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Giuseppe Mobilio

2. Questioni preliminar

Un primo aspetto preliminare da mettere in evidenza sono le esigenze sottese alla funzione ispettiva del Parlamento. Dietro allo strumento dell’inchiesta, come più in generale per i poteri conoscitivi parlamentari, vi è primariamente la neces- sità di disporre di canali di informazione che siano indipendenti innanzitutto dal Governo, ma anche dai partiti e dai gruppi di interesse1.

Altro profilo da sottolineare è la stringatezza dei dati normativi di carattere generale riservato alle Commissioni di inchiesta, sia a livello costituzionale2 che a livello di regolamenti interni alle Camere3. Ne deriva una notevole elasticità e flessibilità della disciplina concernente questi organi, tale da affidare princi- palmente alle forze politico-istituzionali la responsabilità di definirne la relativa portata, soprattutto attraverso la prassi applicativa e le singole decisioni istitutive. È anche in ragione del carattere quantitativamente limitato del diritto positivo che la dottrina, nella propria riflessione teorica, ha potuto ricostruire la natura delle Commissioni di inchiesta in termini divergenti, giungendo a soluzioni anche molto distanti fra loro in ordine al fondamento del potere di inchiesta

1 A. Manzella, Il parlamento, Bologna, il Mulino, 2003, p. 171; L. Gianniti - N. Lupo, Corso di diritto parlamentare, Bologna, il Mulino, 2013, p. 182, che osservano come sia sintomatica di questa necessità di indipendenza anche la collocazione sistematica dell’art. 82 all’interno del testo costitu- zionale, posto a chiusura della sezione dedicata alla funzione parlamentare tipica, quella legislativa, e non in stretto contatto con il rapporto fiduciario.

2 Basti pensare all’ampiezza del riferimento alle «materie di pubblico interesse» di cui all’art. 82, c. 1, Cost. e ai tentativi in Assemblea costituente di circoscriverne la portata: in sede di II Sotto- commissione l’On. Fabbri propose di limitare l’oggetto di indagine a «amministrazioni statali e pa- rastatali, escludendo gli affari privati», ma la proposta venne respinta. Successivamente anche l’On. Tosato propose di limitare le possibilità di inchiesta alle sole «Pubbliche Amministrazioni», ma anche tale ipotesi venne respinta. Cfr., rispettivamente, seduta del 21 settembre e del 21 dicembre 1946, in La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori della Assemblea Costituente, vol. VII, Roma, Camera dei Deputati, 1970, p. 1075 e p. 1624 ss.

3 In base all’art. 162, c. 1-bis del reg. Senato si dispone che «quando una proposta di inchiesta parlamentare è sottoscritta da almeno un decimo dei componenti del Senato, è posta all’ordine del giorno della competente Commissione, che deve riunirsi entro i cinque giorni successivi al de- ferimento. Il Presidente del Senato assegna alla Commissione un termine inderogabile per riferire all’Assemblea. Decorso tale termine, la proposta è comunque iscritta all’ordine del giorno dell’As- semblea nella prima seduta successiva alla scadenza del termine medesimo, ovvero in una seduta supplementare da tenersi nello stesso giorno di questa o in quello successivo, per essere discussa nel testo dei proponenti. La discussione in Assemblea si svolge a norma dell’articolo 55, comma 5».

L’art. 116, c. 4 del reg. Camera prevede invece che «la questione di fiducia non può essere posta su proposte di inchieste parlamentari, modificazioni del regolamento e relative interpretazioni o richiami, autorizzazioni a procedere e verifica delle elezioni, nomine, fatti personali, sanzioni di- sciplinari ed in generale su quanto attenga alle condizioni di funzionamento interno della Camera e su tutti quegli argomenti per i quali il regolamento prescrive votazioni per alzata di mano o per scrutinio segreto».

delle Camere, al rapporto con le altre funzioni parlamentari, ai poteri delle Commissioni e ai relativi limiti4. Ogni inquadramento teorico sulle Commissioni di inchiesta, inoltre, è il portato di concezioni più ampie con cui, a monte, si inquadrano i rapporti tra organi costituzionali e la stessa forma di Governo5.

Ad ogni modo, al di là della complessità delle questioni che così si aprono, occorre tener presente che, nella propria attività materiale, le Commissioni di inchiesta hanno lo scopo principale di compiere “accertamenti” e “valutazioni”, e non di esprimere “giudizi” in senso stretto6; il momento del giudizio, ovvero la decisione in ordine alle conseguenze sia politiche che giuridiche rispetto alle risultanze emerse, dovrebbe spettare propriamente all’Assemblea parlamentare, nel primo caso, o alla magistratura, nel secondo 7.

Da ultimo, occorre sempre ricordare che le Commissioni di inchiesta, pur essendo potenzialmente titolari di poteri analoghi a quelli dell’autorità giudizia- ria, appartengono sempre alla sfera della “politica”, in quanto non costituiscono organi imparziali, bensì organi di natura politica, composti da soggetti politici,

4 In particolare, accennando per sommi capi, quanto al fondamento del potere di inchiesta si fronteggiano la tesi che riconosce un potere implicito del Parlamento e quella che ne individua il fondamento nel dettato costituzionale; quanto al rapporto con le altre funzioni parlamentari si contrappongono la tesi che sostiene il carattere “strumentale” rispetto alle altre funzioni e quella che riconosce carattere “autonomo” rispetto ad esse; da ciascun inquadramento derivano diversi li- miti al potere di inchiesta. Per una disamina delle diverse posizioni, si vedano i richiami, anche dot- trinari, in G. Busia, Art. 82, A. Celotto - R. Bifulco - M. Olivetti, in Commentario alla Costituzione, vol. II, Torino, 2006, p. 1618 ss. Cfr., inoltre, le ricostruzioni in P. Costanzo, Il Parlamento inquisitore: aggiornamenti sulla più recente prassi parlamentare, in «Quaderni costituzionali», 1991, p. 407; B. Cara- vità di Toritto, L’inchiesta parlamentare, in L. Violante (a cura di), Il Parlamento, vol. XVII, Torino, Einaudi, 2001, p. 726 ss.; R. Dickmann, Profili costituzionali dell’inchiesta parlamentare, in «Diritto e so- cietà», 3, 2007, p. 463 ss.; D. Piccione, Fuori o oltre la linea d’ombra? Ancora sul sequestro dei locali degli ospedali psichiatrici giudiziari, a tutela dei diritti costituzionali degli internati sottoposti a misure di sicurezza, in «Giurisprudenza costituzionale», 2011, p. 3405.

5 Nel valorizzare la centralità del Parlamento all’interno della forma di governo, anche in rap- porto a determinati periodi storici della storia repubblicana, l’inchiesta è stata qualificata come potere da riconnettere alla funzione di “garanzia” di tale organo, autonoma dal circuito di indirizzo politico. Tale funzione trae a sua volta fondamento diretto nella sovranità popolare di cui all’art. 1 della Costituzione, che deve potere essere esercitata, tramite il Parlamento e anche sotto forma di inchiesta, in ordine a tutti i procedimenti decisionali dei pubblici poteri. Per questa ricostruzione, cfr. A. Manzella, Il parlamento, cit., p. 174 ss.

All’opposto, qualora si preferisse valorizzare il continuum tra maggioranza parlamentare-Go- verno, da una parte, e opposizioni politiche, dall’altra, si potrebbe identificare nell’inchiesta parlamentare uno strumento di Governo della stessa maggioranza, ovvero di “indirizzo politico”; tant’è che è necessario ottenere il consenso delle forze politiche al Governo per l’istituzione di una Commissione d’inchiesta, che non può quindi essere considerata uno strumento di controllo parlamentare. Di conseguenza, il Governo o la maggioranza acconsentiranno all’istituzione di tali organi nella misura in cui abbiano interesse a che l’acquisizione di certe informazioni avvengano in una forma di contraddittorio piuttosto che in un’altra; di converso, le opposizioni saranno, in linea di principio, sempre favorevoli all’istituzione di una Commissione d’inchiesta perché avranno la possibilità di mettere in difficoltà la maggioranza sfruttando le opportunità del contraddittorio. Per questa ricostruzione, cfr. A. Pace, Art. 82, in G. Branca (a cura di), Commentario della Costituzione, Bologna-Roma, Zanichelli-Il Foro, 1979, p. 310 ss.

6 G. Silvestri, Considerazioni sui poteri e i limiti della commissioni parlamentari di inchiesta, in «Il Po- litico», 1970, p. 559 ss.

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che risentono al loro interno di una dialettica politica, finalizzati all’adozione di atti politici e con il compito di accertare responsabilità innanzitutto politiche8. Ne deriva come tali Commissioni non siano mosse dalla preoccupazione di accer- tare solo ed esclusivamente verità storiche, ma si rendano invece responsabili di letture politico-istituzionali rispetto a fatti e vicende ricostruite.

3. La più recente prassi legata alle Commissioni di inchiesta

Prima di entrare nello specifico del regime di pubblicità delle Commissioni di inchiesta è necessario contestualizzare la specifica disciplina nella prassi di questi organi, per comprendere se vi siano fattori che hanno condizionato l’evo- luzione normativa relativa alla pubblicità. Nella specie, la prassi verrà qui definita con alcune coordinate sia quantitative che qualitative. L’arco temporale preso in considerazione va dall’attuale XVII legislatura (giugno 2016) fino alla XII legislatura, periodo nel quale si sono verificati rilevanti assestamenti nel sistema politico-partitico, con l’obiettivo di gettare uno sguardo sul più recente periodo.

A livello di numero di Commissioni istituite, come si evince dalla tabella riportata in calce, si registrano alcuni picchi nel corso della XII legislatura (9 Commissioni9), nella XIV legislatura (10 Commissioni) e nel corso della legi- slatura attuale (10 Commissioni)10. Pare inoltre che le Camere preferiscano ricorrere alle Commissioni monocamerali, istituite con mozione, piuttosto che a quelle bicamerali, istituite con legge. Le Commissioni monocamerali, infatti, rimangono dotate di una maggiore agilità nel funzionamento11. In ragione di questa esigenza di funzionalità, però, si comprende anche perché le Camere pre- feriscano spesso fare ricorso allo strumento più duttile dell’indagine conoscitiva piuttosto che all’istituzione di nuovi organi di inchiesta, ritenendo sufficiente la sola “autorevolezza” del Parlamento per acquisire informazioni da soggetti pub- blici o privati invece che spendere poteri coercitivi12.

8 P. Costanzo, Il Parlamento inquisitore: aggiornamenti sulla più recente prassi parlamentare, cit., p. 410 ss.; M. Midiri, Autonomia costituzionale delle camere e potere giudiziario, Padova, Cedam, 1999, p. 417.

9 La CI sull’attuazione della politica di cooperazione con i Paesi in via di sviluppo, pur istituita con legge 17 gennaio 1994, n. 46, adottata nel corso della legislatura precedente, è stata costituita il 3 novembre 1994 e dunque si fa rientrare nella legislatura successiva.

10 Tuttavia bisogna anche considerare che la XV legislatura, pur caratterizzata per la sua breve durata di circa due anni, ha conosciuto l’istituzione di ben 6 Commissioni d’inchiesta.

11 V. Di Ciolo - L. Ciaurro, Il diritto parlamentare nella teoria e nella pratica, Milano, Giuffrè, 2013, p. 816 ss. Questa circostanza prescinde dal fenomeno delle Commissioni originariamente istituite come temporanee ma che, nel tempo, si sono “stabilizzate” attraverso la loro riproposizione nel corso delle diverse legislature, dal momento che sia Commissioni bicamerali – si pensi alle inchie- ste relative ai fenomeni mafiosi o al ciclo dei rifiuti – sia Commissioni monocamerali – come le in- chieste sugli effetti dell’uranio impoverito o sugli infortuni sul lavoro – tendono più volte ad essere istituite.

12 Sul punto, cfr. G. Renna, Indagini conoscitive, in «Rassegna Parlamentare», 2, 2010, p. 537 ss.; A. Manzella, Il parlamento, cit., p. 205 ss. A livello regolamentare si fa riferimento agli art. 144 reg. Camera, che reputa sufficiente l’«intesa con il Presidente della Camera» (c. 1), e art. 48 reg. Sen., che richiede solamente il «consenso del Presidente del Senato» (c. 1), pur ponendo dei limiti ai poteri da spendere durante l’indagine, escludendo cioè che si possa disporre dei poteri delle Commissioni di inchiesta o che abbiano facoltà «di esercitare alcun sindacato politico, di emanare

A livello qualitativo, può essere utile riprendere i tradizionali criteri di distin- zione basati sulle finalità per le quali vengono istituite le Commissioni d’inchie- sta13. Sarebbe dunque possibile distinguere tra: inchieste “legislative”, finalizzate alla conoscenza di fenomeni di impatto sociale, con lo scopo di fornire materiali per iniziative legislative o per verificare l’applicazione della normativa esistente; inchieste “di controllo”, finalizzate all’accertamento di responsabilità politiche e giuridiche di esponenti del Governo o di altri pubblici poteri, con lo scopo di attivare meccanismi di responsabilità da parte della magistratura, del Parlamento e, ultimamente, del corpo elettorale; inchieste “miste”, finalizzate all’accerta- mento di responsabilità politico-istituzionali di tipo generale oppure chiamate a fornire elementi conoscitivi per l’adozione di provvedimenti legislativi e, al contempo, accertare la sussistenza di eventuali responsabilità nell’ambito di indagine. Questa distinzione teleologica, tuttavia, assume carattere puramente descrittivo e presenta confini alquanto labili. Per comprendere le finalità di un’inchiesta occorrerebbe infatti analizzare disaggregatamente i singoli aspetti della legge o della delibera istitutiva, tenendo presente il contesto politico entro cui la Commissione è stata istituita e come nella prassi essa abbia operato. Dai dati riportati nella tabella in calce, elaborati sulla base di una disamina sommaria degli elementi accennati, emerge, da una parte, l’impossibilità di operare una periodizzazione netta che si basi sulle finalità istitutive delle Commissioni, ma anche, dall’altra, la possibilità di individuare periodi in cui prevalgono inchieste “paragiudiziali” – come nel corso della XIV legislatura – ed altri in cui prevalgo- no le inchieste “legislative” e “miste” – come accade nella XV e XVI Legislatura. Bisogna però anticipare fin da qui che il regime di pubblicità delle Commissioni di inchiesta ha dimostrato di seguire dinamiche sostanzialmente slegate alla fina- lità delle indagini di questi organi.

4. L’evoluzione nel regime giuridico della pubblicità

Venendo propriamente all’evoluzione della disciplina riguardante la pubblicità delle Commissioni di inchiesta, occorre svolgere alcune premesse metodologiche. Innanzitutto, le fonti utili per ricostruire il regime di pubblicità sono indi- viduabili nelle leggi e nelle delibere istitutive, nei regolamenti interni adottati da ciascuna Commissione nell’esercizio di una “parziale autonomia normativa”, anche in assenza di una previsione legislativa al riguardo14, nonché nelle delibere

direttive, di procedere ad imputazioni di responsabilità» (c. 2).

13 A. Manzella, Il parlamento, cit., p. 176 ss.; V. Di Ciolo - L. Ciaurro, Il diritto parlamentare nella teoria e nella pratica, cit., p. 816; A. Mannino, Diritto parlamentare, Milano, Giuffrè, 2010, p. 337 ss.; A. Pace, Art. 82, cit., p. 316 ss.; B. Caravità di Toritto, L’inchiesta parlamentare, cit., p. 728 ss.; R. Bor- rello, Segreti pubblici e poteri giudiziari delle commissioni d’inchiesta, Milano, Giuffrè, 2003, p. 43 ss.

14 F. Comparone, L’inchiesta parlamentare: esercizio dei poteri ed organizzazione, in R. Dickmann - S. Staiano (a cura di), Funzioni parlamentari non legislative e forma di governo, Milano, Giuffrè, 2008, p. 206 ss.; V. Di Ciolo - L. Ciaurro, Il diritto parlamentare nella teoria e nella pratica, cit., p. 845 ss. Nel prosieguo della trattazione si farà riferimento ai regolamenti interni delle Commissioni tramite l’indicazione della data della seduta durante la quale sono stati adottati; il relativo testo si trova pubblicato sul Bollettino delle giunte e Commissioni parlamentari, assieme ai resoconti sommari o stenografici di seduta.

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di questi organi adottate con riguardo a specifiche attività o singoli atti. Si ha di fronte, dunque, un complesso intreccio tra fonti che non agevola certo l’analisi, ma che consente solamente di ricostruire un quadro tendenziale.

Quanto agli aspetti sostanziali della disciplina, è possibile distinguere due macro-temi ulteriormente articolabili al loro interno. Da una parte, si ha riguar- do al profilo della conoscibilità di quanto avviene nel corso delle sedute, per il quale è possibile distinguere nella regolamentazione della pubblicità o meno nelle sedute, la partecipazione di soggetti esterni, l’ammissibilità di riprese audio-visive, la resocontazione e la verbalizzazione. Dall’altra, si ha riguardo al profilo dell’attività cartolare, per il quale è possibile distinguere nella segretezza degli atti e dei documenti, la pubblicabilità di documenti e delibere, il regime di classificazione e archiviazione degli atti. Non è stata presa in considerazione la disciplina riguardante il segreto opponibile alle Commissioni nel caso di richie- sta di documenti ad altre autorità, non avendo immediata rilevanza sul regime divulgativo di atti e documenti prodotti nel corso delle attività. Viceversa, assume rilievo il segreto “funzionale” che copre gli atti prodotti dalla Commissione e l’obbligo in capo ai commissari di non divulgare il contenuto degli atti coperti da segreto; questioni, entrambe, che hanno dato adito a problematiche sfociate anche in conflitti di attribuzione innanzi alla Corte costituzionale, di cui si darà conto successivamente.

4.1. L’emersione della disciplina sulla segretezza/pubblicità

Fin da subito si è parlato di una evoluzione nel regime di pubblicità perché, nel susseguirsi delle legislature della storia repubblicana, la relativa disciplina è progressivamente mutata, esprimendo così indirizzi diversi e senza raggiungere un punto di definitiva stabilità. Occorre quindi verificare come i singoli profili sulla pubblicità sono stati introdotti e si sono eventualmente affermati.

Le inchieste condotte nel corso delle prime legislature vertevano su problemi generali della società, in relazione ai quali non vi erano esigenze di segretezza legate a responsabilità individuali, condizionamenti ambientali o collegamenti con indagini parallele15. La pubblicità, generalmente scarsa per le attività delle Commissioni, veniva assicurata tramite la pubblicazione volontaria di tutti gli atti e i documenti, contestualmente o successivamente alla presentazione della relazione conclusiva16.

A partire dall’inchiesta sulla “anonima banchieri”, risalente all’inizio della III legislatura, le principali inchieste hanno cominciato a caratterizzarsi con violenti polemiche da parte degli organi di stampa, con conflitti tra partiti e tra esponenti del Governo, con presunte compromissioni delle forze politiche negli scandali

15 G. Long, La pubblicità delle commissioni d’inchiesta, in G. De Vergottini (a cura di), Le inchieste delle assemblee parlamentari, Rimini, Maggioli, 1985, p. 239 ss.

16 Così è accaduto, ad esempio, per la Commissione d’inchiesta sulla disoccupazione, istituita dalla Camera nella I legislatura, o per la Commissione d’inchiesta sulla miseria e sulle condizioni dei lavoratori, la prima commissione bicamerale del Parlamento repubblicano, istituita nella II legi- slatura con mozione di ciascuna Camera.

oggetto dei lavori17. La Commissione sulla “anonima banchieri”, come le nume- rose altre successivamente istituite con legge, hanno così manifestato la tendenza ad assumere un carattere marcatamente paragiudiziario; di converso, volendo evitare le possibili degenerazioni causate dalle deformazioni della stampa o dalle tendenze dei commissari a trasformarsi in “pubblica accusa” o “pubblica difesa”, si è cominciato ad adottare un atteggiamento restrittivo nei confronti delle possi- bili forme di pubblicità. Gli atti istitutivi degli organi di inchiesta hanno evitato di formulare previsioni al riguardo, rendendo così applicabili le regole generali e le prassi relative alle sedute delle Commissioni, che escludevano possibili aperture al pubblico esterno o la resocontazione delle sedute18. I resoconti stenografici, in particolare, venivano redatti per fini interni, mantenendo così natura riservata, per essere destinati ad una eventuale pubblicazione solamente in allegato alla relazione finale e previa decisione della Commissione19.

Il regime di segretezza, inoltre, veniva rafforzato anche mediante ulteriori dispositivi. Già la legge 18 ottobre 1958, n. 943, relativa alla citata inchiesta sulla “anonima banchieri”, imponeva a commissari, segretari e collaboratori il segreto istruttorio su quanto emerso in sede di indagine, secondo quanto stabilito agli artt. 230 e 307 del c.p.p. allora vigente20. Tale formula è stata poi ripresa dall’art. 6 della legge 31 marzo 1969, n. 93, istitutiva della Commissione sugli eventi del giugno-luglio 1964 (SIFAR), la quale, considerato il ruolo avuto dalla stampa nella vicenda21, ha aggiunto la previsione che estendeva le pene previste anche «a chiunque pubblichi, in tutto o in parte, anche per riassunto o a guisa di infor- mazione, atti o documenti del procedimento d’inchiesta». Della segretezza così imposta veniva assicurato anche il carattere ultrattivo, nel momento in cui si attri- buiva alla Commissione il potere di stabilire «di quali atti dell’inchiesta e di quali documenti da essa acquisiti non debba essere fatta menzione nella sua relazione o non debbano essere ad essa allegati, dovendo rimanere segreti nell’interesse della sicurezza dello Stato o nell’interesse politico, interno od internazionale, dello Stato medesimo»22.

Una maggiore apertura verso la pubblicità è derivata non tanto dalle leggi istitutive, quanto dalle previsioni dei regolamenti interni, che hanno fatto la loro

17 G. Long, La pubblicità delle commissioni d’inchiesta, cit., p. 239 ss.; G. Maggio, Rivista Amministra- tiva della Repubblica Italiana, in «Rivista Amministrativa della Repubblica Italiana», 1996, p. 1156.

18 G. Long, La pubblicità delle commissioni d’inchiesta, cit., p. 240.

19 G. Maggio, Rivista Amministrativa della Repubblica Italiana, cit., p. 1156. 20 Art. 1, c. 4, legge n. 943/1958.

21 È la stessa relazione conclusiva all’inchiesta a dar conto di come siano state notizie diffuse dalla stampa a dare avvio ai primi dibattiti parlamentari in merito allo svolgimento da parte del Ser- vizio Informazioni Difesa (S.I.D., poi S.I.F.A.R.) di attività estranee ai propri compiti istituzionali, nella specie attività di “dossieraggio” su noti esponenti politici, che poi portarono all’istituzione di una Commissione di inchiesta. Cfr. Senato della Repubblica, V legisl., doc. XXIII, n. 1, p. 4 ss.

22 Art. 7, legge n. 93/1969. Tale formula è stata poi ripresa, fra l’altro, dall’art. 6 della legge 8 agosto 1977, n. 595, relativa alla CI sulle commesse di armi e mezzi ad uso militare e sugli approvvi- gionamenti, dall’art. 6 della legge 23 novembre 1979, n. 597, relativa alla CI sulla strage di via Fani, sul sequestro e l’assassinio di Aldo Moro e sul terrorismo in Italia, dall’art. 6 della legge 2 maggio