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Gli eretici di Monforte (1028)

Nel documento Il rogo degli eretici nel Medioevo (pagine 119-121)

CAP III: I PRINCIPALI ROGHI PRIMA DELL’INQUISIZIONE.

2. Gli eretici di Monforte (1028)

Per quanto riguarda l’Italia, il primo caso conosciuto di comunità ereticale è quello degli eretici di Monforte, località piemontese, della quale non si conosce l’esatta ubicazione: stando a quanto riportato da Rodolfo Glabro apparteneva alla diocesi d’Asti358. Rodolfo racconta che il vescovo di Asti, Alrico, con l’aiuto del fratello il marchese Manfredi, aveva compiuto diverse spedizioni armate contro questa località, condannando al rogo gli eretici catturati che si rifiutavano di abiurare359.

Landolfo Seniore nella sua Historia Mediolanensis, riferisce che l’arcivescovo di Milano, Ariberto di Intimiano, durante una visita pastorale, avvenuta molto probabilmente nel 1028, fermatosi per un breve soggiorno a Torino, venne a conoscenza dell’esistenza di questa comunità ereticale360. Convocato a colloquio un

loro rappresentante, tale Gerardo361, lo sottopose a un attento esame per

357 “At illi male in sua confisi vesania, vel pertimescere se iactantes, seque evasuros ab igne illaesos

promittentes, quin potius ad meliora sibi suadentibus spernendo illudebat. Cernene quoque rex et universi qui aderant, minus posse illos revocari ab insania, iussit accendere non longe a civitate ignem permaximum, ut vel eo forte territi a sua malignitate desinerent”, RODOLFO GLABRO,

Historiae cit., col. 663.

358 Ibidem, coll. 672-673.

359 “Saepissime denique tam Mainfredus marchionum prudentissimus, quam frater eius Alricus

Astensis urbis praesul, in cuius scilicet diocesi locatum habebatur praedictum castrum, caeterique marchiones ac praesules circumcirca creberrimos illis assultus intulerunt, capientes ex eis nonnullos, quos dum non quivissent revocare ab insania, igne cremavere”, ibidem, col. 672.

360 LANDOLFO SENIORE, Historia Mediolanensis, ed. L.C. BETHMANN-W. WATTENBACH, MGH, SS,

VIII, p. 65.

361 Secondo La Taviani-Carozzi Gerardo sarebbe un chierico, giungendo a tale conclusione

attraverso un’attenta analisi del vocabolario e dello stile della sua confessione pronunciata di fronte Ariberto, H. TAVIANI-CAROZZI, Naissance d’une hérésie en Italie du Nord au XIe siècle, in “Annales. Économies, Sociétés, Civilisations”, 5 (1974), pp. 1224-1252, nello specifico p. 1242. Del resto la preparazione degli eretici e nello specifico di Gerardo era già stata messa in evidenza qualche anno

comprendere meglio le credenze dottrinali, dommatiche, morali e anche l’organizzazione gerarchica del gruppo, accertandone la non conformità alla Chiesa cattolica della comunità. Gli abitanti di Monforte infatti, interpretavano liberamente le Sacre Scritture, non credevano nell’incarnazione del Cristo e nella funzione redentrice della sua passione e morte; inoltre cosa ancor più grave agli occhi dell’arcivescovo, avevano un proprio pontefice senza tonsura e un gruppo di

maiores incaricati di pregare incessantemente giorno e notte, a tutti gli effetti

quindi una propria gerarchia con funzioni specifiche.

Ariberto inviò una spedizione militare a Monforte con il compito di arrestare gli eretici e condurli a Milano. Tra gli arrestati risultò esservi anche la contessa del luogo, a testimonianza di come questa dottrina avesse coinvolto in maniera trasversale tutto il villaggio, incontrando i favori sia dei rustici sia dei nobili del posto. L’arcivescovo portò con sé i prigionieri a Milano, cercando per diversi giorni, grazie all’aiuto dei suoi sacerdoti, di ricondurre sulla via della fede gli eretici, avendo ben coscienza della portata della loro eresia e perciò temendone una rapida diffusione in altre zone. L’arcivescovo, come si evince anche dal racconto di Landolfo, non usò con i suoi “ospiti” metodi coercitivi; tutt’altro. Gli eretici di Monforte a quanto pare non erano soggetti ad alcuna restrizione, infatti, li troviamo liberi di muoversi nella città di Milano e anche, questo quasi sicuramente a insaputa di Ariberto, intenti a fare proselitismo tra i ceti cittadini meno abbienti. Questo proselitismo allarmò però le classi sociali più elevate che, nonostante le esitazioni dell’arcivescovo, posero gli eretici di fronte a una scelta: vivere o morire. A tal proposito eressero da una parte una croce e dall’altra una pira, alcuni di essi abiurarono, ritornando alla fede, molti altri non si piegarono e abbracciarono la morte entrando nelle fiamme coprendosi il volto con le mani362. Laconico è il commento di Landolfo sul tragico epilogo della vicenda: “misere

prima dal Capitani quando affermava che: “i Monfortini hanno certamente un’esperienza del Vecchio e Nuovo Testamento e dei canoni”, in riferimento alla convivenza casta tra uomini e donne presso gli eretici riferita da Gerardo ad Ariberto, O. CAPITANI, Storiografia e Riforma della Chiesa in

Italia, in La storiografia altomedievale II, Spoleto 1970, pp. 557-629, nello specifico si veda p. 619.

362 “Quod cum civitatis huius maiores laici comperissent, rogo mirabili accenso, cruce Domini ab

altera parte erecta, Heriberto nolente illis omnibus eductis lex talis est data, ut si vellent omni perfidia abiecta crucem adorarent, et fidem quam univerus orbis tenet confiterentur, salvi essent; sin autem, vivi flammarum globos arsuri intrarent.”, LANDOLFO SENIORE, Historia cit., p. 66.

morientes in miseros cineres redacti”, ma significativo per comprendere l’opinione che un uomo di cultura e di chiesa aveva di questi nuovi fermenti religiosi.

Landolfo vede gli eretici di Monforte come dei semplici, provando quasi pena per la loro natura; agli occhi dello scrittore non c’è posto all’interno della Chiesa per esperienze religiose laico-popolari, ritenute sintomo non di un malessere sociale, ma piuttosto di una miseria culturale - erano ignoranti di latino, quasi analfabeti e di umili condizioni - e di una semplicità teologica363. Qualcuno può vedere nei Monfortini dei precursori della Pataria milanese, ma, come ha giustamente osservato il Capitani, questa similitudine più che della realtà è frutto della ricostruzione dell’avvenimento da parte di Landolfo: si ha “l’impressione che siano elementi per così dire teorici della Pataria a fornire, a posteriori, un contenuto dottrinale ai Monfortini”364.

Nel documento Il rogo degli eretici nel Medioevo (pagine 119-121)