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4. Mobilità fisiologica e mobilità evitabile: le cause

4.1 Grado di adeguatezza dell’offerta sanitaria

Procediamo, ora, con una breve indagine sull’adeguatezza dell’offerta sanitaria regionale, intesa come adeguamento delle prestazioni ai Livelli Essenziali di Assistenza stabiliti a livello nazionale, e qualità dei servizi. In tal modo potremo valutare quale incidenza

ha tale aspetto della sanità regionale sul fenomeno della migrazione, tenendo sempre conto della parzialità dell’analisi, data l’ampiezza e la complessità dell’argomento.

I Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) sono le prestazioni che il Servizio Sanitario Nazionale garantisce a tutti cittadini del territorio italiano, indipendentemente dalla regione di residenza, in modo da assicurare l’omogeneità di trattamento dei pazienti, secondo criteri di uguaglianza e uniformità. L’elenco delle prestazioni garantite, per la prima volta, fu stilato nel 200172 e, da allora, solo nel dicembre 201573 è stato aggiornato e definito nei contenuti. L’ultimo decreto ridefinisce le prestazioni assicurate e le patologie meritevoli di esenzione, precisando concretamente e dettagliatamente i servizi che devono essere presenti sul

territorio. È proprio alla luce dei LEA che il Ministero della Salute74, annualmente, verifica

l’appropriatezza e l’efficacia nell’utilizzo delle risorse dei Servizi Sanitari Regionali. Questo processo di monitoraggio, oltre a consentire, in caso di adempimento agli standard fissati, l’accesso delle regioni alla quota premiale del 3% erogata dal SSN al netto delle entrate proprie, permette di realizzare una valutazione del grado di copertura dei LEA, evidenziando criticità ed elementi utili ad indirizzare la programmazione nazionale e regionale.

La griglia di monitoraggio dei LEA è definita su tre categorie di assistenza, che corrispondono allo schema organizzativo dei servizi erogati dal SSN: assistenza collettiva (prevenzione e sicurezza degli alimenti), assistenza distrettuale (anziani, disabili, malati terminali, farmaceutica, specialistica, salute mentale) e assistenza ospedaliera (includendo anche il trattamento delle emergenze). A ciascuna di queste categorie di assistenza sono attribuiti pesi e indicatori, che combinati forniscono la valutazione definitiva. L’esito della valutazione viene confrontato con delle soglie prestabilite, consentendo, così, di stabilire il grado di adempienza della regione allo standard. Naturalmente, questo strumento di analisi presenta dei limiti: si tratta di indicatori, dunque, di valori numerici, non sempre in grado a fornire una reale percezione dell’offerta sanitaria della regione; peraltro, i dati di cui si dispone al momento in cui si scrive, tratti dal rapporto “Adempimento e mantenimento dell’erogazione dei LEA” attraverso gli indicatori della Griglia Lea- Metodologia e Risultati dell’anno 2013”, si riferiscono all’elenco dei livelli essenziali del 2001, noto per la sua scarsa puntualità e concretezza. Ad ogni modo, nonostante l’estrema cautela con cui tali dati

72 DPCM 29 novembre 2001, Definizione dei livelli essenziali di assistenza.

73 L. 28 dicembre 2015, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato, art. 1,

commi 553 e 554.

richiedono di essere manipolati, risulteranno utili al fine di delineare una panoramica generale del grado di adeguatezza dei servizi sanitari offerti dalle regioni italiane, di modo da valutare quanto questo fattore possa incidere sulla mobilità sanitaria.

Essendo l’emigrazione sanitaria legata principalmente all’assistenza ospedaliera, prenderemo in esame esclusivamente gli indicatori di appropriatezza correlati a questo tipo di servizio. Con l’espressione “appropriatezza” in campo sanitario si intende l’utilizzo della

“procedura corretta sul paziente giusto al momento opportuno e nel setting più adatto”75. Tale

definizione può essere scomposta in tre dimensioni fondamentali: una procedura può dirsi appropriata se conforme alla condizione clinica del paziente, se erogata entro tempi che consentano di ottenere un beneficio netto per la salute dello stesso e se applicata in un contesto strutturale adeguato. Il concetto di appropriatezza, dunque, rimanda a quello di “efficacia clinica”, intesa come il raggiungimento del migliore stato di salute possibile date le condizioni del paziente, e a quello di “necessità clinica”, interpretabile come quel set di servizi di cui il soggetto abbisogna, al fine di evitare un peggioramento della propria salute. Per questo, più semplicemente, può considerarsi appropriata una prestazione che sia efficace e, allo stesso tempo, necessaria. Un ulteriore elemento deve essere considerato nell’analisi dell’appropriatezza di una prestazione: l’efficienza, ovvero il rapporto tra le risorse impiegate e l’output erogato. È importante comprendere nella valutazione dell’offerta di un servizio sanitario anche l’efficienza, essendo quest’ultimo un indicatore della modalità di impiego delle risorse: un sistema inefficiente disperde risorse, potenzialmente utili ad incrementare il numero e la qualità dei prodotti offerti.

Il primo indicatore di appropriatezza/efficienza preso in esame è il tasso di ospedalizzazione standardizzato (ordinario e diurno) per 1.000 residenti, ottenuto rapportando il numero di dimissioni totali e la popolazione residente. I dati relativi all’anno 2013 registrano un buon risultato per la gran parte delle regioni, mentre Puglia, Abruzzo, Lazio, Liguria e la P.A. di Bolzano risultano adempienti con impegno. Solo Campania, Molise e Valle D’Aosta presentano una situazione critica stazionaria rispetto all’adeguato utilizzo dell’ospedale. Un altro indicatore di appropriatezza contenuto nel rapporto e utile alla valutazione del corretto impiego delle strutture di ricovero nella regione è la percentuale di ricoveri con DRG chirurgico in regime ordinario sul totale dei ricoveri ordinari. In tal caso

75 Dipartimento della Programmazione e dell’Ordinamento del Servizio Sanitario Nazionale e Direzione

Generale della Programmazione Sanitaria-Ufficio III, “Manuale di formazione per il governo clinico: Appropriatezza”, 2012, p. 5, cit.

tutte le regioni dal Lazio in giù, il Piemonte, le P.A. di Trento e Bolzano e la Valle D’Aosta presentano percentuali inferiori rispetto allo standard prestabilito. Ancor peggiore è la condizione di Calabria, Sardegna e Liguria, in cui la percentuale è inferiore al 35%. Questo dato indica, per tali regioni, un uso improprio della struttura ospedaliera, che dovrebbe essere principalmente destinata all’erogazione di trattamenti sanitari ad alta complessità, come la chirurgia. In sostanza, risulta elevata la cosiddetta ospedalizzazione evitabile, sintomo di un’inadeguata assistenza territoriale e di una carente prevenzione. Un buon indicatore della qualità dell’offerta ospedaliera, secondo i parametri selezionati dall’OCSE, è la percentuale di fratture del femore operate entro 2 giorni dal ricovero. A riguardo, solo Emilia Romagna, Toscana, Umbria, Veneto, P.A di Bolzano e Valle d’Aosta superano la soglia del 55%. Per il resto, tutte le regioni presentano gravi inadempienze. In particolare, Calabria, Campania, Molise e Sardegna riportano un tasso inferiore al 30%.

Oltre all’analisi dell’adempimento dei LEA, per valutare la qualità sei Servizi Sanitari Regionali, si possono utilizzare indicatori di risultato finale come il tasso di mortalità evitabile e il tasso di mortalità infantile. “Una morte è considerata evitabile se, alla luce delle conoscenze mediche e della tecnologia o alla luce della comprensione delle determinanti della salute al momento della morte, tutte o la maggior parte delle morti per questa causa

(applicando limiti di età se appropriato) potrebbero essere evitate”76. Sulla base di questa

definizione, l’Eurostat distingue due categorie di mortalità evitabile: la mortalità trattabile, ovvero evitabile attraverso diagnosi e terapie adeguate e tempestive, e la mobilità prevenibile, dunque evitabile mediante una buona prevenzione sanitaria. I dati sulla mortalità evitabile

per il sesso maschile77 relativi al triennio 2012-2014, riportati dal Rapporto “MEV(I) 2017”,

presentano la Campania come la regione con il più alto indice di mortalità evitabile78 (29,24), seguita da Sardegna (27,71), Calabria (26,80) e Sicilia (26,67). La Puglia (23,86) è l’unica regione del Sud ad avere una mortalità evitabile inferiore alla media nazionale (24,30); mentre Marche, Trentino, Veneto e Toscana, con un indice di mortalità evitabile inferiore a 22, si collocano in alto alla classifica. In quasi tutti i casi la mortalità prevenibile risulta superiore alla mortalità trattabile, sintomatico della scarsa attenzione che ancora oggi si attribuisce alla diffusione di una cultura della prevenzione. D’altro canto, la mortalità

76 Rapporto MEV(I), Nebo Ricerche PA, 2017, disponibile su www.mortalitàevitabile.it , p. 2 cit.

77 Si è scelto di riportare i dati relativi alla mortalità evitabile per il sesso maschile, data la prevalenza del genere

sul totale nella misura del 64%.

trattabile, dunque attribuibile a cure inadeguate, è più alta in Campania, Calabria e Sicilia, in cui supera il valore di 14.

Il tasso di mortalità infantile è dato dal rapporto tra il numero di morti entro il primo anno di vita e il totale dei nati vivi su 1.000 nati. In Italia il tasso di mortalità infantile più elevato è registrato in Calabria (4,7), seguono Basilicata, Sicilia, Liguria, Campania, Friuli e Lazio con valori superiori alla media italiana (3,1). Il dato più sorprendente è la differenza tra i valori di mortalità infantile delle regioni del Centro-Nord, che in media è 2,5, e i valori delle regioni del Sud, che in media è 3,5. Un solo punto di differenza, su un dato talmente indicativo delle condizioni di salute di un territorio, ha una forte rilevanza.

Concludendo, i dati riportati in alto sull’adeguamento dei servizi regionali ai LEA, indicanti principalmente il corretto impiego delle risorse ospedaliere, e gli indicatori relativi alla qualità delle prestazioni sanitarie in termini di risultato, ci consegnano l’immagine di un Paese diviso in due, confermando l’ipotesi che una quota della mobilità interregionale sia attribuibile proprio all’inadeguatezza dell’offerta: i SSR del Sud e delle piccole regioni riportano risultati innegabilmente peggiori rispetto alle altre regioni, esattamente come per la mobilità sanitaria.