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Sommario: 1. Prima scena. 2. Trent’anni dopo. 3. Una rapida trasformazione. 4. Informazione politica e comunicazione istituzionale. 5. La via italiana. 6. La necessità di un sistema integrato. 7. Un’ultima sequenza.

1. Prima scena

Autunno 1988. Camera dei deputati X legislatura. Transatlantico, pomeriggio di un giorno feriale, al centro della settimana.

Il salone è pieno di vita. C’è brusio. Parlamentari, giornalisti e funzionari chiacchierano, discutono, formano capannelli. Passeggiano, avanti e indietro. Dalla buvette ai cassettini postali e viceversa. La giornata si misura nelle vasche percorse.

I giornalisti parlamentari vivono nel salone in attesa di una voce, di una rifles- sione, di una battuta. Torna in mente la definizione di Giudo Gonnella del loro lavoro: «ozio senza riposo, fatica senza lavoro».

Dall’avvento della Repubblica i governi hanno vita breve e le maggioranze sono instabili. Conoscere il clima che si respira in Transatlantico è fondamentale per ogni esecutivo. Da Palazzo Chigi e dai ministeri si mandano amici ad ascolta- re le voci che girano, i pettegolezzi che si fanno, i segnali che emergono. È facile incontrare i leader politici nel “corridoio dei passi perduti”. Taluni, come De Mita, impegnati a spiegare tattiche e strategia. Altri, come Andreotti, ad ascoltare. Quello che fu il più stretto collaboratore di De Gasperi lo fa di prima mattina alla barberia e poi, incontra per un caffè con uno dei decani tra i giornalisti par- lamentari: Emilio Frattarelli.

Quando un leader attraversava il corridoio giornalisti e semplici deputati lo seguivano accerchiandolo, cercando una battuta, una riflessione, o semplicemen- te sperando di essere riconosciuti e salutati. «La buvette è il luogo scenografico perfetto per sancire l’inizio di amicizie, o la fine di alleanze» (la citazione è di Andreotti).

Ci sono, poi, i commenti dei discorsi fatti in Aula. In quell’autunno del 1988 c’è ancora la memoria delle fasi finali della legislatura precedente: la tensione che precedette il discorso in cui Craxi negò il “patto della staffetta” per il quale avrebbe dovuto cedere la Presidenza del Consiglio alla DC. Altri rammentano l’intervento di Fanfani che, all’atto della costituzione del suo VI governo, fu

Giorgio Giovannetti La crisi del Parlamento nelle regole della sua percezione

costretto a chiedere al suo partito di non essere votato.

In sala stampa nel tardo pomeriggio arriva, con l’immancabile papillon, Vittorio Orefice, il più noto tra i commentatori politici. Dopo un rapido passag- gio alla buvette, scrive la sua Velina. Una sintesi della giornata politica che spiega, dentro e fuori dal Palazzo, quello che sta accadendo. Più tardi si collegherà in diretta con Tg1 per riassumerla al pubblico televisivo.

Se in Transatlantico si misura la salute dei governi, nel salone parallelo, la Galleria dei presidenti, si svolge un’altra scena. Altrettanto importante. I parla- mentari ricevono i grandi elettori e i rappresentanti delle lobby. In quei salottini si decidono nomine, emendamenti, alleanze elettorali. Si racconta che Remo Gaspari, abile e intelligente democristiano, fu capace di ricevere contemporane- amente 3 delegazioni provenienti dal suo Abruzzo, saltando da un discorso a un altro senza mai perdere il filo.

Insomma, sia pure con riti e liturgie discutibili, quando, nell’autunno del 1988, sono entrato per la prima volta alla Camera dei deputati per lavoro, ho avuto la precisa sensazione di essere in un luogo dove si esercitava il potere. Dove si decidevano le sorti dell’Italia.

2. Trent’anni dopo

Prime settimane del 2016. XVII legislatura.

Transatlantico, giorno feriale, metà settimana. C’è brusio e movimento, ma è diverso rispetto al 1988. Si cammina di meno e i gruppi sono composti in modo diverso: politici con politici, giornalisti con giornalisti. Quasi spariti i funzionari parlamentari. Di leader politici se ne vedono pochi. Quando arrivano sono cir- condati dai loro collaboratori ed è pressoché impossibile avvicinarli. Sui monitor scorrono le immagini dell’Aula. Nessuno le guarda. Sembra una scena di Reality, il film di Matteo Garrone. Gli interventi, pronunciati in un’Aula deserta, fanno da rumore di fondo alle chiacchiere dei presenti. Tutti smanettano su tablet e smartphone. Qualcuno, nel corridoio dell’ufficio postale, consulta nervosamente i grandi schermi touch per conoscere l’attività delle commissioni. Si sentono voci impostate di chi offre di partecipare a trasmissioni televisive o radiofoniche. Il salone si elettrizza quando arriva qualche “chigista”, orrendo neologismo che indica i giornalisti specializzati nell’attività del Presidente del Consiglio. Attorno al cronista si raggruppano colleghi e parlamentari per sapere se ci sono decisioni imminenti e informarsi delle voci che circolano a Palazzo Chigi.

Anche la Galleria dei presidenti ha cambiato funzioni. Sono quasi sparite le delegazioni regionali. Con l’attuale sistema elettorale più di un deputato non ha mai visto il collegio che lo ha eletto. Anche i lobbisti sono meno frequenti. Preferiscono lavorare altrove. Gruppi di deputati, con zainetto al seguito, ripassa- no i progetti di legge in discussione, in happening, che ricordano gli incontri che precedevano gli esami di maturità.

In sala stampa non si vedono mai gli analisti politici di «Repubblica», Stefano Folli, e del «Corriere della sera», Massimo Franco. Raramente si affaccia Marcello Sorgi della «Stampa».

Alcuni giornali e tutte le agenzie hanno creato il servizio serale per seguire i talk-show televisivi. E dall’inizio della legislatura c’è anche chi segue le dichiara-

zioni su Twitter. È dalla televisione e sulla rete, infatti, che vengono pronunciate le dichiarazioni più importanti. Due esempi per tutti. Il 29 marzo del 1999, l’allora ministro della Difesa Carlo Scognamiglio annunciò a Porta a porta, la trasmissione di Bruno Vespa di Rai Uno, che gli aerei italiani avevano iniziato a bombardare il Kossovo. Ed è stato sempre nel salotto di Vespa che il ministro Maurizio Lupi ha annunciato le sue dimissioni il 19 marzo del 2015.

Comunicazioni e annunci che solo nei giorni successivi sono stati formalizzati in Parlamento. A sottolineare la trasformazione di fase, Giulio Andreotti definì Porta a porta “la terza Camera del Parlamento”.

3. Una rapida trasformazione

Nei quasi 30 anni che separano le due sequenze appena descritte appare evidente la trasformazione del ruolo del Parlamento. Il Rapporto sulla legislazio- ne, redatto dall’Osservatorio del Servizio studi della Camera dei deputati, dà corpo, di anno in anno, alla sensazione di declino che si vive nel Palazzo. È dal Settecento che la politica e le istituzioni non vivono una ridefinizione così rapida e profonda.

Stiamo attraversando una stagione politicamente eccezionale e istituzional- mente incerta. Tutto cambia e lo fa in modo rapido e rivoluzionario. Le auto- strade informatiche, generate dall’era digitale, hanno trasformato l’economia, inciso sulle abitudini, modificato i meccanismi di informazione e i processi di conoscenza. Politologi e giuristi riflettono sulla “democrazia dei contemporanei”. Una forma diversa di partecipazione che crei, attraverso la rete, un rapporto diretto tra governanti e governati.

Si è compresso, fino quasi ad eliminarlo, il ruolo dei corpi intermedi. La sensa- zione diffusa è di un graduale e costante affievolimento dei poteri dei Parlamenti. La finanza che si è adattata ai nuovi ritmi del mondo meglio di ogni altra orga- nizzazione, sembra in grado di poter asservire la politica. Girano parole come “postdemocrazia”, “controdemocrazia”, “dopodemocrazia”, “democratura”, tutte frutto di analisi che mettono insieme la globalizzazione, il dominio dei mezzi di comunicazione, la mancanza di valori forti e una fluidità diffusa che ha creato una società fluida, o “liquida”, per dirla con Zygmunt Bauman.

4. Informazione politica e comunicazione istituzionale

La cronaca politica si è rapidamente adeguata al nuovo, modificando gram- matica, sintassi e ritmi. Ha fatto propri i social e lo storytelling. Al contrario la comunicazione delle istituzioni arranca dietro al nuovo.

Certo, una cosa è raccontare la conquista di un traguardo, narrare la storia di una vittoria o di una sconfitta politica; altro è informare, spiegare, approfondire gli effetti di una riforma, le opportunità e i problemi legati alla nascita di nuovi diritti e nuovi doveri.

La comunicazione istituzionale segue la fase inebriante del “nuovo”. Il suo compito è offrire notizie e strumenti per dipanare i grovigli mentali e culturali che le trasformazioni impongono. Quindi contribuisce a formare una coscienza civica, consolidando le riforme e i nuovi valori.

Giorgio Giovannetti La crisi del Parlamento nelle regole della sua percezione

L’informazione politica e quella istituzionale hanno pubblici diversi. La prima più brillante si rivolge a una minoranza selezionata. Nel 1959 Enzo Forcella lo descrisse assai bene su «Tempo presente», in un articolo divenuto famoso: Millecinquecento lettori. L’attacco era fulminante, esaustivo nella sintesi e ancora attuale.

Un giornalista politico – scriveva Forcella – nel nostro Paese, può contare su circa mille- cinquecento lettori: i ministri e i sottosegretari (tutti), i parlamentari (parte), i dirigenti di partito, i sindacalisti, alti prelati e qualche industriale che vuole mostrarsi informato. Il resto non conta, anche se il giornale vende 300mila copie […] Tutto il sistema è orga- nizzato sul rapporto tra il giornalista politico e quel gruppo di lettori privilegiati […] è l’atmosfera delle recite in famiglia, con protagonisti che si conoscono fin dall’infanzia, si offrono a vicenda battute, parlano una lingua allusiva e, anche quando si detestano si vogliono bene.

Un giornalismo con molti limiti, assai distante dal modello anglosassone di rigida separazione tra stampa e politica. Ma che rispecchia il sistema politico da cui emana. Tuttavia grazie alla stampa parlamentare è possibile non solo ricostru- ire i retroscena politici, ma anche, ad esempio, le motivazioni e i ragionamenti che hanno condotto ad ammettere o ad escludere una determinata scelta di pro- cedura. Un contributo importante allo studio del diritto parlamentare, rendendo pubblico e conoscibile quello che spesso gli stessi funzionari parlamentari non possono rendere pubblico.

Altra cosa è (deve essere) l’informazione istituzionale. Il suo compito non è solo quello di dare notizia di un provvedimento, ma deve essere capace di spie- garlo e contestualizzarlo, riportando anche il dibattito politico e istituzionale che lo ha preceduto e degli effetti che può generare.

Potenzialmente, quindi, l’informazione istituzionale ha un bacino assai più vasto rispetto a quella politica e richiede linguaggi e professionalità più variegati.

5. La via italiana

Il Parlamento italiano, con modi e tempi differenziati tra Camera dei deputati e Senato della Repubblica, ha cercato di adeguare la propria comunicazione. La sensazione è che l’operazione non sia stata fatta con una visione di sistema. Infatti, oltre alla realizzazione dei due siti internet, che nel corso degli anni sono stati implementati con buoni risultati finali (ma che non sono ancora integrati) non sembra esserci una regia comune.

Inoltre, appare esserci una carenza di fondo che è di impostazione generale. Negli anni, il Parlamento è riuscito ad attuare la massima trasparenza della sua attività. Realizzando quel principio di “informazione diffusa” che era il traguardo fissato dalla dottrina all’inizio della seconda metà del Novecento. Una volta con- quistato questo importante obiettivo (si pensi che ancora negli Ottanta del secolo scorso non si andava oltre i resoconti sommari delle Commissioni e nulla ufficial- mente si sapeva dei lavori dei Comitati dei Nove) ci si è fermati. Senza darsi la nuova meta che la società imponeva: la comunicazione bidirezionale. Facendo in

modo che il cittadino potesse chiedere, con il suo linguaggio e in modo diretto all’istituzione notizie sull’iter di un disegno di legge, i possibili effetti delle norme in discussione, l’interazione di una decisione nel sistema di ordinamenti in cui siamo inseriti. Il non aver considerato le nuove esigenze ha probabilmente fatto sì che il Parlamento “centrale” nelle istituzioni non lo sia più tra i cittadini.

Va da sé che l’impegno per una comunicazione bidirezionale impone la ride- finizione di alcune strutture di supporto e non è semplice da realizzare. Occorre tempo e una mutazione culturale, ma appare imprescindibile.

Tuttavia, non è solo dalle strutture delle singole Camere che deve scaturire l’offerta di un sistema moderno ed efficiente di informazione istituzionale. È il Servizio pubblico, cioè la RAI, che, nel rispetto delle autonomia delle due Camere e in base ai principi di pluralismo e tutela delle minoranze, deve farsi carico del progetto e della gestione di una sistema così complesso e importante.

L’esperienza comparata rafforza questa convinzione. Nei Paesi latino ame- ricani negli anni a cavallo tra il XX e XXI secolo, i Parlamenti hanno generato canali televisivi e strutture per la comunicazione che hanno impegnato ingenti risorse, talvolta pari a quelle utilizzate per il funzionamento delle struttura di supporto per l’attività di legislazione, controllo e indagine. Alla fine le strutture divenute sproporzionate, sono state smantellate e si cerca di creare entità pub- bliche, autonome sia rispetto ai Parlamenti che ai governi, in grado di gestire la comunicazione istituzionale.

6. La necessità di un sistema integrato

Tornando all’Italia, considerando la trasformazione della forma di Stato e l’evoluzione della forma di governo, nell’immaginare un sistema di informazione istituzionale occorre integrare l’informazione parlamentare con quella sull’Unio- ne europea, sugli enti territoriali e sulle alte magistrature, in modo da creare un unico canale di comunicazione istituzionale.

In Europa e negli Stati Uniti i canali istituzionali (pubblici in Europa, privati negli Stati Uniti) stanno sperimentando linguaggi adatti a svolgere questo ruolo. Non esistono strade certe, l’unica sicurezza è l’integrazione di tutti i mezzi: dai social (per una prima sintetica informazione e per ricordare scadenze e appunta- menti), a internet (per fornire documenti e schemi e la possibilità di interagire con le istituzioni e la pubblica amministrazione), alla radio (per proporre conve- gni e dibattiti), alla televisione per offrire, a un pubblico mirato, eventi politico- istituzionali e momenti di approfondimento.

L’Italia dopo aver fatto da battistrada in Europa sull’informazione istituziona- le (negli anni Sessanta fu la prima televisione in Europa a dar vita alle tribune politiche) si è fermata. Cristallizzata nelle regole immaginate a metà degli anni Settanta, quando vigeva la “centralità del Parlamento”. Con effetti anacronistici e talvolta deleteri per la stessa legittimazione delle istituzione. Mandare in diretta tv – ad esempio – le sedute del question time con l’aula della Camera vuota, mina ogni volta la credibilità di tutte le istituzioni e alimenta sentimenti populisti e antidemocratici. Mancando una informazione istituzionale (lasciata in quasi tota- le appalto al «Sole 24 ore») si è ampliato lo spazio del “teatrino della politica”, la cui liturgia, con risultati difformi, si esercita nei talk-show.

La crisi del Parlamento nelle regole della sua percezione

Le possibilità tecnologiche hanno moltiplicato la possibilità dei diversi sog- getti istituzionali di comunicare e ne sono nati doppioni inutili, con un rilevante sperpero di risorse pubbliche. Come dimostra la contemporanea trasmissione di sedute di Aula e commissioni dai siti di Camera o Senato, dai rispettivi canali satel- litari, da parte della RAI e da Radio Radicale (finanziata per questo dallo Stato).

Una informazione ridondante, spesso incapace di formare, perché quasi mai viene spiegato il significato istituzionale (non politico) di ciò che accade nelle Aule e quanto e come i provvedimenti decisi possono incidere sulla vita di tutti.

Inoltre, risulta spesso assente lo scenario europeo. Non ci sono trasmissioni e canali informativi che spieghino opportunità e vincoli che derivano dall’adesione alle organizzazioni continentali. Discorso simile può essere fatto per gli impatti a livello locale di talune decisioni statali (basti pensare al sistema sanitario) e degli effetti delle sentenze della Corte costituzionale.

Insomma, in una fase istituzionale dove la politica impone tempi rapidi e semplificazione massima, l’informazione istituzionale deve trovare modalità e linguaggi capaci di rendere trasparente la complessità in cui siamo immersi.

7. Un’ultima sequenza

Una grande sfida che si deve accompagnare a un’altra: la selezione e la forma- zione del ceto politico rappresentato in Parlamento.

Anche in questo caso una immagine può rendere meglio. E a questa affido la conclusione di questo intervento.

Camera dei deputati. Inizio della XVII legislatura. Lunedì mattina, poco prima delle 9:00.

Il Palazzo è ancora vuoto. Attraverso velocemente il Transatlantico per andare alla buvette. Saluto il commesso della cassa e provo a stuzzicarlo sull’inizio della nuova legislatura. Non è una operazione facile. I commessi sono cortesi con tutti, ma impermeabili a qualsiasi tentativo di coinvolgimento in valutazioni o pette- golezzi. Eppure questa volta mi rendo conto che il mio interlocutore ha voglia di parlare. Basta un accenno e parte il racconto. “Dottore, sono quarant’anni che vivo qui. Ma quello che è successo oggi non mi era mai accaduto”. Mentre parla esce dalla cassa e si dirige verso la porta. “C’è ancora, lì in fondo”, prose- gue indicando verso il lato opposto del Transatlantico. Su una poltrona sotto uno dei monitor c’è un signore sui 40 anni che guarda il vuoto in silenzio. “Lo vede – riprende il commesso – quando sono arrivato l’ho trovato seduto con la testa sulle ginocchia. Ho temuto il peggio. Mi sono avvicinato. Quando ha alzato la testa l’ho riconosciuto. Siccome è arrivato da poco gli ho detto: “Onorevole, se ha bisogno l’infermeria è qui dietro, l’accompagno”. Cortesemente, ma con gli occhi lucidi mi risposto: “No, no lasci stare”, e poi tra sé e sé: “Ma che ci sto a fare qui? Facevo l’idraulico!” “E lei cosa ha fatto?”, dico, senza far trasparire meraviglia. “Beh, anche se non potevo, gli ho portato un caffè”.

“PERCEZIONE” DEL PARLAMENTO NELLA SFERA