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Cecco d’Ascol

Nel documento Il rogo degli eretici nel Medioevo (pagine 194-197)

CAP IV: I PRINCIPALI ROGHI DELL’INQUISIZIONE.

8. I più celebri roghi di “eretici” nel tardo medioevo

8.1 Cecco d’Ascol

Francesco Stabili, meglio conosciuto come Cecco d’Ascoli, nato probabilmente ad Ascoli Piceno o in qualche località limitrofa tra il 1254 ed il 1257, fu un astrologo564. Dopo aver compiuto gli studi in arti liberali e medicina a Bologna, nel 1320 ottiene il primo incarico di maestro, commentando Ippocrate e la Logica di Aristotele per gli studenti di medicina. Nel 1322 passa ad insegnare scienza degli astri, illustrando un celebre manuale cosmologico, la Sphera del Sacrobosco e il De principiis astrologie di Alchabitius, ritenuto in quel tempo, uno dei testi astrologici fondamentali. Oltre ai due commenti alla Sphera e

564 Su Cecco d’Ascoli si veda Cecco d’Ascoli. Cultura, scienza e politica nell’Italia del Trecento. Atti del

convegno di studio della XVII edizione del Premio internazionale Ascoli Piceno (Ascoli Piceno, Palazzo

dei Capitani, 2-3 dicembre 2005), a cura di A. RIGON, Roma 2007; si veda anche la voce a cura di N. WEILL-PAROT, in Dizionario storico dell’Inquisizione cit., I, pp. 316-317.

all’Alchabitius, il maestro ascolano scrisse un opuscolo di astronomia, il De

excentricis et epicyclis e la sua opera più celebre, l’Acerba, trattato vario in cui

l’autore argomentava, con una fascinosa descrizione, sul cosmo, sul firmamento, sul mondo umano con le sue virtù e vizi, sull’amore, sugli animali e sul regno minerale. Le tematiche erano sviluppate all’interno di un elaborato sistema di forze misteriose e di significati simbolici.

Fu proprio durante il periodo dell’insegnamento bolognese che Cecco ebbe i primi contrasti con l’Inquisizione. L’inquisitore, il frate Predicatore Lamberto da Cingoli565, intentò contro di lui, nel 1324, un processo, avendo riscontrato nel

Commento sulla Sfera di Cecco la presenza di numerose opinioni eterodosse. Cecco

nella sua opera presentava una cosmologia astrologico-negromantica, nella quale sosteneva che, attraverso lo studio di alcune costellazioni, si potessero invocare degli spiriti demoniaci566. L’autore, nell’illustrare e diffondere queste pratiche, non mostrava nessuna remora, pur occupandosi di un’arte proibita. Venne imposto allo Stabili, in quanto “male et inordinate locutum fuisse de fide Catholica”, il divieto di insegnare astrologia a Bologna, sia in pubblico che in privato, fu spogliato del titolo di magister e obbligato a consegnare tutti i suoi libri di astrologia. Cecco per ricevere l’assoluzione avrebbe dovuto compiere un’abiura pubblica, recitare trenta

Pater Noster e Ave Maria, digiunare tutti i venerdì e per un anno recarsi tutte le

domeniche in una chiesa dei Minori o dei Predicatori ed ascoltare l’omelia. Inoltre, era tenuto a pagare, come multa, settanta lire bolognesi che sarebbero state raddoppiate nel caso in cui non avesse pagato l’intera somma entro la Pasqua successiva567. L’atteggiamento processuale di Cecco di fronte a queste accuse non ci è noto – possediamo soltanto la relazione che ne fa l’inquisitore fiorentino nella sentenza del 1327 -, tuttavia le conseguenze pratiche ed accademiche di questa

565 Sulla figura di Lamberto da Cingoli si rimanda a R. PARMEGGIANI, Studium domenicano cit., pp.

137-139.

566 Sul sistema cosmologico-demonico, su cui si fondava la magia teorizzata da Cecco d’Ascoli nel

suo Commento sulla Sfera, si veda N. WEILL-PAROT, I demoni della Sfera: La “nigromanzia”

cosmologico-astrologica di Cecco d’Ascoli, in Cecco d’Ascoli. Cultura, scienza cit., pp. 128-132; sulle

numerose opinioni eterodosse che l’inquisitore bolognese aveva riscontrato nel trattato di Cecco si rimanda a M. GIANSANTE, La condanna di Cecco d’Ascoli, in Cecco d’Ascoli. Cultura, scienza cit., pp. 183-199; nello specifico p. 192.

567 M.G. DEL FUOCO, Il processo a Cecco d’Ascoli, in Cecco d’Ascoli. Cultura, scienza cit., pp. 217-237;

condanna furono minime, dato che nel 1325 si registra la sua promozione alla cattedra ordinaria, lasciando presuppore che Cecco godesse del favore del comune bolognese, cui all’epoca spettava l’onere pecuniario e organizzativo del reclutamento dei lettori.

Nella seconda metà del 1326 Cecco decise di lasciare Bologna, molto probabilmente perché si stava profilando un clima a lui poco favorevole, poiché da simpatizzante ghibellino vedeva la città sempre più nelle mani del partito guelfo, temendo inoltre possibili attriti con il nuovo legato-signore Bertrando del Poggetto, nipote di Giovanni XXII, lo stesso che nel 1320 aveva istituito un processo nei confronti di Matteo Visconti e dei suoi complici, accusati di sortilegio ai danni del papa568. Si trasferì a Firenze, accettando l’incarico di astrologo di corte, offertogli dal duca Carlo di Calabria che in quello stesso anno era diventato signore della città toscana.

Alla corte di Carlo, Cecco si creò immediatamente un nemico, il medico Dino del Garbo, che, secondo la Cronica del Villani, fu il suo più grande accusatore nel processo che lo porterà al rogo. Nel luglio del 1327 l’inquisitore francescano di Toscana, Accursio Bonfantini569, fece arrestare Cecco, che fu rinchiuso per tre mesi nelle carceri di S. Croce. Il 15 settembre fu condannato dall’inquisitore e il giorno seguente arso sul rogo.

La condanna al rogo di Cecco d’Ascoli fu l’esito di una serie di concause570. Sicuramente i suoi pronostici favorevoli alle sorti imperiali di Ludovico il Bavaro,

568 Sui mutamenti politici all’interno del Comune bolognese che costrinsero Cecco a lasciare la città

cfr. M. GIANSANTE, La condanna cit., pp. 193-194.

569 Su Accursio Bonfantini si veda la voce a cura di E. RAGNI nel DBI, XII (1970), pp. 10-11.

Sull’attività inquisitoriale di Bonfantini nella Toscana cfr. G. BISCARO, Inquisitori ed eretici a Firenze

(1319-1334), in “Studi Medievali”, 2 (1929), pp. 347-375; 3 (1930), pp. 266-287. Più in generale

sull’inquisizione francescana in Toscana si rimanda a C. BRUSCHI, Inquisizione francescana in

Toscana fino al pontificato di Giovanni XXII, in Frati Minori e inquisizione. Atti del XXXIII Convegno

internazionale. Assisi, 6-8 ottobre 2005, Spoleto 2006, pp. 287-324.

570 Il Giansante vede la condanna di Cecco come l’esito di “un comune interesse repressivo fra

signore e inquisitore”, M. GIANSANTE, La condanna cit., pp. 196-199. Di diversa opinione è il Parmeggiani che vede nella condanna dello Stabili “un concreto e gratuito appoggio alla politica del duca [Carlo d’Angiò] (…) gli inquisitori intendessero tutelarsi, guadagnando la fiducia ed il riconoscimento tanto – e soprattutto – del Papato, quanto del potere signorile degli Angiò, con cui si erano verificati solo pochi anni prima (1321) violenti contrasti proprio in materia finanziaria a proposito della divisione dei beni degli eretici, tensioni aspre a tal punto da condurre il vicario del re. Ringrazio il dott. Parmeggiani per avermi permesso la consultazione del suo lavoro

non furono graditi all’ambiente di corte di Carlo, legato alla diplomazia pontificia. Inoltre, in quegli anni, le preoccupazioni dell’inquisitore fiorentino Accursio Bonfantini erano rivolte nel ricercare e punire i fraticelli e i sostenitori di Ludovico il Bavaro, scomunicato da Giovanni XXII nel 1324. Questo legame tra pauperismo dissidente e ghibellinismo non poteva non essere oggetto d’indagine e repressione da parte dell’Inquisizione, ed è proprio in questo alveo della dissidenza che si inserisce la vicenda di Cecco. Lo Stabili fu mandato al rogo per il carattere “nigromantico” della sua dottrina, aggravato dal fatto di averla proposta pubblicamente, essendo professore universitario, senza mai mostrarne una distanza critica chiara. All’inizio del Trecento ciò significava esporsi ad un rischio notevole, infatti Giovanni XXII, con la bolla Super illius specula (1326-1327) identificava la magia “nigromantica” come eresia, fornendo agli inquisitori, riprendendo le parole di Weill-Parot, “nuova selvaggina da cacciare”571. Insieme a Cecco furono condannate a bruciare tra le fiamme anche le sue opere più controverse il Commento alla Sphera e l’Acerba.

Nel documento Il rogo degli eretici nel Medioevo (pagine 194-197)