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Il rogo nella procedura inquisitoriale e l’introduzione del processo post

Nel documento Il rogo degli eretici nel Medioevo (pagine 60-65)

mortem

L’Inquisizione, come messo in luce dai recenti contributi di settore, nacque a “tentoni”194, caratterizzata da una fase preparatoria in cui il Papato cercò, attraverso dei tentativi non sempre riusciti, di far confluire molteplici contributi nella lotta antiereticale. Tra di essi il più efficace si rivelò essere lo sforzo pastorale, non solo dialogico e tollerante, dei frati mendicanti. Inizialmente dunque gli inquisitori non furono soltanto scelti tra le fila degli ordini mendicanti, né i frati erano titolari di un particolare uffcio nello scovare gli eretici. Una prima svolta si ebbe con la bolla di Gregorio IX del 22 novembre 1231, Ille humani generis, indirizzata ai frati Predicatori di Ratisbona, Burcardo e Teodorico. I due domenicani ricevevano dal papa l’incarico ad personam di compiere missioni inquisitoriali, in regioni particolarmente soggette al contagio ereticale. I frati avevano il potere di scomunica contro gli oppositori e i ribelli, fino ad allora riservato ai soli vescovi e legati. Le regole dell’inquirere non erano specificate,

193 A. PADOVANI, L’inquisizione cit., p. 389.

194 Sulla nascita dell’Inquisizione si veda L. PAOLINI, Papato, Inquisizione, frati, in Il Papato

duecentesco e gli ordini mendicanti, Spoleto 1998, pp. 179-204; la felice immagine dell’Inquisizione

inoltre come pena da infliggere agli eretici impenitenti e ai relapsi non si faceva alcun riferimento al rogo, ma si rimaneva sul vago, autorizzando gli inquisitori ad usare la “spada contro i nemici della fede e per il loro sterminio”. Nel corso degli anni Trenta del Duecento emergeva da queste inchieste la figura dell’inquisitor

domini papae. L’aiuto dei giudici per la fede nelle diocesi era imposto dal papa ai

vescovi che dovevano, a loro volta, fornire agli inquisitori tutto il loro appoggio e sotegno. Da questa convievnza imposta si generarono spesso rapporti difficili, influenzati dalle polemiche fra clero secolare e frati. L’incerto e discontinuo debutto dell’inquisizione - definito da Vauchez come fase “isterica e parossistica della repressione”195 – potè però giovare del rinato consenso dei vertici politici nei confronti della politica papale, grazie alla convergenza di progetti e strategie indirizzate alla lotta e alla repressione dell’eterodossia. Ciò fu dovuto al movimento dell’Alleluia che si diffuse in molte città padane, sancendo un ritrovato consensenso religioso e politico dei gruppi dirigenti comunali verso il Papato, cementato dal comune obiettivo dell’abbattimento del nemico eretico196. Con Innocenzo IV nel 1252 si superò la fase creativa e sperimentale. L’Inquisizione veniva a comporsi in un tribunale speciale e permanente con diffusione a base territoriale sistematica. Inoltre il pontefice, nell’affidamento dell’ufficio inquisitoriale, affiancava, accanto ai frati Predicatori, i frati Minori. Gli anni che vanno dal 1252 al 1254, segnarono il definitivo passaggio dagli inquisitori dell’eretica pravità deputati dalla sede apostolica all’Inquisizione come istituzione identificata e stabile. Il negotium pacis et fidei non aveva più connotazioni personali, l’inquisitore non doveva rispondere più al papa del suo operato, ma era tenuto a confrontarsi con i gradi gerarchici dell’ordine di appartenenza. Questo mutamento segnò il definitivo passaggio dall’inquisizione papale a gestione personale ad una forma di gestione indiretta, a carico degli Ordini mendicanti. La definitiva consacrazione di questa riforma si ebbe con Alessandro IV. Il pontefice concesse al

195 A. VAUCHEZ, Apogeo del Papato ed espansione della Cristianità (1054-1274), ed. it. a cura di A.

VASINA, Roma 1997, p. 788.

196 Merlo considera l’Alleluia una “svolta di portata storica” e ancora “svolta assai importante e,

tribunale inquisitoriale la piena indipendenza istituzionale con potere giuridico proprio.

Aspetto legato alla pena del rogo è il suo possibile utilizzo anche nei riguardi di eretici defunti. Nel Corpus iuris civilis la morte del reo portava all’estinzione di tutti i procedimenti a suo carico. La persecutio post mortem197 nel

diritto romano era un provvedimento eccezionale, riservato a delle azioni criminali particolarmente riprovevoli e che ledevano l’intera comunità, come ad esempio il crimine di perduellio, di peculato, di concussione e il reato di lesa maestà, uno dei più gravi di tutto l’ordinamento giuridico romano. L’azione penale contro un defunto era sostanzialmente di natura fiscale, si procedeva infatti alla confisca dei beni del reo presso i suoi eredi a beneficio del fisco. La damnatio memoriae che colpiva il reo defunto quindi non riguardava assolutamente il corpo del condannato – solo nel caso di deportati o di esiliati era possibile che fosse negati i riti funebri e la sepoltura198 -, ma aveva soltanto risvolti giuridici ed economici.

Con l’avvento del Cristianesimo, la procedura post mortem venne estesa anche agli eretici, in quanto perseguiti per il reato di lesa maestà. Anche per il reato di eresia la damnatio memoriae aveva esclusivamente finalità fiscali, gravando sugli eredi. Le spoglie mortali dell’eretico erano risparmiate da qualsiasi atto dissacratorio. In età medievale i giuristi della Scuola bolognese ribadirono questa impostazione legislativa riguardante la persecuzione penale dei defunti ritenuti colpevoli di lesa maestà e di eresia. Anche per i glossatori la condanna postuma poteva riguardare soltanto la sua memoria, senza alcuna ripercussione sul corpo (memoria eius damnata fuerit, nam ipse cum sit mortuus non potest

damnari nisi a Deo). Con la morte fisica terminava la gurisdizione terrena, il

condannato passava ad essere giudicato da un altro tribunale, quello divino199. Un atteggiamento analogo si riscontra anche nella legislazione statutaria, com’è

197 Sul processo post-mortem si veda: E. VOLTERRA, Processi penali contro i defunti in diritto

romano, in “Revue internationale des droits de l’antiquité”, 3 (1949), pp. 485-500; L. FANIZZA, Il crimine e la morte del reo, in Mélanges de l’École française de Rome, 96 (1984), pp. 671-695; A.

ERRERA, Ac si vivus esset. Sanzione penale e morte del reo nell’esperienza del diritto comune, in A

Ennio Cortese, I, a cura di D. MAFFEI, I. BIROCCHI, Roma 2001, pp. 536-568.

198 L. FANIZZA, Il crimine e la morte cit., p. 692.

testimoniato dall’assenza negli statuti di disposizioni riguardanti sanzioni da prendere nei confronti dei cadaveri di condannati.

La prima norma esplicitamente indirizzata a colpire anche il corpo dell’eretico defunto fece la sua comparsa nel 1179, durante il terzo concilio Lateranense. Venne stabilito per la prima volta che chi fosse morto come eretico non poteva essere sepolto in terra consacrata, accanto alle spoglie di altri cristiani200. L’eretico doveva essere allontanato fisicamente dal suolo sacro, poiché simbolicamente la devianza continuava la sua opera contaminatrice anche dopo la morte del reo201.

In seguito si passò ad applicare agli eretici defunti la pena del rogo prevista dalla legislazione per gli eterodossi viventi. I defunti giudicati in stato di eresia venivano riesumati, consegnati al potere secolare e dati alle fiamme. L’Ordo

processus Narbonensis202, un manuale inquisitoriale redatto da due inqusitori

domenicani, presumibilmente sotto il pontificato di Innocenzo IV (1243-1254), dedica una parte specifica del trattato all’esumazione e al rogo degli eretici scoperti tali soltanto dopo la morte:

“Mortuos quoque hereticos et credentes, expressis eorum erroribus et culpis et aliis, dampnamus similiter isto modo: Nos inquisitores, (…) iudicamus hereticum decessisse atque ipsum et ipsius memoriam pari severitate dampnantes, ossa eius, si

200 “Si autem in hoc peccato decesserit, neque sub privilegiorum nostrorum quibuscunque

indultorum obtentu, neque sub alia quacunque occasione oblatio pro eo fiat, aut inter Christianos accipiat sepulturam”, Liber Extra, in Corpus Iuris Canonici cit., II, X 5.7 c.8.

201 Alessandro IV in una decretale emanata tra il 1254 e il 1261 scomunicava coloro che avessero

osato seppellire un’eretico in terra consacrata. Lo scomunicato avrebbe ricevuto l’assoluzione solo dopo la dissepoltura pubblica del deviante fatta con le proprie mani: “Quicunque haereticos, credentes, receptatores, defensores vel fautores eorum scienter praesumpserint ecclesiasticae tradere sepulturae, usque ad satisfactionem idoneam excommunicationis sententiae se noverint subiacere, nec absolutionis beneficium mereantur, nisi propriis manibus publice extumulent, et proiiciant huiusmodi corpora damnatorum, et locus ille perpetua careat sepultura”, Liber Sextus, in

Corpus Iuris Canonici cit., II, VI 5.2 c.2.

202 L’Ordo processus Narbonensis è edito da K.V. SELGE, Texte zur Inquisition, Gütersloch 1967

(Texte zur Kirchen – und Theologiegeschichte 4), pp. 70-76. Per quanto riguarda lo studio del trattato si veda: A. DONDAINE, Le Manuel de l’Inquisiteur (1230-1330), in Les hérésies et l’Inquisition,

XIIe-XIIIe siècles: Documents et études, ed. Y. DOSSAT, Aldershot 1990, pp. 97-101; cfr. R. PARMEGGIANI, Explicatio super officio inquisitionis: origini e sviluppi della manualistica

inquisitoriale tra Due e Trecento, Roma 2012, pp. XII-XVII. Si veda anche la voce a cura di J.H.

ab aliis discerni poterunt, de cemeterio ecclesiastico exhumari simulque comburi decernimus in detestationem criminis tam nefandi”203.

La medesima attenzione alla repressione dei casi di eresia scoperti post mortem si riscontra anche nei manuali inquisitoriali successivi dei secoli XII-XIII. L’esumazione e la combustione degli eretici conobbero un’applicazione diffusa poiché la Chiesa intendeva bloccare la nascita di culti legati alla venerazione di alcuni eretici, ritenuti santi dalla popolazione, come nel caso ferrarese di Armanno Pungilupo o quello milanese di Guglielma204.

203 Texte zur Inquisition cit., p. 75.

204 Sulla vicenda di Pungilupo si veda: G. ZANELLA, Armanno Pungilupo, eretico quotidiano, in

Hereticalia cit., pp. 3-14; M. BASCAPÈ, “In armariis officii inquisitoris Ferrariensis”. Ricerche su un frammento inedito del processo Pungilupo, in Le scritture e le opere degli inquisitori, Quaderni di Storia Religiosa 9, Verona 2002, pp. 31-110; M. BENEDETTI, Inquisitori lombardi del Duecento,

Roma 2008, pp. 296-299. Su Guglielma si rimanda a M. BENEDETTI, Io non sono Dio. Guglielma di

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