta con cautela.
Ciò che al contrario appare evidente è come durante il VII-VIII secolo Paterno fosse la sede di più nuclei insediativi, e la stessa situazione caratterizza anche la fase pienamente medievale.
La presenza del ricco bacino d’argilla che, come detto precedentemente, attraversa i poggi di Paterno e San Martino con orientamento nord-sud, è stata proposta già in altre sedi507 come ulteriore
e possibile elemento condizionante lo sviluppo e la lunga durata di un polo insediativo di rilievo
505 Si vedano i materiali provenienti dai contesti datati al 568-650 d. C. circa, di S.Giulia a Brescia (Brogiolo. Massa, Portulano, Vitali 1996, Tav. VI, 2-3, p. 28).
506Riguardo al perdurare delle importazioni africane durante la tarda Antichità cfr. Tortorella 1998; Panella 1998; Renzi Rizzo 2005.
quale risulta essere Paterno, la cui economia è probabile che soprattutto in determinate fasi della sua occupazione, si basasse principalmente su attività di tipo agro pastorale508.
Riguardo allo sfruttamento dell'argilla in epoca antica, i dati emersi dal survey non si riferiscono nello specifico a Paterno, bensì a due aree poste nelle sue vicinanze, ovvero a circa 1 Km a sud, in località Poggio alle Travi, e nei pressi di podere Buriano, a circa 600 m in direzione sud-ovest. Nel primo caso i sopralluoghi effettuati nel 2007 hanno messo in luce consistenti segni di estrazione dal banco di argilla ivi affiorante intorno al quale sono state riconosciute tracce di razionalizzazione dello spazio ascrivibili, sulla base dei materiali raccolti, ad un periodo compreso tra la piena Età Imperiale ed il V-VI secolo d.C.; a questa prima fase di occupazione dell’area sembra fare seguito un secondo utilizzo, seppure poco meno consistente, durante il pieno Medioevo.
Quanto a Buriano, il sistema di piccole fornaci di epoca romana individuate nel medesimo anno nei terreni posti a sud del podere, sembra essere la prova dello sfruttamento dell’argilla locale, anche se risulta più difficile stabilire se si tratti di una produzione da laterizi o di ceramica.
Altre evidenze di epoca successiva dimostrano, inoltre, come la vocazione produttiva di quest’area non si esaurisca al periodo più antico; oltre alle testimonianze orali della gente del luogo circa uno sfruttamento intenso del bacino di podere Baracca fino al secondo dopoguerra, e l’attestazione di toponimi “parlanti”, quali Fornace, riportate dalla cartografia, si inseriscono in questo quadro le due fornaci da laterizi rinvenute a Paterno, nei pressi della piccola cava.
La presenza dunque di quattro aree vocate alla escavazione e lavorazione dell’argilla, poste in un raggio di neanche un chilometro dal sito, identifica in questa risorsa una peculiarità che deve aver condizionato a lungo l’economia di quest’area.
Un ulteriore dato che potrebbe confermare come l’argilla sia stata un elemento fondante e di sviluppo per Paterno che, all’interno di questo piccolo “sistema” proposto, si identifica come polo