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Luca di Tuy, De altera vita (1236)

Nel documento Il rogo degli eretici nel Medioevo (pagine 85-91)

CAP II: LA GIUSTIFICAZIONE DELLA CONDANNA NELLA CONTROVERSISTICA.

7. Luca di Tuy, De altera vita (1236)

La vita di Luca di Tuy è ancora poco conosciuta, poiché le informazioni che possediamo sono molto succinte. Molto probabilmente nacque a León, verso la fine del XII secolo, anche se Peter Linehan ha recentemente ipotizzato che il luogo di nascita fosse l’Italia270. Anche della sua educazione sappiamo poco, dai suoi scritti sembra emergere che si sia formato alla scuola cattedrale di Sant’Isidoro di León, dove ricoprì i ruoli di diacono e in seguito di canonico. Luca di Tuy, durante la sua vita compì numerosi viaggi, sappiamo con certezza che si recò in pellegrinaggio a Gerusalemme, visitò la Grecia, Costantinopoli, Tarso e l’Armenia. Inoltre durante la

268 “principes qui habent gladium materialem, oportet quod sint sapientissimi et de magna

discretione, et ideo non debent esse currentes ad occidendum, sed remoto ne forte, secure possunt postea facere vindictam de interfectione”, ibidem, p. 306.

269 SALVO BURCI, Liber cit., pp. XXII-XXIII.

270 Sulle varie ipotesi circa l’origine di Luca di Tuy si veda la sintesi fatta da E. Falque Rey

nell’introduzione alla sua edizione del Chronicon mundi: LUCA DI TUY, Chronicon mundi, cura et studio E. FALQUE REY, Corpus Christianorum. Continuatio Medievalis, LXXIV, Turnhout 2003, p. VII e nota 1.

sua gioventù soggiornò a Parigi e a Roma (probabilmente tra il 1230 e il 1231)271. Nel 1239 fu nominato vescovo di Tuy, incarico che ricoprì fino alla sua morte avvenuta nel 1249. Tuy era una piccola diocesi situata sulla riva nord del fiume Miño, a pochi chilometri dall’Oceano Atlantico, sotto la giurisdizione dell’arcivescovo di Santiago di Compostela272.

Tra le opere di Luca di Tuy, la più importante è il Chronicon mundi, opera di chiara ispirazione isidoriana, che narra i principali avvenimenti dall’origine del mondo per terminare nel 1236, data della conquista di Cordoba da parte di Fernando III. Luca di Tuy coltivò anche il genere agiografico, scrivendo il De

miraculis sancti Isidori dedicata al santo sivigliano. L’opera che a noi interessa

maggiormente è il De altera vita, opera di carattere apologetico scritta contro gli albigesi di León, probabilmente quando Luca di Tuy era ancora diacono273.

Il De altera vita, edito per la prima volta dal padre Mariana con il titolo De

altera vita fideique controversiis adversus Albigensium errores libri III274, dal punto

di vista della dottrina non presenta aspetti di originalità, mentre la sua importanza è data dal fatto che rappresenta il primo esempio di trattato antieretico scritto nella Spagna Medievale275.

Sulla data di composizione dell’opera, le ipotesi degli studiosi sono diverse: l’opera sarebbe stata composta tra il 1230 e il 1240276. Secondo Martínez Casado, ultimo in ordine di tempo ad occuparsi del problema della datazione dell’opera, sarebbe da far risalire al 1236277.

Le fonti principali utilizzate da Luca di Tuy nella composizione dell’opera sono principalmente tre autori: Sant’Agostino, Gregorio Magno e Sant’Isidoro, ai quali Luca attribuisce il medesimo epiteto, malleus haereticorum278. L’opera si apre

271 Ibidem, p. VIII.

272 Ibidem, p. XI. 273 Ibidem, p. XII.

274 LUCA DI TUY, De altera vita, cura et studio E. FALQUE REY, Corpus Christianorum. Continuatio

Medievalis, LXXIV A, Turnhout 2009, p. X nota 6.

275 Ibidem, p. XI.

276 Sui vari studiosi che si sono occupati della datazione dell’opera si rimanda alla sintesi

introduttiva di Falque Rey, ibidem, p. XVI.

277 A. MARTÍNEZ CASADO, Cátaros en León. Testimonio de Lucas de Tuy, in “Archivos Leoneses”, 37

(1983), pp. 263-311, il problema della datazione è affrontato nello specifico alle pp. 271-272.

con un prologo in cui l’autore indica le circostanze che l’hanno portato a comporre questo trattato e l’obiettivo che si prefigge. Fin dalle prime battute si nota il carattere dialettico del trattato con un’invettiva a coloro che negano i miracoli e l’intercessione dei santi279. Inoltre fin da subito si evince che, per Luca, non ci può essere dialogo, gli eretici sono irrecuperabili perché negano a Dio la sua creazione più mirabile: l’umanità280. La divisione in capitoli dell’opera è moderna, infatti fu il primo editore del testo, il padre Mariana a dividere il trattato in tre parti, per facilitarne la lettura, ritenendo che il testo presentasse tre temi principali281.

Il primo libro tratta delle questioni sulla vita ultraterrena, da qui il nome del trattato. Sono prese in considerazione le relazioni tra vivi e defunti, se esista o no un mondo dopo la morte e quali pene e ricompense ci attendono. Luca di Tuy in questa prima parte attinge molto dai Dialoghi di Gregorio Magno, tanto che si può considerare questa prima parte come un sunto della dottrina escatologica del santo282. Il secondo libro è costituito da una raccolta di trattati indipendenti l’uno dall’altro, in cui l’autore riflette sui sacramenti e i riti sacri e termina con un’esortazione rivolta ai chierici a condurre una vita esemplare. Il terzo e ultimo libro ha come obiettivo quello di mettere in luce le tecniche clandestine di proselitismo adottate dagli eretici. Senza dubbio questa è la parte più interessante del trattato, che termina con la dichiarazione esplicita da parte di Luca di Tuy che l’unica condanna possibile per gli eretici è la pena di morte283.

279 “Sed vae, vae, vae veritatis inimicis haereticis! Qui protervis latratibus, ore rabido vineam

haereditatis Domini Sabaoth dente canino et dolo vulpino dilacerare ac demoliri non cessant atque sanctorum miracula, quae vident vel audiunt, aut certe negant aut, si negare nequeant, deliramenta daemonum procaciter esse affirmant et simplices quosque sanctorum patrociniis et solatiis spoliare conantur. Audent enim contendere nos sanctorum auxiliis in nullo penitus adiuvari”, ibidem, p. 3. L’immagine delle volpi che devastano la vigna è ricorrente durante tutto il Medioevo e rappresentano un’allegoria degli eretici che minacciano la Chiesa, H. GRUNDMANN, Oportet et

hereseos hesse. Il problema dell’eresia rispecchiato nell’esegesi biblica medievale, in L’eresia medievale, a cura di O. CAPITANI, Bologna 1972, pp. 23-60, si vedano nello specifico le pp. 35-36; le

volpi che vanno catturate, stanno a significare il pericolo che gli eretici portano alla Chiesa e la reazione che suscitano, L. PAOLINI, L’eresia cit., p. 375.

280 “Et quia humanum corpus factum a diablo mentiuntur, eorum corpora ipsis iubentibus

sepeliuntur in sterquilinio et eorum animae ipsis nolentibus retruduntur horribiliter in infernum”, LUCA DI TUY, De altera cit., p. 4.

281 Ibidem, p. XII. 282 Ibidem, pp. XIV-XV. 283 Ibidem, pp. XIV- XVI.

I capitoli che maggiormente coinvolgono la nostra indagine sono il XXI (Haeretici laeti subibant mortem) e il XXII (Haereticos merito puniendos videri) del terzo libro. Nel capitolo XXI Luca sostiene che la gioia mostrata dagli eretici al momento dell’esecuzione non abbia nulla di divino bensì sia da ricondurre al loro legame col diavolo. Inoltre è da escludere assolutamente la similitudine della loro morte con quella dei martiri. Infatti i martiri, secondo Luca, sono andati incontro alla morte con la gioia dello spirito e non del corpo, è stata proprio la passione del corpo a rendere loro il Regno dei Cieli e la venerazione degli uomini. Gli eretici invece si vantano di non provare alcun dolore, questo miracolo secondo Luca non proviene da Cristo, ma ha una natura diabolica:

“Quorundam haereticorum mentes in tantum invasit diabolus ut, dum propter haeresim capti ducuntur ad mortem, nullatenus tristari, sed gaudere potis videantur (…) Quamvis multos martyrum legamus in sua passione gaudere (…) hoc de gaudio spiritus intelligendum est, non de gaudio corporeo (…) Quanto maior est dolor corporis in passione, tanto maius manet premium pro iustitia patienti. Qui autem non patitur pro iustitia, sed pro heresi, in hoc quod dcit se corporis non sentire dolorem, ostendit se ad Christi corpus minime pertinere, qui pro nobis cum dolore sustinuit passionem. Miracolosum est secari in corpore et non sentire dolorem, sed haereticus non ostendit miracula a Deo fieri in hoc mundo. Est ergo a diabolo eius insensibilitas”284.

Nel capitolo successivo (XXII), che termina il trattato, Luca passa a dimostrare la giustezza della pena di morte per gli eretici. Commentando un passo del Deuteronomio (13,1-3) arriva a sostenere che non bisogna ascoltare le parole degli eretici, ma bisogna ucciderli senza indugio, anche se conducono una vita irreprensibile o operano miracoli:

“His manifeste patet non esse haereticum audiendum, sed occidendum, quantumcumque bene vivere videatur, etiamsi futura praedixerit vel miracula operetur”285.

284 Ibidem, p. 223.

Tutti gli eretici devono essere uccisi, anche se fratelli, figli mogli o amici, perché incorreggibili e colpevoli di allontanare il cristiano dalla comunione con Dio e con la Chiesa “occidendi sunt incorrigibiles impii et maxime qui falsa praedicatione alios volunt a Domino separare”286. I luoghi da loro frequentati demoliti e anche chi li nasconde favorendoli deve subire la condanna a morte:

“Non est parcendum fratri aut filio sive uxori vel amico, quantumcumque sit charissimus, si fuerit infectus labe haereticae pravitatis (…) Igitur iusto iudicio dignus est morte temporali et aeterna haereticus, qui hominem a Domino Deo suo nititur separare.

Quod etiam locus contaminatus ab haereticis demoliendus sit propter eorum nequitiam et populus, qui dissimulat occidendus, lex divina praecipit”287.

La colpa dei genitori coinvolge anche i figli piccoli, che devono essere uccisi in maniera preventiva, evitando così che crescendo compiano gli stessi errori dei genitori. L’eresia deve essere sradicata fin dalle radici senza alcuna pietà affinché sia da monito per tutti a rifuggirla:

“Propter impietatem parentum etiam filios parvulos, qui, ut credo, si viverent, forent paterni sceleris imitatores, Dominus iussit necari (…) ut haeretici radicitus evellantur, cuncta quae possidere videntur, ut aliis sint in exemplum terroris, sunt penitus extirpanda”288.

Luca si rivolge con toni forti anche alle autorità secolari, ricordando loro l’impegno che devono profondere nella repressione dell’eresia, essendo demandati a ciò direttamente da Dio. Il mancato sostegno alla Chiesa in questa lotta comporterebbe la loro dannazione e l'equiparazione agli eretici stessi:

286 Ibidem, p. 229.

287 Ibidem, pp. 225-226; in questo passo Luca rende benissimo, attraverso verbi come infectus e

contaminatus, l’idea dell’eresia come malattia infettiva che colpisce gli uomini e alla quale non c’è

altra cura se non l’eliminazione del malato. Questa metafora ricorre ampiamente negli scritti del tempo e sarà uno dei modi più utilizzati per identificare l’eresia, si veda: W. LOURDAUX-D. VERHELST (a cura di), The concept of heresy in the middle ages (11th-13th C.), Louvain 1976.

“possunt seculi principes suae damnationis elicere argumentum, si non dederint operam efficacem in haereticis puniendis. Iustissimo Dei iudicio carebunt huius seculi regno, carebunt gloria Dei in futuro et aeternaliter punientur cum haereticis, quibus impie pepercerunt (…) tenentur reges et principes pro tuitione bonorum impios trucidare”289.

Dopo aver tratto la giustificazione della pena di morte per gli eretici da passi del Vecchio Testamento, Luca di Tuy nella sua invettiva si concentra sul Nuovo e sul pensiero di alcuni padri della Chiesa (Girolamo, Isidoro e Agostino), senza tralasciare il diritto con il Decretum di Graziano. Tutto il discorso di questa seconda parte dell’ultimo capitolo è incentrato sull’asserto che uccidere gli eretici non è un omicidio: clarius ostendamus, qui occidit impios, homicidium non

committere290. Se, come testimoniano le Scritture, anche Dio ha ucciso degli empi perché lo avevano ingannato (Att 5,1-10), anche noi dobbiamo seguire il suo esempio e uccidere gli eretici, anch’essi ingannatori, in perfetto accordo con le leggi divine:

“si Deus miraculose occidit impios, exemplum raebet suis, quod ipsi eos ex zelo divinae legis debeant trucidare”291.

Luca, fatta una recensio di alcuni passi di Girolamo, Agostino, Isidoro e del

Decretum di Graziano, in cui non si fa altro che ribadire la totale legittimità

dell’effusio sanguinis, arriva ad affermare che: “interficiendos inimicos haereticos et in nullo eis penitus condolendum, quin eorum immanitas scelerum durius feriatur”292.

In sostanza il trattato di Luca di Tuy non presenta elementi di originalità. L’autore non fa altro che riproporre una serie di passi tratti dalle Scritture e dai padri della Chiesa per sostenere la condanna a morte dell’eretico. Condanna che è difesa in termini molto chiari, anche se con un’argomentazione teologica piuttosto

289 Ibidem, pp. 227-228. 290 Ibidem, p. 230. 291 Ibidem, p. 230. 292 Ibidem, p. 232.

scarna. Non è presente nessun riferimento a come debba essere eseguita materialmente la pena, anche perché l’intento dell’autore è principalmente quello di difendere la posizione della Chiesa che era coinvolta soltanto indirettamente nell’esecuzione della pena. A differenza di altri trattati controversistici, l’autore non si preoccupa minimante di dover sostenere una disputa, se pur immaginaria con l’eretico. Per Luca di Tuy, non esiste nessun dialogo possibile con gli eretici e di conseguenza è esclusa ogni possibilità di conversione e ritorno in comunione con la Chiesa: è scomparsa totalmente la persuasio, l’unico mezzo per combattere l’eresia è la coercitio.

Nel documento Il rogo degli eretici nel Medioevo (pagine 85-91)