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Sommario: 1. Cenni introduttivi. 2. Le scelte del Parlamento nei processi di riforma dell’amministrazione, dal Rapporto Giannini ad oggi. 3. Gli interventi di riforma della pubblica amministrazione come strumento di consenso: perplessità e profili problematici. 4. Recenti conseguenze dell’abulia parlamentare. 5. Epilogo.

1. Cenni introduttivi*

Le considerazioni che saranno qui sviluppate prendono spunto dall’approc- cio e dal metodo con cui, negli ultimi anni, sono state elaborate e, poi, varate le riforme della Pubblica Amministrazione, per indagare la capacità di tenuta, anche sistematica, di alcuni recenti interventi normativi.

Scopo di questo lavoro è porre l’accento su quella prassi abituale1, che potremmo definire indolenza, del Parlamento che, nel susseguirsi dei Governi avvicendatisi negli ultimi quindici anni, sceglie di non esercitare la funzione che primariamente gli spetterebbe. Si tratta di una constatazione che, malgrado l’e- spressione possa suscitare un qualche disagio, induce a descrivere il fenomeno in termini di vera e propria abulia parlamentare nell’esercizio del potere legislativo nell’ambito della disciplina dell’organizzazione e/o dell’attività amministrativa rispetto alle esigenze di riforma che, con diversa intensità, sono state avvertite come indispensabili e strumentali all’attuazione dei programmi di governo.

1 Si tratta di una notazione condivisa, infatti come ha avuto occasione di rilevare in un re- cente scritto L. Torchia, Funzione consultiva e funzione normativa: il Consiglio di Stato e le riforme, in «Giornale di diritto amministrativo», 2016, p. 285: «La funzione normativa ormai sempre più spesso non si esaurisce con la pubblicazione della legge sulla G.U., ma si esercita invece con l’attribuzione di deleghe al governo: così è stato recentemente per la legge n. 124/2015 di ri- forma della pubblica amministrazione e per il recepimento delle direttive europee del 2014 sul mercato dei contratti pubblici. I testi predisposti dal legislatore delegato sono a loro volta sotto- posti ad un articolato processo di consultazione, di controllo e di esame, che coinvolge i soggetti interessati, le commissioni parlamentari e il Consiglio di Stato. Tanto i portatori di interesse, come le commissioni parlamentari valutano l’opera del legislatore delegato secondo un metro, per così dire soggettivo, legato per un verso alla sostanza degli interessi rappresentati e, per l’al- tro, alla fedeltà del decreto delegato rispetto ai criteri direttivi dettati con la legge di delega». *Il presente contributo è aggiornato al 15 settembre 2016.

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Cecilia Bertolini La crisi del Parlamento nelle regole della sua percezione

2. Le scelte del Parlamento nei processi di riforma dell’amministrazione, dal Rapporto Giannini ad oggi

Per cogliere il senso e lo spirito del cambiamento del ruolo giocato dal Parlamento, da sede privilegiata di elaborazione delle riforme ad anticamera delle scelte di disciplina in materia amministrativa, si ritiene di muovere dal Rapporto Giannini (dal nome di Massimo Severo Giannini, nel 1979 Ministro della Funzione Pubblica del Governo Cossiga), ossia dal Rapporto sui principali problemi dell’amministrazione dello Stato (trasmesso alle Camere il 16 novembre 1979), nel quale si individuavano i nodi problematici e si formulavano proposte per un’azione di riforma, modernizzazione e razionalizzazione della Pubblica Amministrazione.

La scelta di riferirsi a quel periodo (anni ’70) è stata indotta dalla ricorrenza di alcune emergenze economiche in un certo senso comuni con l’attuale quadro di riferimento: il nostro Paese presentava, all’inizio degli anni ’70, rispetto ai principali paesi europei, i più alti livelli di disavanzo pubblico e disoccupazione, l’aumento del prezzo del petrolio, dell’energia e delle materie prime avevano messo a dura prova la stabilità economica del Paese tanto da provocare la dimi- nuzione della produzione automobilistica e del relativo indotto con una crisi economica generalizzata che dimostrava quanto l’industria italiana fosse eccessi- vamente legata a tale settore.

A fronte di ragioni diverse, le conseguenze cui far fronte non erano dissimili da quelle che negli ultimi anni hanno innescato il meccanismo di alcuni dei più recenti interventi di riforma.

Dal Rapporto Giannini sono scaturite una quindicina di Commissioni di studio, composte da vertici amministrativi, esperti e docenti universitari, che avrebbero dovuto suggerire al Parlamento le varie ipotesi di riforma nei settori considerati, con proposte già strutturate in articolato normativo2.

Si tratta di processi di riforma che, non di rado, hanno trovato la propria defi- nizione in sede parlamentare (è certamente il caso della l. 241/1990)3.

Come accennato, alla base della spinta riformatrice di allora sono rinvenibili problematiche ed istanze a dir poco comuni con quelle che, più di recente, hanno determinato esigenze di riforma. A tal riguardo, è sufficiente scorrere anche soltanto alcuni dei titoli dei paragrafi relativi alle difficoltà allora rilevate per avvertirne la perdurante attualità. Ci si riferisce, in particolare, ai problemi e agli indicatori di produttività dell’amministrazione, per i quali si avvertiva la necessità di un approccio sensato ed attento all’ambito di riferimento4; ai ruoli 2 V.G. Tosatti, La modernizzazione dell’amministrazione italiana 1980-2000, Roma, Aracne, 2012, p. 9: «Da quel documento prese avvio il cammino della riforma amministrativa in Italia, da lì è inevita- bile muovere, anche perché Giannini, grazie al lavoro delle numerose commissioni da lui costituite per analizzare sotto tutti gli aspetti il sistema amministrativo, lasciò in eredità ai governi successivi non soltanto una elencazione di problemi, ma anche l’indicazione delle soluzioni possibili, per superare il modello marcatamente centralistico e legalistico-formale dell’amministrazione italiana, percepito ormai come assolutamente inadeguato e anacronistico».

3 A questo proposito, si rinvia a U. Allegretti, L’amministrazione dall’attuazione costituzionale alla democrazia partecipativa, Milano, Giuffrè, 2009, p. 98 ss.

4 Tenuto conto che, v. Rapporto Giannini (p. 7), «è spesso accaduto che dal carico di lavoro-

unici per il personale (con tutte le problematiche dei costi relativi alla tenuta degli stessi)5; alle aziende autonome (ossia le progenitrici della attuale pletora di società pubbliche)6.

Dal tenore complessivo del Rapporto Giannini si percepisce chiaramente l’esi- genza che le riforme siano oggetto di un necessario vaglio parlamentare, poiché il Parlamento viene riconosciuto quale luogo di confronto e di bilanciamento degli interessi in gioco ed alla legge la capacità di conferire agli interventi di riforma una maggiore organicità, una prospettiva sistematica e, per questa via, una perdurante effettività.

A conferma di tali constatazioni sta l’invito con cui prende avvio il Rapporto Giannini, nel quale si legge:

Questo Rapporto viene presentato al fine di rappresentare al Parlamento i principali problemi relativi alle Amministrazioni dello Stato, e, indirettamente, anche delle altre Amministrazioni pubbliche, e di chiedere al Parlamento le determinazioni di indirizzo che gli competono.

Si reputa necessario insistere in modo particolare su questa richiesta, perché, prescindendo anche da ogni considerazione circa i modi con cui il Parlamento dovrebbe esercitare la sua funzione fondamentale di indirizzo politico, per la materia «pubblica amministrazione» ricorrono circostanze del tutto speciali. Infatti le vicende della cronistoria recente si sono svolte per episodi singolari, sì che il Parlamento si è trovato a dover adottare decisioni di indirizzo occasionate dai progetti di legge che via via gli erano presentati, con esiti finali che non pote- vano essere se non disaggreganti. Come meglio risulterà dal Rapporto, vi sono zone in cui si registrano indirizzi politici contrastanti, altre di indirizzo politico perplesso, altre di carenza di indirizzo.

Guardando a molti degli interventi che hanno interessato ripetutamente, negli ultimi anni, la materia amministrativa è evidente come l’esigenza di rifor- ma, avvertita dai Governi che si sono avvicendati, si sia perlopiù tradotta in modi- fiche alluvionali, prive di organicità e come tali neppure esattamente rispondenti al significato proprio di riforma7, attraverso atti aventi forza di legge, spesso con

domanda sia stata desunta ed applicata una regola determinativa di quantità di erogazioni per ufficio o per addetto all’ufficio (c.d. standard di produzione). In nessun caso però l’indicatore di carico di lavoro [e la relativa risposta degli uffici in termini di provvedimenti rilasciati] può essere preso come indicatore di produttività; invece è avvenuto più volte che indicatori di carico di lavoro siano stati presentati come indicatori di produttività, con risultati di sconcerto».

5 Nel Rapporto Giannini, con particolare riferimento alla dirigenza, si osserva (p. 20) che «la legge di delega n. 382 del 1975 all’art. 7 stabiliva che con legge delegata si dovesse costituire un ruolo unificato dei dirigenti statali, eccettuati i dirigenti di talune amministrazioni. La legge delega- ta non è stata emanata».

6 Relativamente alle quali si rileva, ibid. (p. 26), che: «Il gran parlare di riforme delle aziende autonome che da tanti anni si sta facendo colpisce per il suo scarso esito. Se si tralasciano l’ANAS e l’Azienda dei telefoni di Stato, che sono aziende improprie, e si considerano invece le aziende- imprese, gli interventi del Parlamento sinora sono stati solo per crescenti aumenti di personale e di retribuzioni al personale. Ad essi corrispondono crescenti aumenti di disavanzi (anche quest’anno la Relazione della Corte dei Conti reca cifre eloquenti): questo, insieme all’insoddisfacente effi- cienza aziendale, sono tra i fatti che politicamente più hanno contribuito alla compromissione dell’immagine dello Stato».

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la forma del decreto legge, con cui si è contribuito a relegare il Parlamento ad un ruolo subalterno.

È altrettanto evidente che l’utilizzo della decretazione delegata ha, a sua volta, pesato sulla possibilità parlamentare di incidere direttamente e sostanzialmente sulle materie oggetto di riforma.

Si tratta, in entrambi i casi, di un approccio e di un metodo che risente della crisi del Parlamento nell’esercizio del potere legislativo, determinato sul piano operativo dalla concentrazione del dibattito non sulle scelte normative ma sulla (incerta) tenuta degli assetti delle maggioranze parlamentari ed originato sul piano istituzionale dalle profonde incrinature della democrazia rappresentativa, divenuta un modello in abbandono. E proprio strumentale a tale (progressivo) abbandono pare proprio «l’uso pratico della decretazione d’urgenza, della dele- ga legislativa e della questione di fiducia [che hanno] condotto o [stanno] con- ducendo allo svuotamento del Parlamento»8.

Al Parlamento potrebbe essere consentito di recuperare un ruolo, così ovviando alle distorsioni dettate dalla prassi, attraverso i pareri parlamentari, con riferimento all’esercizio delle deleghe da parte del Governo, o attraverso modifiche (funzionali e collegate al contenuto del decreto) nel caso della decretazione d’urgenza9, ma senza risultati particolarmente apprezzabili

in modo profondo e diretto a dare un migliore assetto ad uno stato di cose. Su tale definizione con- vergono i dizionari della lingua italiana (cfr. Garzanti, Sabatini Coletti, Zingarelli).

8 R. Di Maria, La vis expansiva del Governo nei confronti del Parlamento: alcune tracce della eclissi dello Stato legislativo parlamentare nel “ruolo” degli atti aventi forza di legge, in «Diritto e questioni pubbli- che», 2010, p. 334.

9 V.D. Martire, I pareri delle commissioni parlamentari in sede di formazione dei decreti legislativi nella recente prassi legislativa, in «Federalismi», 2015, p. 7 ss. A questo riguardo, merita di essere segna- lata, con specifico riferimento alle materie qui trattate, l’istituzione, ad opera dell’art. 14 della l. 246/2005, la cui disciplina è stata novellata con l’art. 4 della l. 69/2009, della Commissione parla- mentare per la semplificazione. Si tratta di un organismo bicamerale preposto, con riferimento alla funzione consultiva, ad esprimere pareri su normativa di rango primario e secondario anche nella materia qui considerata (in particolare: sugli schemi di D.P.C.M. di attuazione dei decreti legislativi adottati ai sensi dell’articolo 7, cc. 1 e 2, della l. 59/1997 e relativi al conferimento alle regioni ed agli altri enti locali di funzioni e compiti amministrativi sui regolamenti di riordino delle strutture centrali e periferiche interessate al conferimento di funzioni e compiti amministrativi, ai sensi del comma 3 del medesimo articolo 7, ossia i compiti già attribuiti, nelle legislature XIII e XIV, alla Commissione parlamentare consultiva in ordine all’attuazione della riforma amministrativa, ai sensi della legge 15 marzo 1997, n. 59; ai sensi dei cc. 634 e 635 dell’art. 2 della l. 244/2007 sugli schemi di regolamento di riordino, trasformazione o soppressione e messa in liquidazione di enti, organismi o strutture amministrative, pubblici statali; sugli schemi di decreto legislativo per il rior- dino, la trasformazione, fusione o soppressione del Centro nazionale per l’informatica nella pubbli- ca amministrazione (CNIPA), del Centro di formazione studi (FORMEZ) e della Scuola superiore della pubblica amministrazione (SSPA); ai sensi dell’articolo 6, c. 5, del d.l. 78/2010, conv. con mo- dificazioni dalla l. 122/2010, sugli schemi di regolamento di organizzazione di enti pubblici, anche economici, e di organismi pubblici, anche con personalità giuridica di diritto privato, con i quali si provvede alla riduzione del numero di componenti degli organi collegiali ai sensi della disposizio- ne richiamata; ai sensi dell’art. 1, c. 3, della l. 174/2011, sugli schemi di decreto legislativo recanti codificazione in materia di pubblica amministrazione; ai sensi dell’art. 17, c. 8-bis, del d.l. 95/2012, sui decreti del Presidente del Consiglio dei ministri con i quali sono trasferite ai comuni le funzioni amministrative, rientranti nelle materie di competenza legislativa esclusiva statale, già conferite alle province con legge dello stato e su quelli con i quali si provvede alla puntuale individuazione dei beni e delle risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative connessi all’esercizio delle

nell’ambito qui considerato.

Le considerazioni che precedono costituiscono una succinta anamnesi dell’a- bulia parlamentare. Sullo sfondo, tuttavia, resta il fatto che il Parlamento non di rado si astiene da un esercizio virtuoso della funzione legislativa residua che sarebbe, anzi è, ancora chiamato a svolgere.

Il campo delle riforme della Pubblica Amministrazione diviene, di frequente, vivida manifestazione di quell’abulia.

Nell’ambito dei processi di riforma o, se si preferisce, di costante modifica della disciplina della P.A., gli interventi normativi conoscono spesso gestazioni rapidissime, d’impeto, spesso derivanti da deleghe rimaste inattuate, rispetto alle quali sembra che si attenda che la relativa attuazione diventi urgente per provve- dervi mediante decreto-legge.

A questo riguardo, il riferimento è, anzitutto, alla l. 131/2003, art. 2, in tema di funzioni fondamentali degli enti locali: per un primo decalogo di esse infatti, con riferimento ai comuni, si è dovuto attendere l’art. 14 del d.l. 78/2010.

Manifestazioni della cennata abulia sono, inoltre, quelle in cui il Parlamento sceglie di delegare anche quando potrebbe più opportunamente intervenire, quanto meno a fini di raccordo sistematico. È questo il caso, guardando ad esem- pi particolarmente recenti, di alcune disposizioni della l. 124/2015 (ut infra § 4). Oppure, ancora, l’apparente esercizio del Parlamento della funzione spettan- tegli costituisce un’illusione ottica, un trompe-l’oeil poiché la legge parlamentare diviene semplicemente un grande raccoglitore, privo del necessario ordine siste- matico, di disposizioni stratificatesi nel tempo ad opera di leggi di conversione di decreti legge che si sono sovrapposte (è il caso della l. 56/2014), ovvero di disposizioni diverse inserite in normative di settore alle quali con l’etichetta di legge parlamentare si pretenderebbe di conferire una qualche organicità (il rife- rimento, in questo caso, è alla l. 190/2012).

La progressiva consunzione del ruolo giocato dal Parlamento nei processi di riforma della Pubblica Amministrazione si appalesa, infine, nella stratificazione conosciuta, nel tempo, dalla l. 241/1990. La legge generale sul procedimento amministrativo si presentava, originariamente, come una disciplina snella, una raccolta di principi comuni dell’azione amministrativa e di istituti specifici irrinunciabili per l’attuazione di quegli stessi principi10. Essa ha rappresentato uno dei terreni sui quali più si è esercitato il legislatore, il quale è intervenuto costantemente dal 1990 sino ad oggi, con cadenza quasi annuale. Su di essa il giudice amministrativo si è pronunciato con assiduità, elaborando importanti orientamenti giurisprudenziali; in riferimento ad essa la scienza giuridica si è interrogata a lungo, sia sotto il profilo dell’esegesi normativa, sia sotto il profilo delle applicazioni giurisprudenziali.

funzioni stesse ed al loro conseguente trasferimento dalla provincia ai comuni interessati). Ebbene, la Commissione parlamentare per la semplificazione si è espressa, con parere favorevole (del 7 giu- gno 2016), anche con riferimento al D. lgs. 127/2016, su cui v. infra al § 4, con osservazioni ineren- ti profili di coordinamento formale, inerenti per lo più alla tessitura della normativa delegata con riferimento ad altri comparti di disciplina, senza prendere in alcuna considerazione le pur rilevanti problematiche di natura sostanziale che saranno evidenziate nel prosieguo della trattazione.

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Tutto ciò avrebbe dovuto implicare che, nel corso di questi anni, anche lo stato di attuazione della disciplina divenisse oggetto di approfondite riflessioni, prima di interventi di modifica più o meno incisivi, ma così non è stato, almeno nell’ultimo decennio, ossia a seguito dell’importante ed organico ripensamento intervenuto ad opera della l. 15/2005.

Piuttosto, più di recente, possono registrarsi due fenomeni: l’inserimento di novelle, frutto di sensazionalismi, giustificate e promosse in termini di soluzioni di presunta maggiore efficienza e fondate su improcrastinabili esigenze di sem- plificazione, ad opera della decretazione d’urgenza che, anche in conseguenza di una conversione tendenzialmente fedele, hanno nel tempo minato non solo la sistematica della legge 241, ma la stessa funzionalità dei suoi istituti, come si avrà modo di apprezzare nei paragrafi che seguono.

3. Gli interventi di riforma della Pubblica Amministrazione come strumento di consen- so: perplessità e profili problematici

Nell’agenda della politica italiana la necessità di riforma della Pubblica Amministrazione appare una necessità costante. Nel 1992 fu pubblicato un quaderno sui progetti di riforma a partire dal periodo successivo alla Grande guerra, ossia dal 1918 al 1992. A tal proposito è stato osservato che «Tra di essi alcuni presentavano, nell’analisi e nelle proposte, straordinarie corrispondenze con quelli successivi. Molti sembravano persino d’attualità, quasi che i problemi fossero rimasti per un secolo immutati»11.

Nel secolo scorso il primo importante progetto di riforma organica della Pubblica Amministrazione repubblicana è quello di cui si è detto, riferibile al progetto predisposto da Giannini.

Un nuovo imponente ciclo di riforme prende, poi, avvio con il 1993, ad opera delle iniziative dell’allora Ministro per la Funzione Pubblica Sabino Cassese.

Dopo il 1993 il tema delle riforme amministrative ha costituito il tema ricor- rente dei programmi dei Governi che si sono succeduti.

A seguito del completamento delle riforme riconducibili al Ministro Bassanini, lo scenario del quindicennio che ne è seguito è stato caratterizzato da una certa omogeneità. Negli ultimi anni, infatti, l’impulso riformatore ha risposto alla necessità di propugnare l’idea di un’amministrazione efficiente e, quindi, anche più rapida e sempre più orientata a dover assimilare modelli aziendalistici, accompagnata da una razionalizzazione degli enti pubblici, con soppressioni ed accorpamenti, nel tentativo di contenere la spesa pubblica, leit motif che non di rado è stato esibito con interventi che vorrebbero essere percepiti come novità dettate dalla necessità di individuare soluzioni di rottura con il passato.

11 La considerazione è di G. Melis, La pubblica amministrazione: una riforma mancata, in «Gior- nale di diritto amministrativo», 2012, p. 101. L’analisi svolta dall’autore e l’ampia bibliografia ivi richiamata hanno contribuito a suffragare la succinta sintesi dei momenti salienti delle riforme amministrative dell’Italia repubblicana. A conferma dell’affermazione dell’autore testualmente riportata nel testo, basti pensare alle proposte degli anni Venti e Trenta di poter trasferire negli uf- fici gli standard produttivi dell’industria avanzata di allora, al passaggio dell’aziendalizzazione della pubblica amministrazione con la privatizzazione del pubblico impiego sino alla consacrazione della performance organizzativa ed individuale.

Complementari alle esigenze di taglio alla spesa sono le istanze di semplifica- zione amministrativa, che assurgono ad argomento di pressione alla base dei più recenti interventi di riforma.

Ma è frequente che la semplificazione costituisca il rimedio auspicato, allo stato lungi da una percepibile compiutezza, perseguito, come accennato, con interventi normativi alluvionali, anche e soprattutto in ragione dell’abuso degli atti aventi forza di legge e, segnatamente, dei decreti legge in luogo della legge parlamentare.

Le descritte modalità si sono riverberate sul respiro e sulla profondità dei risultati ottenuti che sono lontani dal potersi considerare frutto di un’attività normativa di ampia e profonda portata (e, quindi, propriamente di riforma) e si sono spesso tradotti in modifiche a pioggia, giustificate talvolta dalla presunta urgenza di provvedere, ma prive di una logica sistematica e della necessaria orga- nicità, alle quali sono seguiti nel tempo, con le medesime modalità, aggiustamen- ti e ripensamenti, dando luogo ad uno scenario confuso e farraginoso12.

Con riferimento al quadro complessivamente delineatosi, è stato osservato che la stabilità del quadro normativo e la conseguente sostanziale certezza nei punti di riferimento giuridici è andata smarrita. Essa è andata smarrita proprio