Il 30 maggio 1831 Antonio Diedo segretario dell’Accademia propone al Corpo Accademico la nomina di Luigi Ferrari, che ha concluso il percorso di studi distinguendosi, tra i Soci d’Onore:
“l’alunno di questa Regia Accademia Luigi Ferrari Scultore si distinse sempre non solo per la più invidiata condotta, altresì per talenti, e per una capacità singolare, che accresciuta ed alimentata con lo studio lo portò ai più felici risultati per guisa da produrre di sé una lusinghiera aspettativa. Nel far prova di ciò quattro accessit e una prima palma da lui riportata alla classe della invenzione nei nostri concorsi, e l’esito ch’ebbero le sue opere nei Concorsi al premio grande di Milano; ove se non fu formato di conseguir la corona, sortì però lodatissimo, e con molta gloria in condizione dei quali merita non dubitò il Corpo Accademico di aggregarlo con pienezza di voti alla Classe de Socj Onorarj di questa I. R. Accademia”429.
Il corpo Accademico non si tirò indietro e riconosciutigli le “qualità del suo cuore, i doni d’ingegno dei quali è fornito, e il zelo che lo anima per l’incremento dell’Arte in cui era distino”430 lo elesse all’unanimità. La nomina a Socio a soli ventun’anni, senza dubbio fondata sui suoi meriti artistici, era forse stata sollecitata da Diedo per cercare di evitare la partenza di Ferrari al Servizio militare.
Sconsolato, una volta ricevuta la notizia della coscrizione, Ferrari informa subito la Presidenza Accademica affinchè si trovasse un’espediente per non farlo partire in danno della sua carriera artistica.
“Rattristato dalla già annunziata coscrizione, sulla quale per mia fatalità pel primo anno vi entro, mi fa arditamente rivolgere a questa Rispettabile presidenza, della quale venni oltremodo onorato coll’ascrivermi nel numero de suoi Soci Onorarj pregandola fervidamente, a volermi munire di quei documenti che utili e necessari credesse, affine di allontanare possibilmente il periodo per me spaventevole di dover abbandonare un’arte che tanto amo e nel di un sentiero con entusiasmo mi sono alcun poco inoltrato, per aver
428 Per una scheda completa sulla versione in marmo che ancora oggi si trova a Trieste presso il Castello di Miramare,
cfr. Il museo storico del castello di Miramare, a cura di R. Fabiani, Vicenza, Terra Ferma, 2005, p. 80.
429 AABAVe, Alunni 1831-1841, b. 46, f. 3, 1831, n. 153, 30 maggio.
430 AABAVe, Atti dell’Accademia 1831-1840, Rubrica personale, b. 44, fascicolo 4 (fascicolo V 1/4), 1831, n. 288
forzatamente ad incominciare una nuova carriera affatto opposta al mio genio ed ai miei principj. In tali circostanze ed in tali tempi saria per abbandonar ogni cosa in mano alla sorte, se non venissi confortato dalla speranza di poter ottenere una qualche protezione da una si Illustre presidenza, la quale come Egida servirami ad allontanare il periodo che mi sovrasta, e quindi continuare a porgere voti ed offerte a quel Nome di cui furono devoti seguaci i miei Padri, a quel Nume infine di cui questa Carissima Presidenza è ministra”431.
L’Accademia prese a cuore il caso di Ferrari e ne interessò il Governo, sottolineando i meriti artistici fin li raggiunti e:
“[…] il mestiere dell’armi farebbe scarso guadagno di questo novizio, come gravissima perdita in questo provetto l’arte della scultura, se d’indole dolce, e dei più miti costumi venisse divelto dalle sue care abitudini, e da quei favoriti e servizj, che nella elevazione de suoi concetti, e nella inerzia della sua mano preparano opere di prima bellezza.
Chi scrive si crede in preciso dovere di rappresentare tali cose alla mente dell’osequiato Presidio Governativo, facendo pure preghiera acciò, se fosse nelle di lui fedeltà spiegar interesse, o aver nei riguardi per chi si distingue, e promette meravigliosa riuscita nella carriera dell’arti sacrata al bello, volesse avere in benigna contemplazione i titoli e le prerogative del nostro Alunno, togliendolo ad un impiego che avverso al suo spirito lo dannerebbe a una bassa mediocrità per lasciarlo ad un altro che analogo in tutto ai suoi doni, ed a suoi talenti gli assegnerebbe a gloria dello Stato di cui è allievo, un altro saggio di onore nell’estro divina che rese chiaro e immortale il nome del gran Canova”432.
La risposta del Governo fu però negativa; secondo il Decreto Governativo riferito agli Alunni delle Accademie di Belle Arti, erano infatti esentati dal Servizio militare solo coloro che si fossero distinti con una medaglia d’oro ai Grandi Concorsi433. Non sappiamo se effettivamente Ferrari sia mai partito per il servizio militare, non si sono trovati fino ad oggi documenti e in nessuna delle biografie d’epoca dello scultore se ne fa cenno.
Sappiamo però che tra il 1831 e il 1833 espone due opere colossali di cui abbiamo già accennato e il 18 settembre 1835 il Governo Austriaco gli concede una borsa di studio bimestrale per andare a studiare a Roma “onde perfezionarsi nell’arte sublime della Scultura in cui si è tanto vantaggiosamente inoltrato”434. Ferrari non risponde alla proposta della borsa di studio e il Governo lo incalza per ottenere un riscontro positivo o negativo in merito435. Lo scultore prende tempo e
431 AABAVe, Alunni 1831-1841, b. 46, f. 3, 1831, N. 138, Venezia 19 maggio 1831.
432 AABAVe, Alunni 1831-1841, b. 46, f. 3, 1831, N. 153 Ex Off.o 30/5 831, Venezia 30 maggio 1831.
433 AABAVe, Alunni 1831-1841, b. 46, f. 3, 1831, N. 19351/3732, Risposta dell’Arciduca Ranieri del 14 giugno 1831. 434 AABAVe, Atti dell’Accademia 1831-1840, Alunni, b. 46, f. 5, N. 571 V 1/3, Venezia 28 settembre 1835.
435 AABAVe, Atti dell’Accademia 1831-1840, Alunni, b. 46, f. 5, N. 636 25/11 Venezia 28 Novembre 1835, Oggetto:
S’informa sull’attuale domicilio dello scultore e Socio Onorario di questa I. e R. Accademia di Belle Arti Signor. Luigi Ferrari; AABAVe, Protocollo 1836, n° 47, mese di Gennaio: il sig. Ferrari partirà entro il mese di aprile; AABAVe, Atti dell’Accademia 1831-1840, Alunni, b. 46, fascicolo 5 (fascicolo V 1/3), N. 401, Venezia 15 Giugno 1836, Oggetto: Si riferisce che lo scultore Luigi Ferrari partirà per Roma alla fine del corr.e mese di Giugno; Ivi, N. 13619/2932 IV, Venezia li 31 Maggio 1836; AABAVe, Atti, 1837, b. 64, Venezia, 16 luglio 1837, Il governo chiede informazione sulla data della partenza di Ferrari così da potergli pagare le rate.
l’Accademia comunica che: “attende se non se di poter ultimare un oggetto di suo particolare interesse a fini di potere colà trasferirsi e che prima dello spirare del mese in corso partirà senza dubbio verso quella Capitale essendosi già anche di troppo avanzata la stagione propizia”436.
Ferrari continua i rinvii fino al settembre del 1837 quando afferma:
“soltanto nell’anno venturo sarà in caso di approfittare delle Sovrane beneficenze, avendo ora ottenuto una commissione in arte col cui prodotto porrà supplire a quell’aggiunta di cui indispensabilmente abbisogna così pella permanenza colà, come per le spese di andata e di ritorno”437.
Cosa ostacolava la partenza dello scultore tra il 1835 e il 1837? Ferrari, come vedremo nel dettaglio in seguito, aveva portato a termine sul finire del 1834 il suo colossale gesso del Laocoonte. Concluso il gesso e dopo averlo esposto nel suo studio si aprirono per lui nuove ed allettanti prospettive. Inoltre nel 1836 il padre Bartolomeo aveva vinto il concorso per erigere all’Ateneo Veneto il Monumento a Francesco Aglietti (cat. 1.48) e dovevano essere terminati alcuni monumenti in marmo per il Cimitero di Vicenza. Luigi era l’aiuto principale per Bartolomeo e non poteva lasciarlo senza aver portato a termine gli impegni presi.
Quantunque in giovane età, Luigi Ferrari era già affermato e molto coinvolto col padre nella realizzazione di numerose opere, versando tuttavia in difficoltà economiche e con l’ammalarsi del padre nel 1838 fu costretto a rinunciare a Roma.
Come ricorda un contemporaneo “Ferrari è degno dell’alto posto in cui, vista appena Firenze e senza aver mai veduto Roma, ha saputo locarsi, presso i due grandi che, di Roma appunto e di Firenze, signoreggiano la italiana scultura”438.
436 AABAVe, Atti dell’Accademia 1831-1840, Alunni, b. 46, f. 5, N. 401, Venezia 15 giugno 1836. 437 AABAVe, Atti, 1837, b. 64, N° 574, Venezia 4 settembre 1837.
438ALESSANDRO ZANETTI, Belle Arti. La Vergine – Statua di Luigi Ferrari, in “Gazzetta Privilegiata di Venezia”, n.
2.3. Il Laocoonte 1834-1852
1834 La genesi
“[…] ho fresca tuttavia la memoria della poco meno che solitudine da me trovata giorni sono nello studio di un giovane valoroso, a cui, non mancano la mente ad uno di que’tentativi che renderebbero forse dubbiosa la impossibilità di oltrepassare la greca eccellenza, manca modo a far sì che il marmo dica della sua mente e del suo scarpello ciò ne dice il semplice gesso. In due opposte parti della città due esposizioni di così opposta fortuna!”439.
É con queste parole di Luigi Carrer pubblicate nel “Gondoliere” del 24 dicembre 1834 in occasione della recensione del dipinto La partenza di alcuni chiozzotti per la pesca di Louis Léopold Robert, che per la prima volta nella pubblicistica dell’epoca si fa cenno al Laocoonte realizzato dal ventiquattrenne Luigi Ferrari.
Il capolavoro che, dopo qualche anno, renderà celebre l’artista anche fuori di Venezia, giaceva nello studio dello scultore scarsamente visitato, ma dopo poche settimane venne pubblicato nel periodico ufficiale di Venezia la “Gazzetta Privilegiata” (che vantava il maggior numero di abbonati), l’articolo Il Laocoonte – Gruppo del sig. Luigi Ferrari di Bartolomeo440. L’autore dell’articolo è un certo G.° V.°, iniziali da cui possiamo facilmente riconoscere Giovanni Veludo441, futuro bibliotecario della Biblioteca Marciana, amico di Bartolomeo Ferrari e di Luigi Carrer, con il quale frequentava assiduamente il salotto a casa del medico Paolo Zannini animato dalla moglie Adriana Renier442.
Con il suo articolo Veludo si fa portavoce a Venezia di quella corrente critica sorta dopo la morte di Antonio Canova (13 ottobre 1822), che cercava nella scultura il perfetto equilibrio tra ricerca del vero ed espressione del bello. La scultura quindi, quantunque tuttora ancorata all’utilizzo
439 LUIGI CARRER, Un quadro di M. Robert, rappresentante la partenza di alcuni Chiozzotti per la pesca, in “Il
Gondoliere”, II, n. 103, mercoledì 24 dicembre 1834, pp. 409-411.
440 G.o[IOVANNI] V.o [ELUDO], Il Laocoonte. – Gruppo del sig. Luigi Ferrari di Bartolammeo, in “Gazzetta Privilegiata
di Venezia”, n. 6, 9 gennaio 1835, pp. 21-22.
441 Giovanni Veludo (Venezia, 1811 – 1890). Per un profilo su Veludo cfr. MARGHERITA LOSACCO, Antonio Catiforo e
Giovanni Veludo interpreti di Fozio, Bari, Edizioni Dedalo, 2003, pp. 26-30 e su Veludo e la comunità greco-veneziana
nell’Ottocento cfr. STEFANO TROVATO, Greci di Venezia nell’Ottocento: un’introduzione, in Niccolò Tommaseo e il suo mondo. Patrie e nazioni, cat. di mostra, a cura di F. Bruni, Venezia, Edizioni della Laguna, 2002, pp. 98-100, 114-115.
442 Adriana Renier Zannini (Venezia, 1801 – 1876). Il suo salotto venne frequentato tra gli altri da Pietro Paleocapa,
Federico Maria Zinelli, Giuseppe Barbieri, Luigi Carrer, Daniele Manin, Andrea Maffei, Giuseppe Bianchetti, Pietro Canal, Tommaso Locatelli, Emilio De Tipaldo, Andrea Mustoxidi, Benassù Montanari, Francesco Filippi, Giuseppe Caparozzo, Giovanni Veludo, Jacopo Zanella, il conte Giovanni Cittadella… Per un profilo cfr. Adriana Renier
del formulario classico, doveva cercare nuove soluzioni formali, tali da rispondere alla nuova sensibilità dell’uomo moderno443.
Per i critici contemporanei il Laocoonte di Ferrari corrispondeva a quanto si andava cercando: il tema scelto dall’artista affrontava il confronto con la statuaria antica, cosicchè l’esame del suo lavoro divenne un esercizio culturale per tutti i critici che si vollero cimentare nella ricerca dei caratteri per cui il moderno si distingueva dall’antico.
Veludo nel suo articolo affermava: “Se qualcuno dicesse che il sig. Ferrari operando in plastica un nuovo Laocoonte tentò di emulare l’antico, fingerebbe un pensiero ch’egli non ebbe certamente: se qualcuno invece dirà, che volle nel suo lavoro rappresentare un altro atto di quel terribile dramma, dirà il vero”. Il critico rileva una prima fondamentale differenza tra l’opera antica e quella moderna: la diversità di momenti rappresentati dalle due opere: “perocchè nel gruppo antico la vendetta di Minerva non è che cominciata”, “laddove nel nuovo questa vendetta è quasi compiuta”. Oltre a questo una grande differenza tra i due gruppi, per Veludo, derivava dall’estrema drammaticità del gruppo di Ferrari, per la realistica rappresentazione di Laocoonte, colto nel vivo del suo straziante dolore paterno dinanzi ai figli morenti, “cogli occhi gonfi e dilatati, colla bocca ampia e spalancata, coi capegli irti e quasi per orrore sprigionatisi delle sacre bende di cui ha cinta la testa”. Il critico concludeva così il suo articolo: “Perciò i due gruppi dimostrano esattamente i principii diversi della scuola antica e della moderna, delle quali l’una sempre si prefiggeva la rappresentazione della bellezza, e quindi inclinava all’ideale, e l’altra pone invece ogni cura nel rappresentare le realtà della vita, o brutte o belle che siano, o tristi o gioconde”.
Anche Pietro Chevalier nel 1836, nell’articolo dedicato ad un busto realizzato dal Nostro per Padova444 (cat. 2.19), accenna al Laocoonte come opera frutto dell’amore per il bello a cui il giovane Ferrari si era votato. Secondo Chevalier la statua coinvolgeva fortemente lo spettatore: “io la prima volta ho sentito dentro suscitarmi fremito che non aveva mai provato dinanzi – e tuttora non posso per anco osservarlo senza un forte sommovimento”. E con un augurio, che sembra quasi una profezia, il critico così conclude il suo articolo:
“O giovane, possa tu sempre preservare nella candidezza dell’affetto disinteressato con cui ami la tua arte divina; il tuo cuore, vergine ancora, possa non provar mai il dolore della indignazione che provocano i fangosi artifici dell’invidia: persevera, o giovane, e né la sorte avversa, né le cattiverie degli uomini non
443 Su questo tema cfr. Critica d’arte nelle riviste Lombardo-Venete cit., pp. 41-90.
444 PIETRO CHEVALIER, Belle Arti – Di un’erma posta nella pia casa di pubblica Beneficenza in Padova, e dello scultore
potranno mai tanto da toglierti e scemarti la gloria che, oggi o domani, coronerà il tuo merito e la tua bontà”445.
L’opera così tanto acclamata era considerata da Ferrarisolamente
“un gruppo in gesso, puramente per mio studio. […] un’opera fatta per studio semplicemente quindi senza pretesa, e da una mente povera quanto volenterosa. A dire il vero non mi sarei mai sognato di trattare un argomento simile, ma fu il caso che mi poneva tra le mani il secondo libro dell’Eneide, ed immemore di qualche altro gruppo o dipinto, mi spingeva a schizzare su questo soggetto, che fu quello che mi cadeva sottocchio”446.
Così ne parlava Ferrari all’amico pittore Giovanni Servi nell’aprile del 1837447, prima di spedire l’opera all’esposizione Braidense.