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L’altare Maggiore della Basilica di San Marco

1.9. Catalogo delle opere 1

Bartolomeo Ferrari, Baccanale di putti preso dall’antico marmo

1794

già coll. Ascanio Molin

Fonti man.: BCPd, Lettera dello Scultore Sig. Bartolommeo Ferrari del 1 Feb.io 1826 di Venezia al Sig. Gio. Cadorin, in Miscellanea XXIV di Scritti Appartenenti Alle Belle Arti, pp. 141-145.

In nessuno degli inventari conservati in Archivio dell’Accademia (AABAVe, Inventari, b. 1, 2 e 3 dal 1870 al 1915) risulta esserci un bassorilievo preso dall’antico dono di Ascanio Molin.

1.2

Bartolomeo Ferrari, Venere ed Adone (2 statue) pietra di Verona (grandezza al vero)

1801

già Trieste, Ubicazione sconosciuta

Font. Man.: BCPd, Lettera dello Scultore Sig. Bartolommeo Ferrari del 1 Feb.io 1826 di Venezia al Sig. Gio. Cadorin, in Miscellanea XXIV di Scritti Appartenenti Alle Belle Arti, pp. 141-145.

Non è stato possibile rintracciare le due opere, oltre l’indicazione manoscritta di Bartolomeo non abbiamo altre informazioni.

1.3

Bartolomeo Ferrari, Altare Anime del Purgatorio (Misericordia – Speranza – Anime del

Purgatorio)

1802-1809 ca.

Zara, Cattedrale di Sant’Anastasia

Fonti Man.: BCPd, Lettera dello Scultore Sig. Bartolommeo Ferrari del 1 Feb.io 1826 di Venezia al Sig. Gio. Cadorin, in Miscellanea XXIV di Scritti Appartenenti Alle Belle Arti., pp. 141-145; BCMC, Mess. P.D. 594 C/V (266), Notizie sulla vita e le opere di Bartolomeo Ferrari; BCBVi, Giovanni da Schio, Persone Memorabili in Vicenza, Ms. 3402, Appendice I, cc. 345

Tra il 1780 e i primi anni del XIX secolo, per volere dell’arcivescovo Giovanni Carsana, la cattedrale gotica di Santa Anastasia subì una serie di restauri di ammodernamento, che portarono ad un nuovo assetto della chiesa cancellando gran parte delle sue caratteristiche gotiche.

Com’era prassi, l’arcivescovo Carsana commissionò a maestranze venete e in particolare veneziane l’esecuzione delle opere di ammodernamento. È così che nel 1806 venne chiamato il marmorista G. Onega per costruire il nuovo altare dedicato alle Anime del Purgatorio. L’altare si contraddistingue all’interno della chiesa per la scelta dei marmi bianche e neri in contrasto coi marmi rosa e bianchi utilizzati negli altari laterali. Al centro dell’altare venne trasferito il quadro del pittore veneziano Jacopo Palma il Giovane, che originariamente si trovava sull’altare ligneo di Sant’Orsola. Oltre all’immagine della santa, il quadro raffigura quelle di San Francesco, San Giuseppe e San Gioacchino.

A decorazione del grande ed imponente altare stanno ai lati due statue in marmo di Carrara raffiguranti la Carità e la Speranza; e a decorazione della mensa un bassorilievo rappresentante le anime del Purgatorio. La figura della Speranza e il bassorilievo sono opera di Bartolomeo Ferrari.

La Speranza, a destra, è effigiata come una giovane donna in piedi, la quale tiene in mano (poggiante a terra) il caratteristico ed unico attributo dell’ancora. Essa indossa un ampio peplo che le lascia scoperte le spalle.

Il bassorilievo, posto a decorazione del fronte dell’altare, rappresenta le Anime del Purgatorio ed è forse uno dei più riusciti bassorilievi di Ferrari. In alto, al centro della scena, domina la figura dell’Arcangelo Michele che, disceso dal Paradiso per ordine divino, indica con la mano sinistra verso l’alto, in quanto luogo divino di sua provenienza e meta di arrivo delle anime che viene a salvare. L’Arcangelo, vestito di una leggiadra veste che rivela un corpo perfetto, con un semplice gesto della mano porta alla vita eterna le anime supplicanti. Per primo si avanza un vecchio, ma ancora vigoroso uomo barbuto in atto di preghiera verso Michele. Dietro di lui un uomo e una donna immersi nelle fiamme si rivolgono all’Arcangelo.

Alla sinistra del bassorilievo, sotto l’Arcangelo, un giovane con le mani incrociate sul petto e lo sguardo rivolto verso l’angelo spera di essere il prossimo chiamato. Dietro di lui altri uomini con gestualità differenti chiedono la salvezza o si disperano, condannati ad aspettare ancora.

In sottofondo, in un mirabile stiacciato, Ferrari fa emergere tra lingue di fuoco altri volti di disperati che implorano salvezza.

1.4

Bartolomeo Ferrari, Madonna del Rosario con due Angeli Marmo di Carrara

1804-1805 ca.

Rovigno, Chiesa Parrocchiale

Fonti man.: BCPd, Lettera dello Scultore Sig. Bartolommeo Ferrari del 1 Feb.io 1826 di Venezia al

Sig. Gio. Cadorin, in Miscellanea XXIV di Scritti Appartenenti Alle Belle Arti, pp. 141-145;

AABAVe, Carte Antonio Diedo, Miscellanea, f. 2, b. 6.

Nella Chiesa di Santa Eufemia a Rovigno, sulla navata destra è presente un altare deldicato alla Madonna del Rosario ma è sicuramente di epoca precedente.

1.5-6-7

Bartolomeo Ferrari, Europa - Africa - Mercurio pietra di Verona

1805-1806

Trieste, Borsa Vecchia

Il Mercurio è firmato sulla base: B. F. F.

Fonti man.: ASTs., Archivio Storico della Camera di Commercio di Trieste (ASCCT), Serie XIII, b. 6, f. 24; BCPd, Lettera dello Scultore Sig. Bartolommeo Ferrari del 1 Feb.io 1826 di Venezia al Sig. Gio. Cadorin, in Miscellanea XXIV di Scritti Appartenenti Alle Belle Arti, pp. 141-145; AABAVe, Carte Antonio Diedo, Miscellanea, b. 6; AABAVe, Artisti, 1860-1877, b. 162, f. Biografie di vari artisti delle Venete province decessi dal principale del secolo presente a tutto l’anno 1874.

La sede della Camera di Commercio, prospiciente su Piazza della Borsa, costituisce uno degli esempi più significativi del Neoclassico triestino.

L’edificio progetto dell’architetto Antonio Mollari213, la cui prima pietra venne posta nel 1802, dopo molte difficoltà venne inaugurato nel 1806, anche se non completo nelle parti decorative. Ha l’aspetto di un tempio greco di stile dorico, dotato di uno spazioso portico con quattro grandi colonne ed un timpano alla sommità.

Le opere scultoree vennero commissionate ad Antonio Bosa nel novembre del 1802, la lettera di contratto prevedeva che Bosa, già attivo in città da qualche anno, consegnasse l’intera decorazione composta da dieci statue nel maggio del 1804214. La decorazione delle borsa si prolungò però per parecchi anni e le dici statue commissionate a Bosa vennero ripartite, nel 1805, anche fra gli scultori Bartolomeo Ferrari e Domenico Banti, amici e colleghi di Bosa a Venezia215.

In momenti diversi nel 1806, i tre scultori consegnarono le loro opere: Ferrari, Europa,

Africa e Mercurio il 21 marzo216; Banti, Vulcano e Asia il 1 luglio217 e Bosa America, Il Genio di

Trieste e Minerva il 5 novembre218.

213 Antonio Mollari (Montolino 1768 -1843). Allievo a Roma di Giuseppe Valadier, arrivò a Trieste nel 1797 dove oltre

a realizzare il Palazzo della Borsa, progetto numerose abitazioni (oggi tutte demolite): quella per il console svizzero de Lellis, le case Chiozza, Dobler e Griot. Negli anni ’30 divenne architetto Camerale e Ingegnere di Acque e Strade nel Dipartimento del Musone per il quale diresse i lavori dopo il sisma del 1832. Lo sappiamo poi attivo a Terracina, dove realizzò il progetto di Antonio sarti per il complesso di San Salvatore. Cfr. MARZIA VIDULLI TORLO, Il Palazzo della

Borsa, in Neoclassico. Arte, architettura e cultura a Trieste 1790 -1840, a cura di F. Caputo, Venezia, Marsilio, 1990,

p. 364.

214 ASTs, Archivio Storico della Camera di Commercio di Trieste (ASCCT), Serie XIII, b. 4, f. 15.

215 Cfr. Il Palazzo della Borsa Vecchia di Trieste 1800-1980 arte e storia, a cura di F. Firmiani, Trieste, Edizioni LINT,

1981, p. 99. Non si è trovato riscontro negli Atti dell’Archivio Storico della Camera di Commercio di Trieste di quegli anni e nemmeno nel Protocollo (Serie V, Protocollo n. 2, 1804-1811).

216 Ivi., b. 6, f. 24, Attestato del 21 marzo 1806. 217 Ivi., Attestato del 26 giugno 1806.

218 Ivi., Attestato del 5 novembre 1806. Le altre statue Danubio, Nettuno, Le Vittorie e i quattro bassorilievi vennero

Nelle edicole al pianterreno della facciata principale sono alloggiate quattro statue (1806): precisamente Europa e Africa scolpite da Bartolomeo Ferrari, Asia da Domenico Banti e America da Antonio Bosa.

A livello delle finestre del piano nobile, decorano la facciata due statue rappresentanti

Vulcano e Mercurio, rispettivamente opera di Banti e di Ferrari.

Sulla facciata, tra le due fasce di statue nelle nicchie, sono posizionati i bassorilievi, realizzati da Bosa raffiguranti, tramite gruppi di piccoli geni con i relativi attributi, il Commercio, la

Navigazione, l’Industria e l’Abbondanza219. Sul frontone, due Vittorie poste a fianco dell’orologio. In alto, sulla balaustra, si ergono altre quattro opere di Bosa: da sinistra a destra il Danubio (via d’acqua già all’epoca considerata fondamentale per lo sviluppo dei traffici)220, il Genio di

Trieste (poggiato sopra uno scudo con scolpito lo stemma della città), Minerva (elmo in capo, testa

di Medusa sul petto, gufo al piede, regge con una mano uno scudo recante un medaglione di Francesco II e con l’altra addita al Genio di Trieste l’immagine del sovrano)221 e Nettuno, protettore dei naviganti e quindi simbolo de traffici marittimi. Danubio e Nettuno, rispettivamente ai due lati estremi della balaustra, si tendono la mano l’un l’altro con lo sguardo rivolto alle due statue centrali. Bartolomeo Ferrari che negli stessi anni aveva realizzato sempre per Trieste il gruppo scultoreo, di due figure separate, Venere a Adone222 (cat. 1.2), il 25 maggio 1805 firma il contratto col quale si impegna a realizzare tre sculture per la decorazione della Borsa, Europa, Africa e

Mercurio. A distanza di meno di un anno, il 21 marzo 1806, Bartolomeo consegna le tre opere

terminate in tempo per l’inaugurazione dell’edificio che avvenne il 6 settembre di quell’anno. La statua colossale dell’Africa è rappresentata nuda, con una pelliccia di leone che le cinge i fianchi e i capelli raccolti in un drappo impreziosito da una collana di perle. Nella mano destra tiene una cornucopia piena di spine di grano, mentre nella mano sinistra un filare di perle (forse di corallo che a quanto dice Cesare Ripa nell’Iconologia “sono ornamenti loro proprij moreschi”). Sempre a quanto dice Ripa, l’Africa viene rappresentata nuda “perché non abbonda molto di ricchezze questo paese”, La presenza del leone sta a dire che “nell’africa di tali animali ve n’è molta copia” e la cornucopia piena di spighe di grano “denota l’abbondanza e fertilità frumentaria”.

Anche la rappresentazione dell’Europa segue, semplificando, i dettami di Ripa: “donna ricchissimamente vestita di habito Regale, […] con una corona in testa”, alla sua sinistra poggiata a terra c’è la cornucopia ricca di frutti, grani, ecc.. Nella mano destra, come ci dimostra la piccola asta che tiene ancora stretta tra le mani, reggeva qualcosa. Ai suoi piedi sulla destra si trovano, un libro e uno scudo. “si veste riccamente d’habito Reale,[…] per la ricchezza ch’è in essa e per essere di forma più varia dell’altra parte del Mondo [...] le più sorti d’armi, il libro.., dimostrano che è sempre stata superiore à l’altre parti del mondo, nell’armi, nelle lettere, e in tutte l’arti liberali”.

Sulla destra, a livello del piano nobile, Mercurio è rigorosamente rappresentato come il protettore dei mercanti: elmo e piedi sono alati, nella mano sinistra tiene il caduceo (simbolo non solo della pace ma anche del commercio, che in essa prospera), in quella destra porta il sacchetto dei denari e ai suoi piedi il gallo, animale sacro a questa divinità.

219 Il tema era stato indicato da Pietro Nobile.

220 La statua rappresentante Danubio venne inizialmente commissionata a Sigismondo Dimeck e poi invece realizzata

da Antonio Bosa e consegnata tra il 1820-21.

221 Il Genio di Trieste e Minerva furono consegnate nel 1806. 222 Le due sculture non sono ancora state individuate.

1.8-9

Bartolomeo Ferrari, La Vergine che presenta al Tempio il bambin Gesù al vecchio Simeone marmo

1806-1809

Tricesimo, Chiesa parrocchiale

Fonti man.: BCPd, Lettera dello Scultore Sig. Bartolommeo Ferrari del 1 Feb.io 1826 di Venezia al Sig. Gio. Cadorin, in Miscellanea XXIV di Scritti Appartenenti Alle Belle Arti, pp. 141-145; BCMC

Mess. P.D. 594 C/V (266), Notizie sulla vita e le opere di Bartolomeo Ferrari; BCBVi, Giovanni da Schio, Persone Memorabili in Vicenza, Ms. 3402, Appendice I, cc. 345;

Bilio: ZANOTTO 1844, pp. 15-16; DE TIPALDO 1845, pp. 286-287; CHIESA 2011, pp. 20-21 (rip. Col.), 23, 39.

Nel 1771 i parrocchiani della pieve di Tricesimo inviarono una petizione al Doge di Venezia affinché potessero erigere una nuova chiesa in sostituzione dell’ormai angusta chiesa gotica del Milleduecento. Nel 1784 (come ricorda la lapide posta al centro della facciata), su progetto dell’architetto Domenico Schiavi (1718-1795)223 furono conclusi i lavori di ammodernamento e il 6 luglio 1789 avvenne la solenne consacrazione con la dedicazione a Maria Vergine. La pala di Jacopo Palma il Giovane raffigurante la Presentazione di Gesù al tempio che decorava l’altare maggiore della chiesa gotica fu traslocata nel quinto altare laterale, mentre per il presbiterio si provvide ad una nuova mensa con tempietto sovrastante ai cui lati vennero poste le statue

223 Domenico Schiavi (1718-1794), architetto di origine veneta, dal 1750 si trasferì a Tolmezzo dove organizzò una vera

e propria impresa impegnata in un’intensa attività edilizia sacra. Formatosi sulla conoscenza dell’architettura della Roma antica, subì l’influenza di Giorgio Massari.

rappresentanti la Madonna con il Bambino e Simeone224. L’altare maggiore è opera in marmo bianco di fine settecento attribuita al gemonese Luigi Pischiutti.

Le due sculture dell’altare vennero realizzate da Ferrari al suo rientro dal viaggio in Toscana che lo vide studiare a Firenze e Carrara tra l’aprile e il settembre del 1806. Lo scultore avrebbe voluto proseguire per Roma, ma gli stretti impegni con Venezia lo costrinsero a tornare in Laguna prima del tempo.

Zanotto in merito alle due statue di Tricesimo scrive: “Madre Vergine e il vecchio Simeone per la chiesa di Tricesimo nel Friulano, le quali mostrano avere sortito il Ferrari anima nata alle inspirazioni del bello, forza, prestezza d’ingegno, slancio d’immaginazione, rettitudine di giudizio, costanza, coraggio, immutabile volontà. Doti che lo serbarono, come Canova, immune dai vizii dell’età e della scuola; doti accordategli dalla Provvidenza, sendo santissimo vero quello che dice il massimo Tullio: Porre Natura nel petto dell’uomo poche scintille generose, e queste essere molte volte compresse dai pravi costumi e dalle male opinioni, se desso, l’uomo, non sa farsi duce a sé stesso, seguendo il sentimento puro ed innato dell'animo”225.

La Vergine, astrazion fatta dal bambino che tiene tra le braccia, richiama per postura ed

abbigliamento il tipo di Demetra e Kore226. Dalla parte opposta il vecchio Simeone non si rifà alla descrizione che ne fa San Luca nel suo Vangelo227, ma a quella dei Vangeli apocrifi che lo indicano come sacerdote o sommo sacerdote ed è quindi abbigliato come tale. Simeone è rappresentato filologicemnete con tutti gli attributi del grande sacerdote: la veste di lino stretta in vita da una cintura, il copricapo con la lamina d’oro posta frontalmente sul turbante sulla quale sono incise le parole “Santo è il Signore”, la tunica senza maniche che arrivava alle ginocchia con in fondo appesi i sonagli alternati da melagrane, l’efod, indumento posto sopra il manto, di lino ricamato dal quale pende il pettorale, un pezzo di stoffa quadrato cucito con lamine d’oro e incastonate dodici pietre preziose disposte su quattro file, simboleggiante le dodici tribù di Israele; i piedi sono rigorosamente scalzi.

Seppur rigide nelle posture, le due figure sono sapientemente rappresentate e in particolare nella fattura delle pieghe.

1.10

Bartolomeo Ferrari, Arco per l’entrata di Napoleone a Venezia 1807

distrutta

Fonti man.: BCBVi, Giovanni da Schio, Persone Memorabili in Vicenza, Ms. 3402, Appendice I, cc. 345.

Biblio.: MORELLI 1808, p. 15; MUTINELLI 1843, p. 131; ZANOTTO 1844, p. 16.

224 ALESSANDRO CHIESA, La pieve di Santa Maria a Tricesimo, Udine, Deputazione di Storia Patria del Friuli, 2011, p.

23.

225 FRANCESCO ZANOTTO, Delle Lodi di Bartolomeo Ferrari Scultore, Venezia, Premiato stabilimento di G. Antonelli,

1844, pp. 15-16;

226 Ne esiste un esemplare di età classica nelle collezioni del Museo Archeologico di Venezia. 227 Vangelo Luca, 2, 22-35.

Nel 1807 Ferrari, oltre a realizzare le due cariatidi per il palco reale della Fenice per la venuta di Napoleone, partecipò alla decorazione dell’arco di Trionfo progettato da Giannantonio Selva che venne posizionato all’imboccatura del Canal Grande, presso la Chiesa di Santa Lucia.

Gli archi di trionfo per accogliere Napoleone erano ormai diventati una tradizione, nel 1805 ne era stato eretto uno a Torino e nel 1807 uno a Milano. Anche Venezia volle il suo effimero Arco di Trionfo, con statue, trofei e vittorie volanti. L’Arco di Trionfo progettato da Selva per l’occasione, si rivelò più elaborato in quanto il suo basamento doveva galleggiare sull’acqua con qualsiasi livello di marea.

A un solo fornice, con un poderoso attico, era sormontato da una vittoria, da una parte, e da genio dall’altra; nello spazio tra l’imposta e l’architrave in sei medaglioni erano rappresentate figure di province dove Napoleone aveva combattuto vittoriosamente: Adda, Adige, Tanaro, Danubio, Sala, Alla. Il basamento era decorato da Vittorie alate a tutto rilievo, in mezzo a copiosi trofei. Sotto l’imposta correvano dei finti bassorilievi dipinti a chiaroscuro, a imitazione dell’Arco di Tito, realizzati da Giuseppe Borsato. Oltre all’Arco, sorgevano dall’acqua anche due colonne rostrate, che, poste ai lati a notevole distanza si appoggiavano alla rive.

“Nella struttura di questo nobilissimo edifizio bene può dirsi senza esagerazione, che in esimia maniera e con approvazione comune vi spiccò l’intelligenza e il buon gusto de’ nostri Accademici di Belle Arti, i quali l’industria loro per ogni migliore riuscita premurosamente vi posero. Il disegno fu del Sig. Giannantonio Selva Professore riputatissimo d’Architettura nell’Accademia, a cui è pure dovuta la soprintendenza ad ogni altro aspetto, fuorchè a’teatrali: l’esecuzione fu di Giuseppe Borsato pittore prospettico, le statue della Vittoria e del Genio sopra l’Attico furono modellate da Antonio Bosa scultore, e le Vittorie colli Trofei fra gl’intercolunnii da Luigi Giandomeneghi e Bartolommeo Ferrari, tutti Membri della Reale Accademia stessa”228.

Il disegno preparatorio è conservato presso il Museo Correr di Venezia.

228 JACOPO MORELLI, Descrizione delle feste celebrate in Venezia per la venuta di S.M.I.R. Napoleone il Massimo,

1.11

Bartolomeo Ferrari, Macchina per la regata in onore di Napoleone 1807

distrutta

Fonti man.: BCBVi, Giovanni da Schio, Persone Memorabili in Vicenza, Ms. 3402, Appendice I, cc. 345.

Biblio.: MORELLI 1808, p. 15; MUTINELLI 1843, p. 131; ZANOTTO 1844, p. 16.

Qualche giorno dopo l’arrivo di Napoleone a Venezia, il 2 dicembre 1807, gli venne organizzata una Regata sul Canal Grande.

La macchina progettata da Giuseppe Borsato venne collocata nell’ansa del Canal Grande, con Ca’Foscari a sinistra e palazzo Balbi a destra: “vi era stato costrutto, con acconcia e nobile invenzione di Giuseppe Borsato, con dipintura di Carlo Neymann Rizzi, e statue del Giandomenichi e Ferrari, tutti artefici assai valenti; a’ quali essendone derivata lode non poca, 1' edifizio rappresentare si è voluto nella tavola col n°. iv. segnata. Sopra sodo imbasamento di rustica forma vedevasi un grande nicchione semicircolare, con volta a cassettoni, da quattro colonne Ioniche sostenuta; nel di cui mezzo la statua di Nettuno posava sopra piedestallo rotondo, che una conchiglia aveva con delfini aggruppativi; ed inferiormente vi era un'apertura arcuata, che a' soli remiganti vincitori dava l'ingresso. A' lati, nel basso de' quali sporgevano due orchestre con suonatori di stromenti a fiato, due nicchie vi aveva, con statue rappresentanti la Forza e la Destrezza. Nel fregio del soprornato trionfi marini a bassorilievo erano espressi, e superiormente due Vittorie a' lati della volta rappresentate. Una cornice modiglionata, con ornamenti di festoni e patere sottoposto, coronava il prospetto: e nell'Attico, piramidato dalla Fortuna su d'un globo con bandiere”229.

229 JACOPO MORELLI, Descrizione delle feste celebrate in Venezia per la venuta di S.M.I.R. Napoleone il Massimo,

1.12

Bartolomeo Ferrari, Due Cariatidi nel palco del Sovrano (perdute) legno

1807

già Venezia, Teatro La Fenice

Fonti man.: BCPd, Lettera dello Scultore Sig. Bartolommeo Ferrari del 1 Feb.io 1826 di Venezia al Sig. Gio. Cadorin, in Miscellanea XXIV di Scritti Appartenenti Alle Belle Arti, pp. 141-145.

Pur rimanendo di proprietà della Societas che l’aveva costruita, durante la dominazione francese la Fenice assunse chiaramente la funzione di teatro di Stato. Per accogliere come si conveniva Napoleone, si pensò di addobbare la sala in celeste e argento secondo il nuovo stile Impero che si stava diffondendo. La visita di Napoleone avvenne martedì 1 dicembre 1807 ed in onore dell'illustre ospite venne rappresentata la cantata “Il giudizio di Giove” di Lauro Corniani Algarotti.

Seguì, il giovedì successivo, una grande festa da ballo. La sala del teatro, sfarzosamente addobbata, nella testimonianza del regio bibliotecario abate Morelli “presentava l’aspetto d’un luogo destinato al ricetto di personaggi della più alta portata”.

Al fine di ovviare alla mancanza di un palco reale si costruì una loggia provvisoria per accogliere l’Imperatore e solo l’anno dopo si pensò di dare incarico al Selva, che già aveva

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