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Nella presentazione di questo volume e della giornata di studi che l’ha pre- ceduto Gian Luca Conti e Pietro Milazzo hanno già messo in luce molto bene quali siano le ragioni che oggi spingono non solo gli studiosi, ma anche i politici a riflettere su un tema che fino a qualche tempo fa non sembrava dotato di par- ticolare “appeal”, ossia quello della pubblicità dei lavori parlamentari.

I contributi che qui sono raccolti testimoniano l’assoluto rilievo e la grande attualità del tema, ma soprattutto la nuova dimensione nella quale esso si colloca e che non ha più nulla a che fare con questioni di mera tecnica comunicativa. Se, infatti, si leggono le disposizioni dei regolamenti parlamentari che riguardano la pubblicità dei lavori delle Camere (ma lo stesso discorso può valere per quelle dei regolamenti delle altre assemblee elettive, a partire da quelle regionali), l’impres- sione che si ricava è che si tratti di un insieme di regole prevalentemente rivolte a destinatari “interni” e che hanno la finalità di certificare, in qualche modo, la regolarità formale di quanto si è svolto (e detto) in aula o in commissione. Mi si permetta al riguardo un piccolo ricordo personale. Quando ormai parecchi anni fa mi stavo preparando per il concorso a funzionario parlamentare insieme ad un caro amico, poi divenuto Segretario Generale della Camera, uno degli ostacoli maggiori fu quello di addestrarci, sulla base di atti parlamentari scritti relativi a qualche seduta, alla redazione del relativo resoconto sommario. Una delle prove concorsuali per le quali non avevamo alcuna esperienza e che era considerata molto importante, perché dalla compiutezza e correttezza, nella sintesi, del reso- conto dipendeva in buona misura il successivo svolgimento, senza intoppi pro- cedurali, della discussione. Ciò a dimostrazione che interessati a quel contenuto erano innanzitutto gli stessi protagonisti del dibattito e non altri.

D’altro canto, molto scarne sono le disposizioni che invece alludono alla pub- blicità “esterna” dell’attività parlamentare anche se le più importanti si situano a livello costituzionale: dalla regola del voto palese per le mozioni di fiducia e sfiducia al Governo o a quelle che riguardano la pubblicazione delle leggi. Per il resto, su questo versante “esterno” hanno operato strumenti di pubblicità/comu- nicazione non codificati, informali e comunque, nel loro complesso, inidonei a dar vita ad un vero e proprio sistema stabile e organico: si pensi all’ammissione del pubblico alle tribune nel corso dei dibattiti in aula, alle trasmissioni radio- foniche o televisive o alla c.d. stampa parlamentare. Invece, è proprio su questo secondo versante che si vanno svolgendo oggi le riflessioni più approfondite ed interessanti. Il che non avviene a caso. E’ ormai da qualche decennio che non si fa che parlare, anche se spesso con qualche eccesso di genericità e superficia- lità, di crisi del Parlamento e dei connessi istituti della rappresentanza politica. La perdita del monopolio della produzione legislativa sia verso l’alto (l’Unione

Paolo Caretti La crisi del Parlamento nelle regole della sua percezione

europea) sia verso il basso (le Regioni); le conseguenti difficoltà di dare coerenza da un processo di regolazione ormai articolato stabilmente su più livelli; l’indebo- limento del ruolo dei partiti politici nella mediazione tra interessi sociali sempre più frazionati e difficili da riassumere in sintesi soddisfacenti e condivise; i riflessi negativi che tutto ciò produce più che sulla legittimazione sulla credibilità dell’i- stituto parlamentare (testimoniata, tra l’altro, dal livello preoccupante che ha raggiunto l’astensionismo elettorale) sono solo alcune delle ragioni che spiegano e giustificano la diffusa idea che oggi, e non solo nel nostro Paese, il “grande” malato delle democrazie contemporanee sia proprio il Parlamento.

È in questo quadro più generale che si torna a parlare di pubblicità dell’at- tività delle assemblee elettive e dunque è di tutta evidenza che è soprattutto quello della pubblicità/comunicazione esterna il profilo che più interessa. Di qui le descrizioni e le valutazioni che si ritrovano nei vari saggi degli strumenti messi in campo per ridare vita ad un rapporto Parlamento-società civile attraver- so una più ampia e trasparente rappresentazione di sé da parte dell’istituzione parlamentare. Si tratta degli strumenti più vari, che sfruttano le grandi possibilità comunicative delle nuove tecnologie (ICT) e che puntano non solo a fornire informazioni sugli atti finali deliberati dall’assemblea, ma anche sull’attività che ha preceduto tali deliberazioni, con l’idea (per la verità, a me pare, più teorica che concreta) di stimolare una sorta di rapporto interattivo sui singoli temi in discussione. Insomma, detto in termini sintetici, il tentativo in atto è quello di utilizzare la “nuova pubblicità” del Parlamento per rilegittimarne il ruolo agli occhi dell’opinione pubblica.

Nel leggere i vari contributi, è facile rilevare come accanto ad aspetti certa- mente positivi, la prospettiva nella quale si stanno muovendo le due Camere del nostro Parlamento (soprattutto su impulso dei loro attuali Presidenti), ma, come detto anche altri Parlamenti (di particolare interesse, ad esempio, alcune esperienze inglesi di cui si dà puntualmente conto), non mancano aspetti pro- blematici di non minore rilievo: si pensi agli effetti negativi di un flusso eccessivo di informazioni, se non certificate quanto meno selezionate ed organizzate, ma più ancora ai contraccolpi altrettanto negativi che può avere un eccesso di pub- blicità a fronte di un’esigenza di riservatezza, spesso decisiva per la costruzione di mediazioni su temi di più forte divisione tra le forze politiche.

Ma, al di là di questo tipo di problemi, forse inevitabili in una fase di speri- mentazione come quella attuale che richiede di calibrare e di bilanciare via via i diversi interessi in campo, l’interrogativo di fondo che percorre un po’ tutto il volume è se questo tentativo abbia una qualche speranza di essere coronato da successo o se viceversa non rischi di rappresentare un modo per eludere i nodi ben più profondi che frenano una ripresa effettiva di una dimensione sostanziale della democrazia rappresentativa.

Non è certo questa la sede per tentare una risposta a questo interrogativo. Mi limito dunque a un paio di rapide considerazioni. Innanzitutto, mi pare che si debba ricordare che le diverse iniziative che vengono esaminate nel volume, volte a ridefinire le modalità della comunicazione parlamentare, si inseriscono nel quadro di una più generale tendenza a valorizzare tutte le possibili forme di rela- zione diretta tra società civile e istituzioni: penso alla nutrita legislazione in tema di comunicazione istituzionale, al diffondersi di pratiche partecipative (spesso

formalizzate in leggi regionali), al tentativo di rilancio dei tradizionali istituti di democrazia diretta. Si tratta di un quadro ricco e per molti versi stimolante, ma il cui significato va precisato. Se è vero che le democrazie rappresentative contemporanee (quale più, quale meno) devono fronteggiare problemi di legit- timazione un tempo inediti o comunque meno appariscenti, a me pare illusorio immaginare che essi possano trovare soluzione esclusivamente o prevalentemen- te attraverso la valorizzazione di un rapporto non mediato tra decisori politici e interessi sociali. Resto convinto che nelle grandi democrazie di massa il ruolo dei mediatori sociali (si chiamino partiti, sindacati, movimenti politici o altro) sia non solo necessario, ma indispensabile. Direi, anzi, un ruolo più necessario ed indispensabile oggi di quanto non fosse in passato, quando le diffuse appartenen- ze ad ideologie totalizzanti (nel senso che offrivano una visione generale di valori e obiettivi comuni) tenevano in qualche misura sotto traccia motivi di divisione pur presenti e forti.

Se si condivide questo assunto, che andrebbe ben altrimenti sviluppato, le tendenze che caratterizzano la situazione attuale, e di cui si è detto, difficilmente, a mio parere, possono essere intese come l’anticamera di un nuovo tipo, “alter- nativo” a quello che sin qui abbiamo conosciuto. Ciò che più ragionevolmente si può dire è che esse possono rappresentare un utile contributo al necessario processo di ripensamento delle forme tradizionali della democrazia rappresenta- tiva e dei suoi modi di funzionamento, avviando la sperimentazione di prassi che consolidandosi possono svolgere una preziosa funzione “integrativa” degli istituti e delle tecniche che oggi guidano le relazioni tra società e istituzioni. Ciò vale in generale e, più in particolare, per il tema della informazione/comunicazione parlamentare. Un conto è apprezzarne le potenzialità, ancora non compiutamen- te espresse, in funzione di una maggiore trasparenza del “palazzo” che arricchisca la consapevolezza e la capacità di valutazione e di controllo dell’opinione pubbli- ca, altro conto è caricarlo di valenze e finalità improprie.

Le difficoltà che vivono i sistemi rappresentativi contemporanei di tutto hanno bisogno per essere superate tranne che di facili scorciatoie o di nuovi miti.