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Clemente ed Everardo (1114)

Nel documento Il rogo degli eretici nel Medioevo (pagine 123-125)

CAP III: I PRINCIPALI ROGHI PRIMA DELL’INQUISIZIONE.

4. Clemente ed Everardo (1114)

Il discorso antiereticale del monaco benedettino Guibert de Nogent369 si concentra nel racconto di due fratelli contadini Clemente ed Everardo, che nel villaggio di Bucy-le-Long nei pressi di Soissons in Piccardia, avevano riunito attorno a loro una cerchia di rustici ai quali predicavano le loro idee, imperniate da un profondo spiritualismo (si vantavano di condurre la stessa vita degli apostoli, riconoscendo validi unicamente i loro Atti370) e da un acceso anticlericalismo tanto

da arrivare a considerare “ora sacerdotum omnium os inferni”371. Rifiutavano la realtà dell’incarnazione, del battesimo degli infanti, della celebrazione eucaristica, del matrimonio e della procreazione; secondo Guibert tali elementi avvicinavano la dottrina professata dai due rustici a quella dei manichei, attenendosi all’elencazione fornita da Agostino nel De haeresibus372.

L’abate pone al centro della loro esperienza religiosa l’assoluto rigetto dei rapporti sessuali e della procreazione373, per poi accusarli di abbandonarsi a riti orgiastici, che si svolgerebbero in conventicula, nascosti “in ypogeis aut penetralibus abditis”. Durante questi riti segreti gli eretici , dopo aver spento tutte le candele e offertele a una donna, gridavano la parola “chaos” e si congiungevano sessualmente a caso “et cum ea quae ad manum venerit persona quisque coit”. Tra le accuse mosse da Guibert la più infamante è quella di praticare l’infanticidio rituale:

“Quod si inibi foemina gravidetur, partu demum fuso in idipsum reditur, ignis multus accenditur, a circumsedentibus puer de manu in manum per flammas jacitur donec extinguitur; deinde in cineres redigitur, ex cinere panis conficitur, cuique pars

369 GUIBERT DE NOGENT, Autobiographie. Introduction, édition et traduction par E.-R. LABANDE,

Paris 1981, pp. 428-434.

370 “vitam se apostolicam tenere jactantes, eorum actus solos legere amplectuntur”, ibidem, p. 430. 371 Ibidem, p. 428.

372 “Si relegas haereses ab Augustino digestas, nulli magis quam Manicheorum reperis convenire”,

ibidem, p. 430.

373 “Viri apud eos in foeminam coitus nefas est. Edulia omnium quae ex coitu nascuntur eliminant”,

pro eucharistia tribuitur, qua assumpta numquam pene ab haeresi ipsa resipiscitur”374.

I bambini nati da queste unioni sacrileghe venivano gettati tra le fiamme e con le loro ceneri si faceva un pane che veniva dato a mangiare ai partecipanti al rito come se si trattasse di una eucaristia. Questo pane secondo il vescovo generava un potere di asservimento tale da rendere difficile la fuoriuscita dell’eretico dalla comunità e il suo pentimento. Inoltre dichiaravano che l’incarnazione del Figlio dalla Vergine era soltanto un’illusione e rifiutavano il battesimo dei neonati.

Guibert, con il riportare i secreta degli eretici, intende enfatizzare il suo discorso polemico, riprendendo così antiche fantasie per accentuare l’immagine dell’eretico seguace del diavolo e quindi demoniaco in quanto diretta emanazione del “principe di questo mondo”.

Il vescovo Lisiardo di Soissons, preoccupato dalla crescente notorietà dei due fratelli, li chiamò in giudizio, ricordando loro che già per il solo fatto di tenere dei conventicula potevano essere considerati degli eretici. Conventicula che Clemente ed Everardo non avevano negato, ma avevano risposto essere

christianissime, confermando implicitamente la certezza delle autorità

ecclesiastiche che la natura degli eretici “est negare et semper hebetum clam corda seducere”. All’accusa di eresia Clemente risponde citando il passo del Vangelo in cui è detto Beati eritis (Lc 6,22), non perché come dice Guibert de Nogent credevano che eritis si riferisse a haeretici, ma perché essere accusati e posti a giudizio, rappresentava per loro una prova. Si sentivano beati poiché non accettati e perseguitati per le loro convinzioni. Guibert aggiunge che credevano di chiamarsi

haeretici in quanto haereditarii del regno di Dio, riferendosi al versetto della

lettera ai Romani (Rom 8,17). In realtà Clemente, in armonia con il passo paolino, non faceva altro che affermare la propria adesione ad una tradizione apostolica che vedeva lo spirito primeggiare sulla carne. Questa diatriba semantica sta a dimostrare che Clemente conosceva il Vangelo. Un illetterato dunque si era messo a predicare sostituendosi ai chierici; questo agli occhi di un uomo di chiesa come

Guibert era un fatto intollerabile, poiché soltanto agli ecclesiastici spettava comunicare al popolo la parola di Dio.

Avendo risposto a tutte le domande in conformità alla dottrina cristiana, il vescovo decise di sottoporli al “iudicium exorcizatae aquae”. Clemente fu immerso in una botte e rimase a galla “acsi virga supernatat”, suscitando l’esultanza di tutta l’assemblea per la riuscita dell’ordalia. Everardo alla vista della colpevolezza del fratello confessò il proprio errore ed entrambi furono incarcerati, insieme ad altri due eretici del vicino villaggio di Dormans, scoperti tra la folla accorsa ad assistere all’ordalia. Lisiardo e Guibert si recarono a Beauvais, dove si stava svolgendo una sinodo di vescovi per interrogarli su come meglio agire nei confronti degli eretici imprigionati. Ma nel frattempo il popolo, temendo un’eccessiva indulgenza da parte del clero, trasse fuori dalla prigione gli eretici e li condusse a morte gettandoli tra le fiamme di un rogo acceso fuori dalla città:

“Sed fidelis interim populus, clericalem verens mollitiem, concurrit ad ergastulum, rapit, et subjecto eis extra urbem igne pariter concremavit. Quorum ne propagaretur carcinus, justum erga eos zelum habuit Dei populus” 375.

Il rito pubblico avviato dal vescovo ebbe il suo esito nella giustizia popolare sommaria, condivisa a pieno dallo stesso Guibert de Nogent.

Nel documento Il rogo degli eretici nel Medioevo (pagine 123-125)