Nel paragrafo precedente abbiamo avuto modo di esaminare i costi pubblici della mobilità e le sue implicazioni sul piano organizzativo. Tuttavia, come ribadito più volte, la migrazione sanitaria è, in primis, un fenomeno che riguarda i pazienti, i quali, inevitabilmente, sono chiamati a sostenere dei costi tangibili e intangibili a fronte di una scelta simile108.
I costi tangibili o monetari della mobilità sono costituiti principalmente dalle spese di viaggio e dalle spese di soggiorno per gli accompagnatori. L’indagine Censis 2005 sul monitoraggio della mobilità ospedaliera raccoglieva le dichiarazioni degli intervistati emigrati rispetto ai disagi subiti. Dal rapporto emerge chiaramente una forte disparità tra regioni per i disagi legati agli alti costi monetari sostenuti: si va da un 12% dei pazienti piemontesi che dichiarava di aver subito un forte disagio economico dovuto alla scelta di emigrare ad un 50,7% di quelli calabresi. Certamente, tale esito è imputabile alle differenti distanze percorse dai pazienti in mobilità: dal Piemonte si emigra, per lo più, verso regioni confinanti, mentre i pazienti calabresi si spostano in Lazio, in Lombardia, in Emilia Romagna, sostenendo, di conseguenza spese più onerose.
Oltre ai costi tangibili, i pazienti si ritrovano a sostenere una serie di altri disagi non monetizzabili, come la solitudine legata alla lontananza da familiari e amici, la difficoltà nel trovare assistenza durante la degenza, i disagi fisici legati al viaggio, specialmente per i pazienti anziani o con gravi disabilità motorie. L’esperienza migratoria, dunque, può avere ricadute significative sulla psiche e sulla salute fisica del paziente, andando a gravare su un stato clinico già di per sé problematico.
Pertanto, costi tangibili e intangibili rappresentano inevitabilmente dei limiti alla scelta di muoversi per la salute. Così, due domande sorgono spontanee: tutti i cittadini hanno le stesse opportunità di spostarsi al fine di ottenere prestazioni sanitarie? Se così non fosse, esistono delle iniquità nell’esercizio del diritto alla salute, data la disparità di accesso alle prestazioni in regime di mobilità?
Per rispondere alla prima domanda, guardiamo ad uno studio109 del 2012 condotto dal
Servizio Sovranazionale di Epidemiologia della ASL3 di Torino, in collaborazione con
108 Così C. Collicelli, op. cit., pp.21-22.
109 A. Petrelli, T. Landriscina, G. Costa, E. Bologna, M. Bonciani, C. Marinacci e G. Sebastiani, Viaggiare per
ISTAT, sulle relazioni esistenti tra mobilità passiva e due variabili socioeconomiche fondamentali: il livello di istruzione e lo status economico. Lo studio fa riferimento alla mobilità passiva per l’arco temporale 2008-2011 e, oltre a tener conto del tipo di mobilità, dunque se extra-provinciale o extra-regionale, distingue anche gli episodi di emigrazione in base alla distanza percorsa, qualificata come numero di province o di regioni attraversate per giungere al luogo di cura. I risultati della ricerca risultano piuttosto chiari: esiste una correlazione significativa tra le variabili indipendenti, titolo di studio e risorse economiche, e la variabile dipendente, mobilità passiva. I pazienti con titolo di studio elevato hanno una probabilità di andare fuori regione superiore del 40% rispetto a chi dichiara di avere un’istruzione media e, addirittura, del 70% di chi ha la licenza elementare. Contemporaneamente, chi ritiene soddisfacente il proprio status economico e la propria condizione abitativa presenta una probabilità di ricovero fuori regione maggiore, in media, del 25%. Inoltre, per quanto tali variabili incidano sulla mobilità di confine tra province e regioni, di fatto, risultano ancor più determinanti nella scelta di percorrere lunghe distanze. In particolare, essere molto scolarizzato aumenta la probabilità di attraversare due o più regioni in mobilità sanitaria del 120%. Tale relazione risulta più marcata per i pazienti in mobilità provenienti dalle isole maggiori rispetto al resto d’Italia. Al contempo, meno incisiva, seppur rilevante è la dimensione economica; così, possedere un’abitazione adeguata comporta il 20% di probabilità in più di percorrere lunghe distanze. L’incidenza, però, aumenta di circa il 10% in per i pazienti provenienti dal Sud.
I risultati della ricerca, dunque, confermano l’incidenza della dimensione culturale ed economica nella scelta di recarsi fuori provincia o fuori regione per ottenere prestazioni sanitarie. Nello specifico, il possesso di strumenti conoscitivi (il livello di istruzione), ancor più della solidità economica, costituisce una determinante fondamentale nella scelta della struttura di ricovero110. Di conseguenza, rispondendo al primo quesito, siamo in grado di
2012, pp. 67-73. Per ulteriori approfondimenti si veda la presentazione si A. Petrelli, Caratteristiche dei ricoveri in mobilità, nella sezione “Atti”, sul sito www.agenas.it .
110 Diversi studi trattano la correlazione tra istruzione e stato di salute. Se ne indicano alcuni: M. A. Winkleby,
D.E. Jatulis, E. Frank e S. P. Fortmann, Socioeconomic Status and Health: How Education, Income, and Occupation Contribute to Risk Factors for Cardiovascular Disease, in American Journal of Public Health, June 1992, Vol. 82, No. 6, pp. 816-820; D. M. Cutler e A. Llearas-Muney, Education and Health: Evaluating Theories and Evidence, in The National Bureau of Economic Reasearch, July 2006; J. S. Feinsterin, The Relationship between Socioeconomic Status and Health: A Review of the Literature, in The Milbank Quarterly, 1993, Vol.72, No. 71, pp. 279-322.
confermare l’esistenza di una disparità nella possibilità di accedere alle cure in regime di mobilità.
Al fine di rispondere alla seconda domanda è necessario chiarire cosa si intende per equità in relazione alla cura della salute.
Se consideriamo equo un sistema di salute in cui tutti godono del miglior livello di salute111, allora, nel nostro caso di indagine, bisognerebbe verificare quale relazione sussiste tra l’accesso alle cure in regime di mobilità e l’esito dei ricoveri. Se viaggiare per la salute consente di “guarire meglio”, allora le disparità nella possibilità di scegliere l’opzione migratoria, è causa di iniquità. D’altronde, la parità di accesso alle prestazioni sanitarie, che impatta, inevitabilmente, sullo stato di salute di una popolazione, è un altro modo di intendere l’equità. Di conseguenza, la libertà di scelta del luogo di cura sancita dal nostro ordinamento, che potenzialmente consente a tutti di muoversi per la salute, assicurando l’accesso alle prestazioni in qualsiasi struttura, ne garantirebbe l’equità. Si tratta, però, di un’interpretazione superficiale, che non tiene conto dell’effettivo utilizzo dei servizi sanitari. Se si considerano, invece, tutte le variabili che incidono sulla cura della salute e, nel caso specifico, sulla scelta di un ricovero in regime di mobilità, è evidente che non tutti abbiano la stessa accessibilità ai servizi. Si è visto, infatti, che possedere un alto grado di scolarizzazione e maggiori risorse economiche faciliti la scelta di emigrare, aprendo al paziente un ampio ventaglio di opzioni in relazione alla quantità e alla qualità dell’offerta sanitaria. A questa disparità causata dallo status socioeconomico, si aggiunge, poi, il divario esistente tra regioni del Nord e regioni del Sud nei costi privati della mobilità (spese di viaggio).
Concludendo, risulta evidente che il combinato di disparità sociale e disomogeneità geografica nell’accesso alle cure in regime di mobilità non garantisca l’equità del sistema di salute italiano. Questo elemento di distorsione si aggiunge, poi, ad un quadro già sufficientemente segnato da forti disuguaglianze: la struttura federale assunta dal SSN ha accentuato la differenziazione dei sistemi di salute regionali e, in particolare, tra Mezzogiorno e Settentrione. Se la disomogeneità risiedesse esclusivamente nella gestione
111 Questo modo di intendere l’equità in relazione alla cura della salute è molto vicino all’interpretazione
dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), che presenta il programma “Health for All” tra i suoi obiettivi di programmazione strategica. “Health for All” incarna a pieno la vision e la mission dell’OMS: garantire all’intera popolazione mondiale il miglior stato di salute possibile, al fine di consentire a chiunque di vivere una vita “socialmente ed economicamente produttiva”.
dei servizi sanitari e nella programmazione, allora tali disuguaglianze sarebbero giustificate dalla necessità di adeguare delle strategie di governo del sistema di salute alle specificità del territorio regionale e della domanda sanitaria; se, invece, come di fatto accade, vi è una differenziazione nell’adeguatezza dell’offerta sanitaria, nella qualità delle strutture e delle tecnologie impiegate, nei tempi di attesa e, di conseguenza, negli esiti delle prestazioni offerte, allora viene meno l’equità del sistema di salute.
La mobilità, infatti, deriva proprio dalla necessità di colmare tale iniquità legata alla dimensione geografica, consentendo a tutti i risiedenti sul territorio italiano di tutelare il loro fondamentale diritto alla salute, indipendentemente dal luogo di origine. Specialmente nei casi in cui l’emigrazione sanitaria è legata a prestazioni indisponibili nella ASL o nella regione, la mobilità sanitaria è l’unico strumento atto a garantire un’adeguata assistenza sanitaria. Così, ammettere che solo alcuni vengano a conoscenza di tale strumento o possano effettivamente utilizzarlo, a seconda del proprio livello di istruzione o del proprio status economico, significa ammettere che non tutti sono in grado di godere pienamente del proprio diritto alla salute.
CAPITOLO SECONDO
Migranti da sempre: la mobilità passiva del sistema regionale calabrese
Dall’analisi realizzata nel precedente capitolo emerge con chiarezza l’istantanea di un’Italia divisa in due sul piano dell’adeguatezza del servizio sanitario. Esiste, così, “un’Italia Meridionale”, che vede i propri pazienti fare le valigie per cercare adeguate o migliori cure mediche altrove, e “un’Italia Settentrionale”, in grado di soddisfare il fabbisogno sanitario del proprio territorio e pronta ad accogliere i “migranti/mobili” provenienti dal Sud.
Nel racconto della sanità italiana, come di una sanità dal doppio volto a seconda che guardi verso Nord o verso Sud, fanno da protagonisti, nel bene e nel male, due grandi attori: la politica e l’imprenditoria. Ciascuno dei due ha contribuito a definire l’assetto dei servizi sanitari di ogni regione, imprimendo una struttura talvolta più pubblicistica, talvolta maggiormente orientata alla privatizzazione dell’offerta sanitaria112, e a stabilire la qualità dell’assistenza medica. Tuttavia, le dinamiche che determinano la situazione sanitaria di un territorio, vedono coinvolte in diverse regioni anche organizzazioni criminali, che trovano, ormai da tempo, nella sanità un terreno fertile in cui coltivare il malaffare, rendendo quest’ultima una realtà grigia e impenetrabile.
È proprio tenendo a mente tale assunto che mi accingo a trattare il fenomeno della mobilità sanitaria in Calabria, una terra che nel 2015 ha lasciato emigrare 50.602 pazienti, circa il 30% del totale dei cittadini calabresi ricoverati in quell’anno, rendendola la regione con il saldo di mobilità relativo peggiore di tutta Italia. La fuga di massa dagli ospedali della Calabria, che costituisce ormai una variabile strutturale del sistema della salute, è certamente il portato di un servizio sanitario regionale dal passato travagliato, segnato da una gestione improntata su una “metodologia del disservizio”113 e noto alla cronaca per gli affari di ‘ndrangheta che hanno contaminato, con il benestare della classe politica dirigente, un’organizzazione già fragile e insufficiente.
112 Si pensi alla profonda differenza che intercorre tra Toscana e Lombardia: nel primo caso il 74,4%
dell’assistenza sanitaria è erogata da enti a gestione diretta, nel secondo per il 57,9% delle prestazioni si fa ricorso a fornitori pubblici. Per ulteriori approfondimenti si veda F. Toth, La sanità in Italia, il Mulino, Bologna, 2014, pp. 69-70.
113 Questa espressione è stata utilizzata dalla commissione ministeriale “Serra-Riccio” nel 2008 per descrivere
la “debolezza strutturale” del sistema sanitario nella “relazione sulla qualità dell’assistenza prestata dal servizio sanitario della regione Calabria e sulla effettiva erogazione, secondo criteri di efficienza ed appropriatezza, dei livelli essenziali di assistenza”.
In uno studio del 2012 condotto dall’Università svedese di Göteborg sulla qualità della sanità pubblica in 172 regioni d’Europa114 la Calabria si colloca all’ultimo posto, vantando il triste primato di regione meno equa e adeguata sul piano dei servizi sanitari. Tale dato è stato successivamente confermato dal Cnel nella relazione annuale 2014 al Parlamento e al Governo sulla qualità dei servizi erogati dalle pubbliche amministrazioni centrali e locali: la Calabria totalizza il punteggio più basso per stato di salute dei cittadini, assenza di cronicità tra i pazienti, attrazione e soddisfazione dei cittadini115.
Così, partendo dal quadro drammatico appena delineato, nel presente capitolo si procederà, dapprima, ad una ricostruzione delle vicende storico-politiche cha hanno contribuito a definire l’attuale architettura del sistema sanitario in Calabria, proseguendo con un’analisi della tenuta economico-finanziaria e dell’appropriatezza dell’offerta sanitaria rispetto ai tempi di attesa e alla “qualità” delle strutture di cura. Nel secondo paragrafo si tenterà, poi, di fornire un quadro completo e dettagliato sui flussi di mobilità sanitaria, esaminando i percorsi seguiti dai pazienti e le principali patologie per le quali si emigra. Seguirà, infine, una trattazione delle strategie di intervento esperite nel corso degli ultimi decenni per far fronte al fenomeno migratorio e i deficit che ancora caratterizzano la politica sanitaria in Calabria.