CAP IV: I PRINCIPALI ROGHI DELL’INQUISIZIONE.
8. I più celebri roghi di “eretici” nel tardo medioevo
8.2 Giovanna d’Arco
Giovanna d’Arco, detta “la Pulzella d’Orléans” nacque nel 1412 nel villaggio di Domrémy, in Lorena. Molto probabilmente ricevette un’educazione religiosa, da quanto si evince dai contenuti delle sue deposizioni processuali572.
La sua attività pubblica ebbe inizio nel 1428 grazie all’incontro con il capitano Robert de Beaudricourt. Durante la guerra dei Cent’anni573, Giovanna giocò un ruolo di primo piano dal punto di vista militare conducendo una fiera
“Consiliatores” dell’Inquisizione fiorentina al tempo di Dante: cultura giuridico-letteraria nell’orbita di una oligarchia politico-finanziaria, di prossima pubblicazione.
571 N. WEILL-PAROT, I demoni della Sfera cit., p. 128.
572 Si vedano i recenti studi di F. CARDINI, Giovanna d’Arco. La vergine guerriera, Milano 1999; C.
BEAUNE, Jeanne d’Arc, Paris 2003; G. KRUMEICH, Giovanna d’Arco, Bologna 2008.
573 Per ricostruire il contesto politico e militare in cui si colloca la vicenda di Giovanna d’Arco si
rimanda a N. COULET, Francia e Inghilterra nella guerra dei Cent’anni, in La storia. I grandi problemi
dal Medioevo all’età contemporanea. II: Il Medioevo, II: Popoli e strutture politiche, N. TRANFAGLIA e
M. FIRPO (a cura di), Milano 19932, pp. 623-650; PH. CONTAMINE, La guerra dei Cent’anni, Bologna
resistenza contro l’esercito inglese, infondendo rinnovato morale nelle file francesi; dal punto di vista politico, contribuendo attivamente all’incoronazione di Carlo VII, avvenuta il 17 luglio 1429 a Reims.
L’evento più noto della breve campagna militare condotta da Giovanna fu la liberazione dall’assedio inglese della città d’Orléans574. La città sulla Loira aveva una posizione strategica per gli inglesi, ai fini di un’ulteriore avanzata nei territori dei Valois nella Francia centromeridionale. Giovanna, con la sua scorta e un convoglio d’approvvigionamento, raggiunse Orléans il 29 aprile del 1429. Come un vero capo militare “la Pulzella” respinse a più riprese gli attacchi inglesi. Il 7 maggio condusse l’attacco decisivo alle fortificazioni inglesi che cingevano d’assedio la città. La ragazza, mentre conduceva in prima persona la scalata alle mura della bastia di Les Tourelles, piazzaforte inglese, fu ferita gravemente da una freccia, proprio come le avevano annunciato le voci che la ragazza sentiva costantemente e che la guidavano nei suoi gesti, parole e azioni. Gli scontri si protrassero per tutto il giorno. Al calar della sera, quando ormai i francesi stavano per ritirarsi, Giovanna afferrò di nuovo il suo stendardo con le effigi di Gesù e Maria, spronando le truppe che ripresero coraggio e riuscirono ad espugnare Les Tourelles. Nello scontro decisivo fu fondamentale anche la strategia militare adottata dai francesi. Un’imbarcazione carica di materiale infiammabile fu fatta schiantare contro il ponte levatoio della bastia e data alle fiamme. Il danneggiamento del ponte impedì agli inglesi di poter uscire dal forte per poter contrattaccare, mettendoli di fatto in trappola. Il giorno successivo gli inglesi rinunciarono allo scontro decisivo in campo aperto, ritirandosi e abbandonando l’assedio della città.
Dopo aver tentato invano di liberare Parigi, Giovanna durante una delle sue azioni militari, il 24 maggio 1430, fu catturata a Compiègne dai borgognoni, alleati degli inglesi, che assediavano la città. La cattura di Giovanna d’Arco diede il via ad una serie di interventi da parte dell’Università di Parigi, del principe di Borgogna e del re d’Inghilterra. L’ateneo di Parigi richiese la consegna della prigioniera, ma la richiesta non fu accettata dagli alleati. Affidata a Giovanni di Lussemburgo, vassallo
del duca di Borgogna, fu trasferita a Rouen e consegnata a Giovanni duca di Bedford, reggente del regno di Francia a nome del re d’Inghilterra Enrico VI. Il 21 novembre l’Università di Parigi chiese al re d’Inghilterra di affidare Giovanna alla giustizia ecclesiastica, cosa che avvenne il 3 gennaio 1431, a condizione che la prigioniera, se non fosse stata condannata per eresia, venisse riconsegnata al sovrano inglese. La direzione del processo, tenutosi a Rouen, fu affidata al vescovo di Beauvais, Pierre Cauchon, uno dei principali prelati del partito anglo- borgognone, autorevole esperto di diritto canonico ed ex reggente dell’Università di Parigi575. A Cauchon nella conduzione del processo fu affiancato dall’inquisitore Jean Le Maistre. Il tribunale comprendeva inoltre un numero variabile di membri, che senza avere poteri giudiziari, partecipavano all’interrogatorio dell’imputata. Tra questi figurava Jean d’Estivet, nominato promotor fidei con l’incarico di raccogliere la documentazione dell’accusa e completarla nel corso della fase processuale. Secondo la recente storiografia - sfatando il preconcetto che voleva Giovanna vittima di un processo sommario che non aveva avuto correttezza procedurale – Cauchon procedette nel pieno rispetto delle norme. Il processo nei confronti di Giovanna, infatti, poteva essere istituito anche senza pubblicare i singoli capi d’accusa, in quanto “la Pulzella” era notoriamente sospetta di diffondere eresie e di avere un comportamento scismatico. L’inquisitore era perfettamente legittimato dal diritto di interrogare l’imputato senza comunicargli le accuse a suo carico, né le indagini preliminari svolte nei suoi confronti; l’imputato poteva venire a conoscenza di tali motivazioni soltanto se rappresentato da un avvocato, ma Giovanna non ne aveva uno.
Durante tutto il processo Giovanna fu affiancata e consigliata da un monaco di nome Nicolas Loisselleur, che era canonico a Rouen e che, pur al servizio di Cauchon, seppe guadagnarsi la fiducia della ragazza. Il canonico riportò certamente all’orecchio dell’inquisitore i contenuti delle conversazioni private tenute in carcere con Giovanna; nonostante ciò, la ragazza, pur essendosi resa conto del doppio gioco di Loisselleur, continuò a volerlo fino alla fine come
575 Il principale studio sul processo di condanna di Giovanna d’Arco, rimane G. e A. DUBY, Le procès
de Jeanne d’Arc, Paris 1973. Si veda anche il più recente T. CREMISI, Il processo di condanna di Giovanna d’Arco, Milano 2000.
confessore. Il canonico, nonostante la sua dipendenza dall’inquisitore, fece il possibile perché Giovanna nonostante la condanna avesse salva la vita.
Il processo di Giovanna d’Arco fu un processo inquisitoriale, ma allo stesso tempo anche politico e militare. Cauchon e gli altri membri del tribunale giudicante, oltre ad essere nemici della ragazza perché appartenenti allo schieramento anglo- borgognone, lo erano a maggior ragione, in quanto convintamente persuasi di avere a che fare con un’eretica o una strega, che dialogava non con Dio, ma con il Diavolo, mossa per giunta da una superbia smisurata. Si scontravano due convinzioni inconciliabili: da una parte il tribunale dell’Inquisizione, con le sue forme e procedure istituzionalizzate; dall’altra una giovane che aveva una fede incrollabile e un pensiero rigoroso, che le impediva di scendere a qualsiasi compromesso e di deviare dalla missione che le aveva affidato il Signore, neanche se la richiesta fosse arrivata dalla Chiesa576.
Nonostante il processo si fosse aperto il 9 gennaio 1431, Giovanna venne interrogata per la prima volta soltanto dopo sei settimane di detenzione, molto probabilmente per fiaccarla, oltre che nel corpo, anche nello spirito, in modo da renderla più mansueta e collaborativa nei confronti dell’inquisitore. Le dichiarazioni di Giovanna, agli occhi del vescovo Cauchon e dell’inquisitore Le Maistre, non erano altro che la manifestazione della sua superbia e, servivano a corroborare l’idea dei giudici che la ragazza fosse un’eretica e possedesse dei poteri magici. All’inizio dell’interrogatorio Giovanna chiese al vescovo di confessarla per poter recitare il Pater noster. Quello che poteva sembrare un atto di genuina religiosità, agli occhi dell’inquisitore apparve come un tentativo di Giovanna di mascherare la propria devianza dietro un atteggiamento di assoluta ortodossia, con lo scopo di aver salva la propria vita. Questa frattura dialogica tra le due parti, mise fin da subito i giudici, già maldisposti, sulla difensiva, portandoli ad inasprire il loro atteggiamento nei confronti dell’imputata. Ciò è riscontrabile anche nello stato di carcere duro cui fu sottoposta la ragazza. Giovanna, infatti,
576 “Nessun uomo vivente la farebbe recedere da ciò che Nostro Signore le ha detto di fare, le ha
comandato e le comanderà. Sarebbe impossibile per lei ritrattare queste [sue voci]. E non farebbe ad alcun costo qualcosa che la Chiesa le chiede, se fosse contrario al comando che ha ricevuto, a suo dire, da Dio”, G. KRUMEICH, Giovanna cit., pp. 98-99.