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Il rogo nella “dissidenza” francescana

Nel documento Il rogo degli eretici nel Medioevo (pagine 189-194)

CAP IV: I PRINCIPALI ROGHI DELL’INQUISIZIONE.

7. Il rogo nella “dissidenza” francescana

Tra la fine del Duecento e l’inizio del Trecento, all’interno dell’Ordine minoritico esplosero delle tensioni relative al modo di intendere e vivere la povertà. Le controversie oltre che sulla definizione stessa di povertà francescana portarono anche molti frati ad interrogarsi sulle modalità di osservanza del voto e se si fosse perduta quella originaria vocazione testimoniata e trasmessa da Francesco. Queste posizioni, sostenute dai “francescani spirituali”, furono giudicate

550 “(…) Tam haeresim manifestam quam scismata, apostasiam a fide, magiam, sortilegia,

divinationes, sacramentorum abusus et quaecumque alia quae etiam praesumptam haeresim sapere videntur”, A. PROSPERI, Credere alle streghe cit., il passo è citato a p. 32 nota 41.

ereticali e portarono l’Inquisizione ad occuparsi anche della “dissidenza francescana”, che verrà ad assumere le connotazioni di “eresia della disobbedienza”. Non di rado esponenti dell’Ordine svolsero, in veste di inquisitori, dei processi contro loro confratelli, come vedremo nel caso marsigliese552.

L’elezione al soglio pontificio nel 1316 del cardinale Jacques Duèse, col nome di Giovanni XXII e la nomina di Michele da Cesena a ministro generale dei Minori, segneranno la definitiva crisi e la sconfitta degli Spirituali. Il nuovo pontefice, a partire dalla primavera del 1317, diede l’avvio ad una campagna repressiva nei confronti degli Spirituali di Provenza e di Toscana, coinvolgendo i titolari dell’ufficio inquisitoriale.

È in questa politica repressiva verso la dissidenza minoritica, inaugarata da Giovanni XXII che si colloca il rogo di Marsiglia. La Provenza, come tutto il Midi francese, era una delle regioni dove maggiormente il movimento spirituale riceveva consensi. Qui a differenza dell’Italia centro-meridionale il fenomeno non era limitato ai soli frati, ma coinvolgeva anche numerosi fedeli di città quali Narbona, Béziers e Carcassona che un tempo erano state teatro dell’eresia dualista. Il pontefice, con una bolla datata 8 novembre 1317553, aveva dato mandato a Michel Le Moine, inquisitore della provincia, affinché procedesse “pestis omnimodam exterminationem” contro ventisei frati minori accusati di sostenere teorie ereticali554. Il papa autorizzava l’inquisitore a non tener conto di qualunque documento, anche di quelli emanati dai suoi predecessori, che potessero in qualche modo frenare la sua attività repressiva. Da lì a poco le posizioni degli Spirituali si sarebbero aggravate. Il 30 dicembre 1317 il papa pubblicava la bolla Sancta

552 Per una migliore comprensione contestualizzazione dei mutamenti intercorsi all’interno

dell’Ordine francescano tra Due e Trecento e la nascita di spinte riformatrici si rimanda a Chi erano

gli Spirituali?. Atti del III convegno internazionale, Assisi 1975 (Società internazionale di Studi

francescani), Assisi 1976; R. LAMBERTINI, Spirituali e fraticelli: le molte anime della dissidenza

francescana nelle Marche tra XIII e XV secolo, in I francescani nelle Marche. Secoli XIII- XVI, a cura di

L. PELLEGRINI, R. PACIOCCO, Cinisello Balsamo 2000, pp. 38-53; D. BURR, The Spiritual

Franciscans: from Protest to Persecution in the Century after saint Francis, Philadelphia 2001; G.G.

MERLO, Nel nome di Francesco cit. pp. 252-276. Si veda inoltre la voce Francescani, età medievale, a cura di R. LAMBERTINI, nel Dizionario Storico dell’Inquisizione cit., II, pp. 616-618.

553 La bolla di Giovanni XXII si trova in BALUZE-MANSI, Miscellanea, II, Lucae 1761, pp. 247-248. 554 “Nuper siquidem non absque multa mentis turbatione percepto quod nonnulli praesenti

Minorum ordinis fratres solo nomine professores ad eam mentis inopem caecitatem devenerant quod haeretica labe respersi adversus saluberimam quod haeretica labe respersi adversus saluberrimam christiane fidei veritatem”, ibidem, p. 247.

Romana555 con la quale condannava tutti quei gruppi dalla varia denominazione

(“Fraticelli seu Fratres de paupere vita aut Bizzocchi sive Beghini”) che avevano dato vita a una nova religio, dotandosi di una gerarchia propria e fondando nuovi insediamenti; è in questa bolla che gli Spirituali vengono definiti, per la prima volta, spregiativamente, fraticelli. Tale presa di posizione da parte del Papato toglieva a queste esperienze di vita religiosa ogni margine di difesa e di possibile esistenza. La Sancta Romana poneva le premesse canonistiche per l’ereticazione della “dissidenza francescana” e per la sua repressione.

Il processo agli spirituali marsigliesi si colloca in questa nuova fase di ridefinizione in termini eterodossi della non conformità all’Ordine e alla Chiesa di Roma di queste esperienze. Del procedimento, che si protrasse per circa un anno, non si possiedono gli atti, l’unica fonte a nostra disposizione è la senteza di condanna emessa dall’inquisitore, rivelativa delle imputazioni mosse a carico dei frati556.

Michel Le Moine rivolgeva ad essi l’accusa di aver rifiutato di prestare obbedienza alle prescrizioni di Giovanni XXII contenute nella Quorundam exigit (ottobre 1317), specialmente quelle che stabilivano quale dovesse essere l’abito dei Minori e i beni che ai frati era permesso possedere per adempiere ai loro bisogni primari (forma sive figura habitus et quaestu bladi et vini pro vitae

necessariis fratrum)557. Nelle accuse mosse dall’inquisitore, non si riscontra alcuna devianza di natura dottrinale, ma una colpa di disobbedienza.

Il giudice della fede prima di emettere la condanna chiese un parere ad un gruppo di sapientes costituito da vescovi, prelati, baccellieri e dottori in teologia. Tutti furono concordi nel definire eretiche le tesi sostenute dai frati processati. Il responso dei sapientes fu sottoposto anche all’attenzione di Michele da Cesana, generale dei Minori, che ratificò il pronunciamento della commissione. La maggior parte dei frati sottoposti a giudizio ritrattò, soltanto cinque confratelli si

555 Bullarium Franciscanum, ed. C. EUBEL, V, Romae 1898, n. 297, pp. 134-135.

556 La sentenza di condanna pronunciata da Michel Le Moine è edita in BALUZE-MANSI, Miscellanea,

II, cit., pp. 248-251. Sul rogo degli Spirituali di Marsiglia: si veda R. MANSELLI, Spirituali e Beghini in

Provenza, (Istituto storico italiano per il medio evo, Studi storici, fasc. 31-34), Roma 1959, pp. 150-

156.

mostrarono irremovibili nelle loro posizioni, sostenendo che le prescrizioni imposte loro dal papa erano contrarie alla testimonianza di povertà trasmessa dal Cristo e diffusasi grazie agli apostoli e che nessun uomo coscenzioso poteva accettarle558. Il 6 maggio 1318, nel cimitero della Beata Maria di Marsiglia venne pronunciata pubblicamente la sentenza di condanna. Giovanni Barrani, Diodato

Michaelis, Guglielmo Santoni e Ponzio Rocha furono condannati come eretici,

degradati allo stato laicale e consegnati al braccio secolare per l’esecuzione della condanna al rogo559. Bernardo Aspa invece fu espulso dall’ordine e condannato al carcere perpetuo e all’obbligo di portare sopra le sue vesti delle croci. Se fosse fuggito o avesse smesso di portare le croci, sarebbe stato condannato come impenitente e bruciato come i suoi confratelli560.

La condanna per eresia nel caso degli Spirituali marsigliesi era dovuta al fatto di non accettare da parte dei frati i mandata ecclesiae e nella loro pertinace volontà di restare fedeli al proponimento della povertà assoluta. Ciò li portò ad essere considerati come membri di un Ordine non autorizzato e quindi passibili di repressione in quanto costituitisi non rispettando i canoni della Chiesa561.

Nella seconda metà del Trecento non mancarono esempi di attività repressiva nei confronti di francescani ribelli, che nel corso del XIV e del XV secolo furono identificati con il termine generico di fraticelli. La “dissidenza francescana” assume connotati multiformi, rendendo difficile cercare di delinearne con precisione gruppi e componenti, benché i titolari dell’ufficio inquisitoriale si sforzassaro di inquadrarli in forme definite o addirittura organizzate. Date queste premesse è possibile individuare due prevalenti filoni di dissidenza, concentrati

558 “[le decretali] erant contra consilium Christi evangelicum et eorum votum de altissima et

evangelica paupertate, quam Christus servavit et Apostolis ac professoribus evangelicis imposuit ad servandum et quod nulli mortalim cum secura conscientia in iis poterant obedire”, BALUZE-MANSI,

Miscellanea, II, cit., p. 248.

559 “pronuntiamus [Michel Le Moine] haereticos et pestilentissimorum assertores dogmatum

iudicamus, et eos tanquam haereticos ab omnibus ecclesiasticis ordinibus degradandos et ipsis degradatis exnunc prout extunc, eos iudicio relinquimus saeculari”, ibidem, p. 250.

560 “Bernardum perpetuo immutandum ac ab omnibus ordinibus degradandum, et quod in

detestationem tanti criminis duas cruces crucei coloris, unam ante pectore, aliam post inter scapulas in superiori veste perpetuo debeat deportare. Quod si de dicto muro sive carcere fugeret, vel portare huiusmodi cruces recusaret, eo degradato ipsum tamquam impoenitentem et haereticum curiae relinquimus seculari”, ibidem, p. 250.

soprattutto in Italia centrale. Il più antico che risale alla tradizione spirituale del Clareno, dei “fraticelli de paupere vita”, l’altro dei “fraticelli de opinione” legato alle posizioni di frate Michele da Cesena e dei suoi compagni ribellatisi alle dichiarazioni di Giovanni XXII in materia di povertà evangelica e francescana emanate nel 1323 con la Cum inter nonnullos562.

Sulla controversia di Giovanni XXII un caso analogo a quello marsigliese si ebbe all’estremo opposto del secolo con la condanna del frate minore Michele da Calci, appartenente a un gruppo di francescani sotenitori della dottrina secondo la quale Cristo e i suoi apostoli non avevano avuto proprietà, ma avevano disposto dei beni loro necessari per semplice usus facti563. Il frate che nel corso del processo

aveva rifiutato di essere chiamato fraticello, rivendicando la sua genuina identità di frate minore prendeva a bersaglio Giovanni XXII reputandolo, a distanza di anni dalla sua morte un eretico. Michele fu arrestato, insieme ad un confratello il 20 aprile del 1389 a Firenze dove era giunto per predicare e condotto nelle carceri del vescovado. Sottoposto ad un processo inquisitoriale dal vescovo Bartolomeo Oleari, anch’egli dell’Ordine dei minori, il frate rivendicava la sua appartenza ad una Chiesa opposta a quella romana, in continuità con quella dei primi apostoli e auspicava in chiave escatologica un prossimo intervento divino nella vita della Chiesa a opera di un papa santo, come lo era stato papa Niccolò III, più volte richiamto da Michele come figura di riferimento a garanzia della sua ortodossia.

Il vescovo lo dichiarò eretico per le sue idee sulla povertà e dopo una cerimonia di degradazione e svestizione lo consegnò alle autorità comunali per la condanna al rogo. Il processo e la condanna a morte di Michele da Calci sono narrati nella Storia di fra Michele minorita di un anonimo autore fiorentino. Il condannato è presentato come un martire dell’ideale di povertà. Emerge dalle pagine del racconto la disponibilità del frate a morire per testimoniare la propria

562 Sui fraticelli cfr. R. LAMBERTINI, “Non so che fraticelli…”: identità e tensioni minoritiche nella

Marchia di Angelo Clareno, in Angelo Clareno francescano. Atti del XXIV Convegno Internazionale,

Assisi, 5-7 ottobre 2006, Spoleto 2007, pp. 227-261; si veda anche la voce a cura di G.G. MERLO del nel Dizionario Storico dell’Inquisizione cit., II, p. 627.

563 Per un approfondimento della figura di Michele da Calci si rinvia ad A. PIAZZA, Il santo eretico.

Una “passione” in volgare di fine Trecento, in Francescanesimo in volgare (XIII-XIV). Atti del XXIV

Convegno internazionale Assisi, 17-19 ottobre 1996, Spoleto 1997, pp. 271-299; ID. La via crucis di

fede. Nella narrazione il percorso, che dal palzzo del Capitano conduce il condannato al luogo del supplizio, rivela il gioco drammatico della spettacolarizzazione della pena nell’interazione tra condanna, eretico e pebblico. Michele è presentato nell’atto di svolgere una predicazione itinerante che tocca vari aspetti della vita religiosa e cittadina, in stretta connessione con i luoghi attraversati, ricalcando il racconto della passione di Cristo nel Vangelo di Giovanni. Ai fiorentini che durante il tragitto lo esortavano ad abiurare per aver salva la vita, il frate rispondeva, attraverso un dialogo serrato, che la verità si manifestava anche attraverso la coerenza nei comportamenti. Condotto fuori dalla mure della città, oltre la porta della Giustizia, nelle vicinanze della chiesa di S. Maria del Tempio, il 30 aprile del 1389 Michele da Calci fu bruciato sul rogo. Molti dei presenti, riconoscendo la santità del frate si impossessarono dei resti combusti del minore e per paura che la sua venerazione fosse impedita dalle autorità religiose li nascosero.

Nel documento Il rogo degli eretici nel Medioevo (pagine 189-194)