2. Il diritto alla salute
2.1 Cenni sull’evoluzione del Servizio Sanitario Nazionale
La storia della tutela della salute in Italia può essere scomposta in tre fasi successive37. La prima fase si protrae fino alla fine degli anni Trenta, quando l’unica forma di garanzia contro il rischio di malattia era l’assicurazione volontaria. Segue, nel 1943, l’introduzione del sistema mutualistico, basato sull’ istituto dell’assicurazione obbligatoria di malattia. La terza fase, infine, prende avvio nel 1978 con l’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale. Seguendo l’ordine appena descritto, passeremo in rassegna questi tre periodi, evidenziandone gli elementi normativi e l’effettivo funzionamento.
Fino all’avvento del sistema mutualistico nel 1943 la gran parte della popolazione non godeva di alcuna forma di garanzia per la cura della propria salute. Solo i pochi iscritti alle società di mutuo soccorso e i cittadini indigenti potevano contare su di una copertura sanitaria. Le società di mutuo soccorso, originariamente, erano delle associazioni volontarie di ausilio reciproco, la cui adesione poteva avvenire su base territoriale o categoriale: il lavoratore iscritto ad una società mutualistica, a fronte del versamento periodico di una quota del salario, otteneva un’indennità in caso di malattia per il rimborso dei costi sostenuti (medicinali e giornate di lavoro perse). L’unica categoria protetta dall’autorità pubblica era quella degli indigenti, la tutela della cui salute era affidata ai municipi. Questi erano tenuti a redigere un registro degli indigenti del proprio territorio, assicurando loro le cure mediche necessarie e il ricovero presso gli ospedali pubblici e le opere pie38. Dunque, durante il
37 Così F. Toth, op. cit. pp. 11-14. 38 Cfr. F.Toth, op. cit., pp. 14-16.
periodo pre-mutualistico i non indigenti e tutti coloro che non aveva aderito ad una società di mutuo soccorso, in caso di malattia, pagavano per ciascuna prestazione sanitaria ottenuta. D’altronde, in molti casi, erano le associazioni caritative cristiane, come le opere pie, a farsi carico dell’assistenza di anziani, disabili, e di chiunque non avesse gli strumenti per provvedere alla propria salute autonomamente, pur non essendo iscritto al registro degli indigenti.
A partire dagli anni Quaranta si instaurò un sistema di tutela della salute fondato sull’assistenza pubblica e la previdenza sociale39. Per assistenza pubblica si intendeva la cura delle cosiddette malattie sociali (malaria, lebbra, ecc.), ovvero delle patologie potenzialmente dannose per la salute e per la sicurezza collettiva, dato il loro potenziale di contagio, e l’assistenza dei malati indigenti mediante i comuni, come nel periodo pre-mutualistico. Diversamente, la previdenza sociale riguardava l’assistenza sanitaria dei lavoratori e dei loro familiari attraverso la sottoscrizione di assicurazioni obbligatorie contro il rischio di malattia40. Con la legge n. 138 del 1943 fu istituito l’Istituto Nazionale per le Assicurazioni contro le Malattie (INAM), in cui si unificavano tutte le casse mutue preesistenti rivolte ai lavoratori dipendenti. Negli anni successivi l’assicurazione obbligatoria è stata estesa anche ai lavoratori autonomi e ai liberi professionisti, arrivando a coprire tutte le categorie professionali. Ciascuna di queste categorie faceva riferimento ad una gestione mutualistica distinta, con proprie regole e condizioni: il valore della quota di salario da versare come contributo, il tipo di prestazioni sanitarie garantite e la qualità dell’assistenza variavano da mutua a mutua. Difatti, la frammentazione istituzionale e organizzativa e la disomogeneità di trattamento dei lavoratori costituivano i principali limiti del sistema di salute dell’epoca, che, peraltro, non garantiva alcuna copertura a chi non partecipasse effettivamente al mercato del lavoro (disoccupati e inoccupati). A queste criticità si deve aggiungere il rapido declino finanziario del sistema, dovuto agli elevati costi di gestione e all’aumento della domanda di assistenza, imputabile, peraltro, ad un ricorso improprio alle prestazioni da parte degli assicurati.
39 Così M. Pasquini e D. Pasquini Peruzzi, Il servizio sanitario nazionale. Profili funzionali e strutturali, Jovene,
Napoli, 1979, pp. 3-14.
40 Per assicurazione obbligatoria contro il rischio di malattia si intende la sottoscrizione di un contratto in cui,
a fronte del versamento di una quota prestabilita da parte dell’assicurato, si riconoscono a quest’ultimo e ai suoi familiari prestazioni economiche e sanitarie in caso di malattia. Per ulteriori approfondimenti si veda M. Pasquini e D. Pasquini Peruzzi, op. cit., pp. 1-23.
Proprio a causa di tali lacune, alla metà degli anni Sessanta può considerarsi ormai fallito il sistema mutualistico italiano, non più in grado di garantire l’esercizio del diritto alla salute in condizioni di equità ed efficienza economico-finanziaria. Difatti, nel 1968 con la cosiddetta riforma ospedaliera41, si fa un primo passo verso il definitivo smantellamento delle casse mutue. La riforma, oltre a ripianare i debiti contratti dagli istituti mutualistici con gli ospedali, prevedeva una generalizzazione del diritto all’assistenza ospedaliera per tutti i cittadini, compresi i non assicurati, e sottraeva alla gestione delle mutue i presidi di ricovero, affidandoli alla competenza delle regioni.
Così giungiamo all’istituzione del Servizio Sanitario Universale con legge 23
dicembre 1978, n.83342. L’idea alla base di quest’ultimo risiede nella necessità di garantire
una copertura equa ed universale, “superando il concetto di una assistenza sanitaria differenziata per categorie sociali”43. Perciò, si prevedeva che il sistema sarebbe stato finanziato mediante la fiscalità generale: il costo dell’assistenza sanitaria si sarebbe distribuito sull’intera collettività.
I principi informatori del SSN, nella sua forma originaria, erano i seguenti: l’universalità dei destinatari, intesa come garanzia di copertura assistenziale dell’intera popolazione, ovvero di tutti gli individui presenti sul territorio nazionale, indipendentemente dalla cittadinanza; l’eguaglianza di trattamento, nell’intento di superare le disparità socio- economiche del sistema mutualistico previgente; la globalità delle prestazioni, dunque la previsione di tutte le procedure sanitarie necessarie al fine di garantire la salute dell’individuo e della collettività; la partecipazione democratica dei cittadini al governo del sistema sanitario; il rispetto della dignità e della libertà personale, cui consegue il diritto alla libera scelta del medico e della struttura di cura; il pluralismo organizzativo, inteso come compartecipazione dei diversi livelli amministrativi (statale, regionale e comunale) alla gestione del servizio44.
Dal punto di vista istituzionale, il SSN ha assunto un assetto decentrato45, attribuendo alle regioni il compito di programmare l’assistenza sanitaria sul territorio e ai comuni la gestione diretta delle Unità Sanitarie Locali (USL). Il governo manteneva, invece, l’onere
41 Legge n. 132 del 12 febbraio 1968, Enti ospedalieri e assistenza ospedaliera. 42 Legge 23 dicembre 1978, n.833, Istituzione del servizio sanitario nazionale. 43 Così M. Pasquini e D. Pasquini Peruzzi, op. cit., pp. 12, cit.
44 Ivi pp. 111-124.
del finanziamento del sistema e della definizione di linee guida, cui le regioni erano chiamate ad attenersi nella programmazione.
Le riforme sanitarie dei primi anni Novanta (d.lgs. n. 502 del 1992 e d.lgs. n. 517 del
1993)46 hanno modificato profondamente l’assetto organizzativo e istituzionale del Servizio
Sanitario Nazionale, nell’intento di migliorarne le prestazioni, l’efficienza e la qualità. Innanzitutto, le USL venivano trasformate in aziende con propria personalità giuridica, Aziende Sanitarie Locali (ASL), gestite da direttori generali responsabili della performance aziendale. Anche i principali ospedali divenivano aziende autonome, Aziende Ospedaliere (AO), dotate di una personalità giuridica e di un direttore generale, entrambi distinti da quelli delle ASL; mentre tutti i piccoli presidi ospedalieri restavano sotto la gestione delle ASL, come stabilimenti produttivi di prestazioni sanitarie. Secondo il nuovo quadro normativo, le ASL sono responsabili di assicurare ai cittadini l’assistenza sanitaria, avvalendosi dei propri presidi ospedalieri, delle aziende ospedaliere e delle strutture private accreditate. Si introduce, dunque, un modello contrattuale47 tale per cui le ASL possono decidere quali servizi erogare direttamente ai propri assistiti e quali esternalizzare a fornitori terzi (pubblici e privati). Così facendo, è venuto ad instaurarsi un regime di concorrenza amministrata tra fornitori, finalizzato ad “assicurare ai cittadini migliore assistenza e libertà di scelta”, come precisato dalla legge n.421 del 199248.