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Sommario: 1. Il problema della percezione del Parlamento nella nuova sfera pubblica. 2. Crisi del rappresentato o del rappresentante? 3. La separazione fra parlamento ed agorà. 4. Trasparenza ed efficienza decisionale. 5. Trasparenza delle istituzioni parlamentari e grado di fiducia dei cittadini. 6. Dalle anomalie ad un nuovo paradigma?

1. Il problema della percezione del Parlamento nella nuova sfera pubblica

Prendo le mosse dall’espressione “percezione del potere” associata a quella di “crisi del Parlamento”, come hanno fatto gli organizzatori per definire l’og- getto di questo convegno. Ho trovato molto stimolante questo accostamento in quanto permette di adottare una prospettiva inusuale ad un tema classico del diritto parlamentare: quello della pubblicità dei lavori delle Assemblee elettive. I Parlamenti moderni nascono sul presupposto della pubblicità che rappresen- ta uno dei requisiti normalmente prescritti all’operare della rappresentanza politica in epoca liberale. Un precetto ribadito da gran parte della Costituzioni contemporanee, inclusa la nostra che lo consacra nell’articolo 64 insieme ad altri caposaldi del regime parlamentare, come il principio dell’autonomia regolamen- tare delle due Camere.

È ben noto peraltro come neanche alle origini del parlamentarismo moderno le forme istituzionali classiche della pubblicità dei lavori parlamentari (come i resoconti stenografici dei dibattiti) abbiano costituito il canale esclusivo di col- legamento fra le Camere e la più ampia sfera comunicativa pubblica. A svolgere un fondamentale ruolo in questo senso sono stati altri media, ad esempio, per l’intero XIX secolo, i giornali e le riviste rivolti all’emergente opinione pubblica. Oggi, come vedremo meglio più avanti, i nuovi media aprono un capitolo tutto ancora da scrivere dell’affascinate storia del rapporto fra Parlamenti e sfera pubblica. In questa nuova fase la posta in gioco per le assemblee elettive sembra essere quella, appunto, della “percezione”: la sfida consiste nel riuscire ad ottenere rilevanza e visibilità in un’arena comunicativa che si è fatta non solo enormemente più ampia, e al tempo stesso più affollata, rispetto al passato, ma anche “multilivel- lo” e “multicanale”, svolgendosi contemporaneamente attraverso una molteplicità di media in competizione. In questo nuovo ambiente, si può davvero dire che esse est percipi. Fra i diversi attori della sfera pubblica è aperta una vera e propria lotta per la sopravvivenza mediatica. Le più recenti analisi sociologiche hanno ben posto

Giovanni Rizzoni La crisi del Parlamento nelle regole della sua percezione

Etimologicamente la parola crisi si riferisce a un momento decisivo, che fa da spartiacque in una particolare vicenda. Originariamente il termine era utilizza- to per indicare l’intervento della decisione giudiziale in un processo o la fase acuta nel decorso di una malattia, quella che decide della vita o della morte del paziente3. Se questo è vero, va allora detto che quella del Parlamento appare una ossimorica “crisi permanente” che si direbbe intrinsecamente collegata a qualche caratteristica essenziale del modo stesso di essere delle istituzioni parla- mentari moderne. Una crisi che pertanto sembra rappresentare non uno stato d’eccezione, ma un aspetto della vita ordinaria delle assemblee elettive. È difficile insomma non connettere il ricorrente giudizio critico sulle istituzioni parlamen- tari con la congenita instabilità delle forme democratiche moderne fondate sulla continua messa in discussione dei confini fra poteri costituiti e società civile. È stato a questo proposito detto giustamente come la storia dei regimi democratici si possa raccontare appunto facendo riferimento a tale perenne spostamento di confini4. Ebbene, i Parlamenti, in quanto istituzioni che – secondo la celebre definizione hegeliana – fanno da “porticato” fra sfera istituzionale e sfera sociale, sono i sensori più fini di questa permanente rinegoziazione in progress.

Questo però non significa che effettivamente il parlamentarismo non abbia conosciuto delle svolte, delle soluzioni di continuità, come ad esempio è acca- duto con il passaggio alla fine del XVIII secolo fra Parlamenti premoderni e Parlamenti moderni, o con la trasformazione subita dai Parlamenti ottocenteschi in conseguenza dell’ingresso delle grandi organizzazioni partitiche di massa che avrebbero dominato la scena nel XX secolo.

Oggi siamo probabilmente alle porte di un altro cambiamento di paradig- ma della rappresentanza, che, come i precedenti, impone un mutamento della forma stessa dei Parlamenti, o meglio, dello loro Gestalt. Con questo termine si indica infatti propriamente la forma di un oggetto in quanto in primo luogo forma di percezione: il cambiamento di Gestalt presuppone dunque un mutamento delle strutture stesse con le quali vediamo ciò che vediamo, nel nostro caso, i Parlamenti nella sfera pubblica. Che il riferimento a questo tipo di forma sia sempre stato cruciale per definire le diverse fasi del parlamentarismo deriva dalla stessa funzione rappresentativa dei Parlamenti, per loro natura istituzioni dirette a trasmettere una certa immagine del corpo politico alla comunità dei cittadini. Il cambiamento delle forme di comunicazione sociale non può quindi che incidere profondamente sulla Gestalt parlamentare.

La grande trasformazione in atto si può del resto definire come una “crisi” a patto di includere come soggetti di questo “passaggio decisivo” non solo i Parlamenti, ma anche e soprattutto i cittadini stessi. È stato a questo proposito giustamente osservato come la crisi del rappresentante rimandi ad una altret- tanto e forse più profonda crisi del rappresentato, del cittadino che oggi appare

3 Per l’uso nella cultura greca antica del termine crisi (krisis) nei significati riportati nel testo ve- di R. Kosellek, Krise in Geschichtliche Grundbegriffe. Historisches Lexicon zur politisch-sozialen Sprache in Deutschland, a cura di O. Brunner, W. Conze, R. Kosellek, Stuttgart, Klen-Cotta, 1972-1997, vol. III, p. 617.

4 N. Urbinati, Representative democracy: Principles and Genealogy, Chicago, University of Chicago Press, 2006. p. 21.

in evidenza alcune delle caratteristiche delle nuove dinamiche comunicative. Ad esempio quella di essere dominate da fenomeni di accentuata accelerazione nell’e- missione dei messaggi che, per essere percepiti, debbono a loro volta superare soglie sempre più alte di eccitazione in un pubblico continuamente “distratto” dalla enorme massa di sollecitazioni provenienti della nuova mediasfera1.

D’altro canto, le connotazioni con le quali una persona o una istituzione ven- gono oggi percepite nell’affollata arena comunicativa contemporanea ne deter- minano ormai la reputazione sociale anche al di là dei caratteri effettivamente riscontrabili a carico di chi diventa oggetto del discorso pubblico. Un esempio per tutti: le classifiche internazionali stilate da Transparency International sulla corruzione. Il ranking delle diverse nazioni viene preparato non sulla base di dati oggettivamente confrontabili (ad es. il numero di reati rilevati, le stime sulla quota del PIL interessata dal fenomeno, ecc.), ma mettendo a paragone i giudizi di un campione di imprenditori che operano in ciascun Paese. Nonostante il carattere evidentemente soggettivo di queste valutazioni, la classifica viene comu- nemente utilizzata dai media e dagli operatori politici ed economici per compa- rare le performance dei diversi sistemi nazionali.

Una delle cause più rilevanti della attuale crisi della rappresentanza parla- mentare, non solo in Italia, è certamente collegata alla difficoltà di rinegoziare i termini del rapporto con una sfera pubblica sottoposta ai vorticosi processi di cambiamento cui ho accennato. In questo intervento vorrei soffermarmi su alcuni aspetti di tale crisi, in primo luogo problematizzando lo stesso concetto di “crisi”, per affrontare poi alcune delle aporie che contrassegnano l’attuale rela- zione fra assemblee parlamentari e sfera pubblica e i tentativi per una maggiore apertura e trasparenza delle istituzioni rappresentative.

2. Crisi del rappresentato o del rappresentante?

Che il Parlamento sia “in crisi” è opinione largamente condivisa, e non da oggi. Di “crisi del parlamentarismo” si parla, com’è noto, almeno dalla metà degli anni ‘20 del secolo scorso2, tanto da potersi affermare che le istituzioni par- lamentari sembrano essere state permanentemente “in crisi” per gran parte della storia della rappresentanza politica moderna. Già questa constatazione induce a qualche cautela nell’adottare una prospettiva che a tutti gli effetti appare oggi una delle più persistenti idées reçues sulle assemblee parlamentari.

1 Cfr. C. Tuerke, Erregte Gesellschaft. Philosophie der Sensation, München, 2002 (tr. it. La società eccitata. Filosofia della sensazione, Torino, Bollati Boringhieri,2012).

2 Classiche le osservazioni di C. Schmitt che ricollega la crisi del parlamentarismo borghese al venir meno della rappresentanza oligarchica ottocentesca e all’incapacità da parte dei Parlamenti di esprimere una effettiva funzione di integrazione a fronte delle nuove dinamiche della società di massa. L’avvento della democrazia dei partiti che spostano le sedi decisionali fuori dalle aule parla- mentari rende di fatto obsoleta la costellazione di valori del parlamentarismo, basata sugli ideali di pubblicità e libera discussione (cfr ad esempio C. Schmitt, Die geistesgeschichtliche Lage des heutigen Parlamentarismus, Berlin, Duncker & Humblot,1983, I ed., 1923, p. 79 ss.). Sul carattere ideologico di questa critica, dettata da una prospettiva centrata sulla concezione della democrazia come identi- tà e sulla enfatizzazione del valore della decisione, vedi G. Azzariti, Critica della democrazia identita- ria. Lo Stato costituzionale schmittiano e la crisi del parlamentarismo, Roma-Bari, Laterza, 2015, p. 71 ss.

Giovanni Rizzoni La crisi del Parlamento nelle regole della sua percezione

Pur aprendo la propria sfera deliberativa all’esame e al commento critico dei cittadini, il parlamentarismo classico applica tuttavia un rigoroso criterio di separazione fra l’arena parlamentare e il pubblico in senso fisico. Un invalicabile wall of separation proteggeva il dibattito parlamentare da indebite influenze diret- te da parte della “piazza”8. I rappresentanti del popolo nelle aule parlamentari dovevano poter dibattere liberamente sul bene comune e adottare le scelte cor- rispondenti al superiore interesse della nazione. Proprio per rendere possibile questo confronto, lo spazio delle Assemblee legislative, pur essendo uno spazio pubblico, doveva rimanere esente da qualunque forma di pressione esterna. Come accade del resto ancora oggi, i cittadini potevano assistere alle sedute, ma erano tenuti ad astenersi dal manifestare segni di approvazione o di critica rispet- to a quanto avveniva nell’aula parlamentare. Quest’ultima è quindi sì trasparente, ma nel modo in cui lo è l’acquario: possiamo vedere tutto ciò che si svolge al suo interno, ma ci è vietato interagire con quanto avviene in questa dimensione “altra”. La ragione di questo divieto è da ricercarsi nella natura stessa dell’arena parlamentare, una dimensione chiamata ad ospitare, appunto in vitro, processi deliberativi che si suppone valgano per l’intera comunità nazionale.

Questo “valere per” è tuttavia strettamente condizionato sia dalle speciali caratteristiche degli attori di tale processo (i parlamentari scelti sulla base di libere elezioni e provvisti della doppia prerogativa della libertà di mandato e della rappresentanza nazionale), sia dalle garanzie offerte dalle procedure parla- mentari ai processi decisionali che si svolgono nell’ambito delle Assemblee rap- presentative (principi regolativi della discussione, protezione delle minoranze, norme sulla definizione dell’ordine del giorno, ecc.). Questo delicato ecosistema – creato del tutto artificialmente dalle norme costituzionali e regolamentari, oltre che dalle convenzioni e dalla prassi – rischierebbe di essere messo gravemente in pericolo dalla partecipazione diretta dei cittadini portatori delle loro istanze particolaristiche, ancora non filtrate dalle complesse procedure che informano l’elezione e il funzionamento della rappresentanza parlamentare e che consento- no a quest’ultima di porsi appunto come rappresentanza generale.

La condizione di separatezza dall’agorà tipica della configurazione del “Parlamento acquario” non è quindi un carattere accidentale, né in qualche modo deviante rispetto all’ideale di apertura verso la società civile: si tratta anzi di un elemento costitutivo alla base del moderno parlamentarismo, di cui va tenuto il debito conto ancora oggi. Quando si propongono vari rimedi per col- mare la lamentata “distanza” che affliggerebbe l’attuale rapporto fra istituzione parlamentare e società civile va insomma attentamente valutato il limite sino al quale ci si può spingere nell’introdurre istanze partecipative nelle procedure parlamentari, senza alterare la forma fondamentale della rappresentanza poli- tica. Niente ovviamente impedisce di superare anche tale ipotetico limite e di “rompere il giocattolo” per approdare a paradigmi diversi. Abbiamo già visto che per certi versi, anzi, oggi sembriamo essere proprio alle soglie di un simile salto di Gestalt nella configurazione della rappresentanza parlamentare. Mi sembre- rebbe tuttavia utile non banalizzare questa possibile svolta presentandola come

8 J.-P. Heurtin, L’espace public parlamentaire. Essai sue les raisons du législateur, Paris, Presses Universitaires de France,1999, p. 28 ss.

Nicola Lupo

soggetto a pressioni e sollecitazioni che ne mettono profondamente a rischio la soggettività politica5. Il valore della rappresentanza politica è legato a doppio filo con la condizione che il rappresentato si collochi a sua volta in una sfera di valore ideale6. Se i cittadini nutrono una scarsa o nulla percezione di sé come soggetti politicamente attivi, è chiaro che altrettanto problematica sarà la possibilità che questi stessi cittadini riconoscano come piena e vitale la funzione rappresentativa dei Parlamenti.

Se davvero vogliamo costruire un quadro esauriente dell’attuale crisi della rappresentanza politica ed in particolare parlamentare dobbiamo pertanto tene- re presenti entrambi i termini in tensione: da un lato, il versante prettamente istituzionale, che riguarda il modo d’essere attuale delle assemblee elettive; dall’altro, le dinamiche in atto nel plasmare le mentalità collettive e gli universi di senso individuali in questa particolare fase storica. Si tratta di un compito non da poco e che è impossibile affrontare nel breve spazio di questo intervento. In questa sede mi vorrei limitare ad esplorare alcune delle aporie che oggi contras- segnano il rapporto fra istituzioni parlamentari e sfera pubblica. Analizzando tali punti di crisi è possibile rinvenire infatti a mio parere anche gli elementi dinamici più interessanti destinati a plasmare la nuova Gestalt parlamentare che potrebbe informare nel futuro questo rapporto in trasformazione.

3. La separazione fra Parlamento ed agorà

La prima aporia è da ricollegare all’elemento di forte ambivalenza presente sin dalle origini nel rapporto fra Parlamenti e sfera pubblica. Abbiamo già visto come la nascita stessa del parlamentarismo moderno fra XVIII e XIX secolo sia stata propiziata dal forte collegamento con l’allora emergente dimensione dell’o- pinione pubblica. Un campo che si è venuto progressivamente strutturando gra- zie alla formazione di un pubblico critico di lettori di giornali e riviste a carattere politico che spesso avevano ad oggetto i dibattiti svolti nelle aule parlamentari7. Del resto, per gran parte del XIX secolo, in mancanza delle grandi organizza- zioni politiche di massa, i “partiti” che si affrontavano nell’arena politica erano configurabili appunto come correnti di opinione o gruppi di interesse che si coagulavano in ambito parlamentare e avevano spesso come elemento identifi- cativo il riferimento proprio a testate giornalistiche di particolare autorevolezza o diffusione. Fra sfera pubblica e dibattito parlamentare si venne in definitiva a stabilire una relazione che si può definire in senso stretto simbiotica: la forma dell’opinione pubblica veniva plasmata in buona parte dal dibattito parlamentare che a sua volta acquistava senso e rilevanza politica solo grazie al riferimento a questa dimensione della Oeffentlichkeit.

5 M. Luciani, Il paradigma della rappresentanza di fronte alla crisi del rappresentato, in N. Zanon - F. Biondi (a cura di) Percorsi e vicende attuali della rappresentanza e della responsabilità politica: atti del con- vegno, Milano, 16-17 marzo 2000, Milano, Giuffrè, 2001, p. 114 ss.

6 G. Leibholz, Die Rapraesentation in der Demokratie, Berlin, De Gruyter, 1973 (trad. it. La Rappre- sentazione nella democrazia, Milano, Giuffrè, 1989), p. 245 della traduzione.

7 Su questo sviluppo, vedi J. Habermas, Strukturwandel der Oeffentlichkeit, Neuwied, Hermann Leuchterhand Verlag, 1962 (tr. it. Storia critica dell’opinione pubblica, Roma-Bari, Laterza, p. 75 ss.).

Giovanni Rizzoni La crisi del Parlamento nelle regole della sua percezione

duzione legislativa si deve certamente ad alcune caratteristiche peculiari delle condizioni di lavoro di questi collegi. Rispetto all’attività in Assemblea plenaria, i partecipanti al procedimento sono in numero assai più ridotto (con la possibilità di un confronto “faccia a faccia”) e le procedure sono più informali (con la possi- bilità ad esempio di riconsiderare decisioni già adottate in precedenza). Rispetto a quanto previsto per l’Assemblea plenaria, assai diverse sono anche le forme di pubblicità dei lavori, che sono più indirette (resoconto solo sommario dei dibat- titi, assenza di ripresa diretta del dibattito) e che in alcune situazioni mancano del tutto. È il caso dei “comitati ristretti” spesso costituiti per la predisposizione dei testi base sui quali avviare il confronto in Commissione: una fase informale ma di grande rilevanza per la messa a punto dei testi legislativi e per le quale non vi è alcuna forma di pubblicità.

Aprire anche queste sedi informali a forme di piena pubblicità avrebbe pro- babilmente la conseguenza di privarle della capacità di favorire il lavoro comu- ne dei commissari ai fini della formazione del testo legislativo. Con l’effetto di trasferire il “vero” lavoro legislativo fuori dalle aule parlamentari, in sedi ancora più informali. Nelle commissioni parlamentari prevale infatti di norma uno stile di lavoro orientato al compromesso sulla base di convergenze rese possibili da scambi di compensazione reciproca fra i commissari, anche differiti nel tempo (data la tendenziale stabilità nella composizione di questi collegi)11. Il carattere parzialmente riservato dei lavori di questi organi sembra costituire pertanto una condizione per la loro funzionalità12, certamente fondamentale per assicurare vitalità alla funzione di integrazione politica del Parlamento13. Anche su questo campo può insomma scattare una “dialettica dell’Illuminismo” dove l’ideale della totale trasparenza rischia di giocare contro l’efficienza deliberativa del confronto parlamentare14. Non a caso, il grande teorico della trasparenza totale in politica è stato anche il più conseguente avversario di ogni forma di mediazione rappre- sentativa nel governo della cosa pubblica15.

5. Trasparenza delle istituzioni parlamentari e grado di fiducia dei cittadini

Un terzo elemento di problematicità per le politiche di apertura dei Parlamenti verso i cittadini è rappresentato dall’incerto esito di tali politiche

11 G. Sartori, Tecniche decisionali e sistemi di comitati, in «Riv. it. scienza politica», 1974, p. 29 ss. 12 C. Fasone, Sistemi di commissioni parlamentari e forme di Governo, Milano, Giuffrè, 2012, p. 86. 13 «Un crescente interesse della sfera pubblica per le loro (delle Commissioni parlamentari) discussioni rende necessario trovare occasioni per una presa di contatto più riservata. Il pubblico penetra nelle discussioni di commissione solo per vedere slittare l’oggetto del proprio interesse a li- velli sempre nuovi di non pubblicità», H. Haftendorn, Das Problem von Parlament und Oeffentlichkeit, dargestellt am Beispiel der Parlamentsberichterstattung, Frankfurt, 1960, p. 146, citato da J. Habermas, Strukturwandel, cit. p. 246 della traduzione..

14 Per un quadro comparato cfr. C. Fasone - N. Lupo, Transparency vs. Informality in Legislative Committees: Comparing the US House of Representatives, the Italian Chamber of Deputies and the European Parliament, in «The Journal of Legislative Studies», 2015, 21:3, pp. 342-359.

15 Sul punto, vedi la magistrale ricostruzione di J. Starobinsky, J.-J. Rousseau, La transparence et l’obstacle, Gallimard, Paris, 1971 (trad. it Jean-Jacques Rousseau, La trasparenza e l’ostacolo, Bologna, il Mulino, 1982).

Nicola Lupo

una semplice evoluzione lineare in senso inclusivo e partecipativo dei tradizionali istituti parlamentari. Se una rivoluzione è all’orizzonte, questa va affrontata e, ancora prima, pensata con tutta la radicalità necessaria.

4. Trasparenza ed efficienza decisionale

Il secondo elemento di difficoltà per le politiche di apertura oggi perseguite dai Parlamenti è rappresentato da quello che possiamo chiamare il trade off fra trasparenza dei processi decisionali ed efficienza deliberativa dei medesimi. Si tratta di un profilo di particolare rilevanza proprio per un Parlamento, come quello italiano, tradizionalmente molto incline alla trasformazione della decisio- ne legislativa.

Faccio riferimento alla nota distinzione, operata in sede scientifica, fra “Parlamenti arena” e “Parlamenti laboratori”, fra Assemblee specializzate nel dibattito politico sulle proposte avanzate dal Governo ed Assemblee che invece si concentrano nella rielaborazione contenutistica dei testi legislativi, di origine governativa o parlamentare9.

Sicuramente il Parlamento italiano appartiene alla seconda categoria di corpi legislativi, avendo una lunga tradizione di trasformazione dei progetti sottoposti al suo esame, che riguarda anche i testi di iniziativa governativa e di maggior rilievo politico. La capacità trasformativa delle Camere italiane deriva in parte dal quadro normativo, costituzionale e regolamentare, cui sono sotto- poste le procedure legislative nel nostro paese. Com’è noto, l’articolo 72 della Costituzione prevede l’esame referente in Commissione come fase necessaria della decisione legislativa e attribuisce alle Commissioni anche la facoltà di approvare in via definitiva i progetti di legge, pur prescrivendo precisi limiti