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Venezia 1838 Tre capolavori a confronto Laocoonte – Malinconia – Davide vincitore di Golia

Dopo il grande successo di critica e di pubblico che ebbe il Laocoonte a Milano, l’anno successivo in occasione della pubblica mostra allestita nell’autunno del 1838 a Venezia per la visita dell’Imperatore Ferdinando I, Ferrari espose tre sue opere di successo: Laocoonte, Malinconia e

Davide vincitore di Golia. Esse confluiranno poi verso tre importanti collezioni: Il Laocoonte a

Brescia per il conte Paolo Tosio (cat. 2.18), La Malinconia a Milano per il cav. Ambrogio Uboldo (cat. 2.20) e Davide vincitore di Golia per Giacomo Treves a Venezia (cat. 2.25).

453 BELLE ARTI – Pubblica mostra degli Oggetti di Belle Arti nel Palazzo di Brera in Milano. Cenno preliminare,

Articolo I, in “Glissons,n’appuyons pas. Giornale di Scienze, Lettere, Arti, Teatri, Cronache, Varietà e Mode coll’aggiunta di un’Appendice di musica inedita per pianoforte”, a. IV, n. 55, lunedì 8 Maggio 1837.

454 Ibidem.

455 Ibidem. Le due sculture qui citate (cat. 2.44-2.23) e l’Endemione (cat. 2.22) commissionati dalla Maffei a Ferrari non

sono ad oggi rintracciabili.

456 Ibidem.

Malinconia fu presentata in marmo durante l’estate del 1838 a Milano. Come accennato in

precedenza, la commissione venne da Uboldo458, uno tra i maggiori collezionisti milanesi della prima metà del XIX secolo. Ferrari, recatosi a Milano alla ricerca di nuove commissioni dagli amanti dell’arte milanesi, si era portato con se un modellino della Malinconia che piacque al collezionista Uboldo tanto che gli commissionò la sua realizzazione in marmo. Il colto mecenate milanese aveva altresì specificato allo scultore che Malinconia avrebbe trovato collocazione nella stessa sala in cui era presente la Betzabea al bagno di Hayez459 (fig. 33). La scelta di collocare la statua in dialogo con l’opera hayeziana era in sintonia con il gusto e la moda di quegli anni; il dipinto di Hayez si colloca infatti in un genere praticato dal pittore a partire dal 1827, nel quale il tema posto dal titolo (come in questo caso Betzabea al bagno) è occasione per una esibizione di sapienza anatomica e estetica che ha per protagonista il procace nudo femminile. Scopo di Uboldo era di mettere in rapporto il nudo scultoreo di Ferrari con quello pittorico di Hayez460.

Malinconia è rappresentata:

“seduta su un masso, colle mani incrociate sulle ginocchia, ma nel punto di scioglierle, seguitando il totale abbandono delle braccia. – Tutta è nuda, tranne la coscia destra, coperta da un sottile panneggiamento. La sua fisionomia bella, ma composta alla tristezza, la inclinazione del capo, e gli occhi fissi a terra, dicono che un solo pensiero signoreggia quell’anima, che nulla cura le cose esteriori. Quindi l’abbandono di tutte le sue membra, e la cura difficilissima della schiena, e le braccia quasi cadenti, e lo sporgere del piede destro, indicanti tutti l’obblianza in lei di ciò che non è quel secreto pensiero. Le carni sono vive, que quasi senti il battito del cuore”461.

Molta critica contemporanea ha sottolineato la vicinanza tra la Malinconia di Ferrari e la

Fiducia in Dio di Bartolini462 (fig. 34). Sicuramente Ferrari potè ammirare l’opera bartoliniana a

458 Ambrogio Uboldo (1785-1865). Sul personaggio e le sue raccolte cfr. Raccolta di descrizioni delle opere più

interessanti di belle arti esistenti nella galleria del Signor Ambrogio Uboldo, Milano, Crespi e Pagnoni, 1844; SIMONETTA COPPA, Ambrogio Uboldo collezionista e la sua villa di Cernusco sul naviglio, in Civiltà neoclassica nella

provincia di Como, Como, Amministrazione provinciale, 1980, pp. 55-57 e GIAN LORENZO MELLINI,Un banchiere

milanese dell’ottocento per le arti: il Cavaliere Ambrogio Uboldo, in “Paradigma”, III, 1980, pp. 193-229.

459 Cfr. FERNANDO MAZZOCCA, Francesco Hayez catalogo ragionato, Milano, Federico Motta editore, 1994, cat. 202,

pp. 240-241.

460 “Tra le più popolari opere canoviane, la Maddalena fu forse quella più amata dal Romanticismo che vi scorgerà una

sensualità e una intensità emotiva superiori rispetto a quelle delle sculture di carattere mitologico. Ispirandosi a questo esempio Hayez elaborò nel 1825 con la sua Santa Maria Maddalena penitente nel deserto, realizzata avendo negli occhi la statua del suo antico mentore, il prototipo di una mitologia moderna a cui apporterà la strepitoso serie delle sue bagnanti Betzabee, Susanne e delle odalische. A queste figure sarà affidato un ruolo privilegiato nell’immaginario romantico. Mentre la scultura successiva a Canova vedrà il suo erede soprattutto in Tenerani la cui Psiche svenuta sarà concepita come pendant della Maddalena penitente” FERNANDO MAZZOCCA, VIII. La gloria di Canova e il primato

della scultura in Canova l’ideale classico tra scultura e pittura, cat. di mostra, a cura di S. Androsov, F. Mazzocca, A.

Paolucci, Cinisello Balsamo, Silvana Editoriale, 2009, pp. 308.

461 AVVOCATO BERTONCELLI, Belle Arti – Una visita allo studio dello scultore sig. Luigi Ferrari, in “Gazzetta

Privilegiata di Venezia”, n. 197, mercoledì 29 agosto 1838.

462 Per il confronto tra la Malinconia di Ferrari e la Fiducia in Dio di Lorenzo Bartolini cfr. C. [Carlo] T. [Tenca],

Milano nel 1837, esposta a Brera poco lontana dal Laocoonte. Ma seppur con postura affine, Ferrari non copiò e non si ispirò all’opera dello scultore pratese; dalla sua lettera spedita a Orsi da Milano sappiamo che il nostro era arrivato a Brera già con un modellino della Malinconia realizzato a Venezia.

Il marmo della Malinconia fu esposto a Brera alla consueta mostra estiva nel 1838 (fig. 35); su di esso scrisse un lungo articolo l’amico Francesco Gualdo, il nobile vicentino assiduo frequentatore delle sale dell’accademia milanese e di cui Ferrari stava in quei mesi realizzando il busto. Come Laocoonte, anche Malinconia gioca sapientemente tra gli esempi della Grecia classica e il sentimento contemporaneo. Gualdo nel suo articolo esaltava la postura naturale, le bellissime e scelte forme, il castigato disegno, la gentilezza delle estremità, la divina bellezza del volto di “questa cara fanciulla le cui forme son rese nella loro casta ed originale bellezza, lontana da quell’ideale di perfezione che torna sempre in difetto perché toglie alla natura tanto di verità, quanto le dona di apparente”463.

Se così si esprimeva Gualdo, Carlo Tenca poneva invece l’accento sul sentimento esistenziale di infinita tristezza che il Ferrari era riuscito ad esprimere nella sua opera:

“Non t’è mai accaduto di trovarti un giorno annojato del mondo, della vita e di te stesso, senza una speranza nel cuore, né una parola di conforto sulle labbra? In tal caso non ti sei tu abbandonato alla tua meditazione, o piuttosto al tuo triste assopimento, colle mani incrociate sul grembo, col capo inclinato e quasi oppresso dal peso della vita, che non è più nel cuore perché il cuore non batte più, cogli occhi incerti che non han forza di fissare un oggetto, col pensiero errante in un’atmosfera vaga e nebbiosa? Se non hai provato quella cupa tristezza che infiacchisce l’animo, quel vuoto d’azione, quel prostramento di forze fisiche e morali, non fermarti innanzi alla Malinconia del Ferrari: quella statua non è per te. La tua mente non è atta a comprendere quel profondo sentimento, e direi quasi quell’annientamento dell’essere che in lei si scorge. La sua Malinconia non piange, non querelasi, non si dispera: se fosse dato paragonarla a cosa umana, direi ch’essa è l’Eva che pensa al perduto paradiso. Nel Laocoonte l’insigne scultore ci presentò il dolore straziante, palpitante, il dolore materializzato: nella Malinconia mostrò la natura abbattuta e sofferente ma tacita e rassegnata, la vera individualità del dolore, se mi concede l’espressione”464.

In un altro articolo, pubblicato anche nel “Cosmorama Pittorico” ad un anno di distanza, Tenca nel suo sentire romantico e dichiaratamente anticlassico, davanti alla Malinconia si chiedeva:

a. III, n. 115, lunedì 24 settembre 1838, p. 457 e stesso testo ripubblicato in “Il Cosmorama”, a. V, n. 3, 1839, p. 20-22. Per la Fiducia in Dio cfr. GRÉGOIRE EXTERMANN in Lorenzo Bartolini: Scultore cit., pp. 310-312 con biblio. precedente.

463 FRANCESCO GUALDO, Album Esposizione di Belle Arti in Milano, a. II, 1838, pp. 83 e ID. La Malinconia statua in

marmo di Luigi Ferrari veneziano, in Raccolta di descrizioni delle opere più interessanti di Belle Arti esistenti nella galleria del signor Ambrogio Uboldo nobile di Villareggio, Milano, Con i Tipi di Giuseppe Crespi, 1842, p. 83.

“se l’arte debba limitarsi alla semplice riproduzione della natura, alla esatta traduzione del pensiero di Dio, oppure sia lecito aggiungere ed abbellire, e farsi per tal guisa creatrice insieme colla natura, e possa giungere a quel grado di perfezione cui essa non arrivò giammai, ma in pari tempo aborro dai tipi e dalle forme di convenzione. I Greci trassero i loro modelli dagli eroi di Omero e di Anacreonte, prestarono ad essi tutte le bellezze che la natura sparse nel resto degli uomini, e Ajace, Achille e Venere furono statue perfette. A que’tempi, quando la poesia consisteva nella forma esteriore, nell’idea materializzata, quella fusione di bellezza poteva forse essere vera, e certo era l’espressione del pensiero dominante. Ora, che cercasi la poesia nella sola verità, che vuolsi l’uomo quale natura l’ha fatto, e basi più alle passioni che alla materia, l’artista che seguisse pedestremente i Greci, sarebbe un freddo e sterile imitatore, insigne fors’anche, dove arrivasse alla sublimità di Canova, ma vero e poetico giammai.

La Malinconia di Ferrari porge di questa verità un sicuro esempio. Il dorso e il collo di lei, fattura mirabilissima, sono forse la miglior opera della scultura moderna, appunto perché si allontanano dalla maniera greca. Così dicasi dei piedi e delle mani, in cui tanto più appare siffatta verità, perché dissomigliano l’una dall’altra, e più bella riesce al guardo quella che non è modellata sulle statue greche. Forse in questa sua malinconia lo scultore adoperò più di un modello, e perciò le parti non riuscirono tutte conformi”465.

Momento chiave dell’evoluzione della scultura e delle critica della prima metà del XIX è il celebre episodio del 1841, quando Lorenzo Bartolini, allora professore dell’Accademia di Belle Arti di Firenze, propose ai suoi allievi lo studio di un Esopo nudo e gobbo. Tale episodio fece scalpore, scatenando il dibattito su quali fossero i confini dell’arte scultorea e se convenisse valicarli. La

querelle si estese da Firenze a tutta la penisola, in particolare nel territorio lombardo-veneto, dove

gli accademici iniziarono a guardare con un certo sospetto le opere dei giovani artisti Vincenzo Vela466, Alessandro Puttinati467, Giovanni Strazza468 che presentavano le loro opere alle esposizioni dell’Accademia Braidense ed erano ormai interpreti del nuovo naturalismo.

Giorgio Podestà colse la modernità della Malinconia: “chi può negare che la nostra epoca non abbia prodotto una letteratura che nasce dal cuore, che si rivolge su sé stessa, che pensa, che sospira e che piange? Ebbene. Ecco questa influenza dilatarsi sull’arte, ecco il Ferrari comprenderla,

465 ID. BELLE ARTI Esposizione nelle sale in Brera, in “La Fama. Giornale di Scienze, Lettere, arti, industria e Teatri,

a. III, n. 114, venerdì 21 settembre 1838, p. 457-58, poi ripubblicato in ID. La Malinconia (Statua di Luigi Ferrari) di

proprietà del cav. Ambrogio Uboldi in “Il Cosmorama”, a. V, n. 3, 1839, p. 20-22. Gli stessi dubbi e parallelismi

saranno posti anche da Selvatico nelle sue opere: PIERO SELVATICO, Sull’educazione del pittore storico odierno

italiano, Padova, 1842, p. 20, Id, Sull’arte moderna in Firenze, in “Rivista Europea”, n.s. I, n. 3, 1843, pp. 22-27 e n. 3,

1843, pp. 216-224.

466 Vincenzo Vela (Ligornetto, 1820 – Mendrisio, 1891). Per alcune indicazioni generali sull’artista e le sue opere si

veda MARC –JOACHIM WASMER, Il Museo Vela a Ligornetto: la casa-museo dello scultore ticinese Vincenzo Vela, Berna, Società di Storia dell'Arte in Svizzera, 2003.

467 Alessandro Puttinati (Verona, 1801 – Milano, 1872), per alcune informazioni generali sullo scultore cfr. SERGIO

MARINELLI, I gessi di Alessandro Puttinanti, in “Verona illustrata”, n. 11, 1998, pp. 57-62 e MONICA DE VINCENTI,

Scultori veronesi cit., pp. 160-162.

468 Giovanni Strazza (Milano, 1818 – 1875). Dopo aver studiato a Milano sotto la guida di Pompeo Marchesi, nel 1842

si trasferisce a Roma restandovi fino al 1860, qui frequenterà l’Accademia di San Luca e la Scuola del Nudo diretta da Pietro Tenerani, del quale diventerà collaboratore.

afferrarne le sembianze e rappresentarla con questa statua”469. Ferrari era quindi riconosciuto come uno degli artisti che meglio esprimeva il nuovo spirito artistico.

Altro capolavoro esposto a Venezia nel 1838 alla mostra in onore dell’Imperatore è Davide

vincitore di Golia, opera che impegnò per diversi anni Ferrari. Lo scultore stava lavorando

contemporaneamente a due opere aventi a tema gli episodi veterotestamentari: Davide vincitore di

Golia e Davide che invoca Dio prima di mettere il sasso nella fionda. Entrambe le sculture in fase

di lavorazione vennero viste da Paride Zaiotti, che così appunta nel suo diario: “11 maggio 1839: Sono stato a vedere due modelletti di F.[errari] del David, che fa per Treves: uno che invoca Dio prima di mettere il sasso nella fionda, l’altro che lo ringrazia della vittoria. Sono belli, ma il primo, in cui era scelto l’istante del porre il sasso nella fionda e mirare a Golia, mi soddisfa di più”.

Ferrari espose finalmente Davide vincitore di Golia; una bellissima descrizione dell’opera in marmo in fase di ultimazione ci è fornita da Carlo Fink, in seguito alla sua visita allo studio dello scultore nel 1843:

“Prima ci arresta la statua grande al vero d’un giovincello – Davide, che inalza al cielo una preghiera di ringraziamento nell’istante in cui ha vinto Golìa. La testa di Davide ornata di lunga chioma lieve scorrente è volta al cielo. Il sublime e rapido passaggio dall’alterezza alla più profonda umiltà fu reso dall’artista in un bel viso inspirato. Il pastore era animato da un nobile orgoglio quando si fe’ incontro a Golia; e da più grande ancora quando travolse il gigante nella polve. Ferrari ci mostra quì ad un tempo, come l’ardito e forte e fiero garzone atterrato il temuto gigante sente nell’intimo suo d’aver superato un esercito, un mondo, eppure riconosce qualcosa di più alto e compreso d’un interno senso d’umiltà si volge a Dio e le mani si raccoglie al petto. I lombi del pastore sono avvolti in una pelle d’orso, che forma di dietro all’avvanzarsi del destro piede un bel gruppo di pieghe, che veramente non s’addicono alla qualità della stoffa; e così sarebbero in questo caso la migliore critica le parole di Goethe: “Giovane beato, i cui difetti ti vengono ascritti a virtù.” Vedeste mai un artista quando nella coscienza del suo valore terminata una parte della sua opera ringraziando il genio pieno d entusiasmo respira con più forza e più liberamente? Egli è un trionfo, uno splendido trionfo, quello d’aver vinto il rigido marmo. Così dopo aver provato l’intimo sentimento di trionfo Ferrari scolpì il libero e beato anelito d’una lieta vittoria nel petto già rotondato del pastorello eletto da Dio. E così da questa bella e possente statua traspare una mirabile pienezza di verità e di poesia congiunta ad un’arte maestra. La statua non era ancora compita, ma lo scalpello non toglieva più che una fina polvere del marmo. Quale profonda conoscenza della forma si manifesta in questo delicato lavoro, in cui l’artista sa, che la vera linea ed il compimento sta tuttora sotto ad un lieve mantello di polvere! Chi verrà a Venezia e chiederà delle nuove opere di scoltura, verrà anzi tutto guidato nel palazzo del signor Treves, onorevole protettore dell’arte veneta. Ivi il forastiero troverà in una magnifica sala due statue, Ettore ed Ajace capi d’opera di Canova. Rimpetto a queste il piccolo David di Ferrari”470.

469 GIORGIO PODESTÀ, Fuor d’opera – Rivista degli oggetti di Belle Arti esposti in quest’I.R. Accademia (continuazione

e fine. Vedi i numeri precedenti). – Scultura, “Il Vaglio”, a. III, n. 48, sabato 1 dicembre 1838, p. 386.

470 CARLO FINK, Una visita allo studio di Ferrari in Venezia, in “La Favilla – Giornale triestino”, a. VIII, 13 maggio

Godendo già di incontrastata fortuna per il suo Laocoonte, con la Malinconia e il Davide

vincitore di Golia Ferrari emergeva anche come lo scultore veneziano più sensibile alle nuove

istanze estetiche.

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