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La mobilità sanitaria interregionale presenta connotati e, dunque, implicazioni differenti, a seconda della sua natura. Abbiamo avuto modo di distinguere tra una mobilità sana, la mobilità fisiologica, e una mobilità nociva, la mobilità evitabile100. Entrambe presentano implicazioni economiche e organizzative differenti.

La mobilità fisiologica si configura quale dinamica necessaria, se non addirittura virtuosa, per il corretto funzionamento del SSN. Difatti, essa garantisce al cittadino di esercitare il proprio diritto di libera scelta del luogo di cura o, più propriamente, nel caso in specie, è il solo modo per lo stesso di godere del fondamentale diritto alla salute relativamente a quelle prestazioni ad altissima specializzazione indisponibili sul territorio locale o regionale. Inoltre, essa promuove lo sfruttamento di economie di scala e meccanismi di iper- specializzazione del personale, delle tecnologie e delle strutture, che migliorano la qualità dell’offerta per le prestazioni più complesse.

Di contro, la mobilità evitabile è causa di una serie di costi nel breve e nel lungo periodo per il sistema sanitario e per i cittadini. Sebbene, nel breve periodo, quest’ultima, come la mobilità sana, ampliando le opzioni di scelta della struttura ospedaliera, e consentendo, così, l’accesso a servizi sanitari di elevata qualità, dovrebbe generare un saldo di conseguenze complessivamente positivo, non sempre è così. Difatti, risultato di una massiccia mobilità attiva relativa a prestazioni di medio-bassa complessità potrebbe essere la riduzione dell’offerta ospedaliera regionale per i residenti101. Inoltre, la gestione della mobilità sul piano burocratico e finanziario, richiede, in ogni caso, l’impegno di risorse e personale amministrativo, specialmente nel governo delle compensazioni economiche e nella risoluzione di eventuali contenziosi tra regioni102.

Sul piano organizzativo, poi, le conseguenze della migrazione appaiono ancor più gravi. Nel breve periodo l’azienda (ASL e AO) è chiamata a sostenere una serie di costi, distinguibili, in relazione ai volumi di produzione, in costi fissi e costi variabili. I primi sono quei costi che non variano al variare della quantità di prestazioni prodotte, come gli stipendi del personale, l’ammortamento annuo dell’immobile ospedaliero e delle apparecchiature, i

100 Cfr. F. Longo, Mobilità attiva e passiva: implicazioni manageriali, in La mobilità sanitaria. Quaderno di

monitor n°9, AGENAS, Roma, 2012, pp. 81-83.

101 Così G. Fattore, La mobilità sanitaria nel breve…, pp. 24-25. 102 Così C. Collicelli, op. cit., pp. 19-23.

contratti di fornitura esterni, le polizze assicurative di responsabilità civile; mentre i secondi possono modificarsi a seconda del volume di produzione, esempi ne sono il costo dei farmaci, dei materiali ad alta intensità di consumo, le consulenze esterne. Tuttavia non c’è un perfetto equilibrio tra costi fissi e costi variabili nel sistema nazionale di aziende sanitarie: prevalgono i costi fissi. Così, le regioni più attrattive, disponendo di un bacino di utenza più ampio rispetto a quello standard, sono in grado di ammortizzare i costi fissi rapidamente; di contro, le regioni che presentano consistenti saldi negativi di mobilità, in assenza di una domanda proporzionale alla capacità produttiva di cui dispongono, pagano costi unitari (costi fissi diviso le unità di servizi prodotte) superiori. L’esito di tale meccanismo è un forte squilibrio nell’efficienza produttiva tra regioni. Peraltro, le aziende ospedaliere la cui offerta sanitaria eccede la domanda di prestazioni, proprio a causa della mobilità, potrebbero utilizzare in maniera inappropriata la struttura, ad esempio mediante il ricorso all’ospedalizzazione per

prestazioni che potrebbero essere eseguite in regime ambulatoriale103.

Ma le regioni con alto indice di fuga e scarsa attrattività non sono le sole a subire gli effetti negativi della mobilità nel breve periodo. Un incremento dell’utenza per le regioni con saldi di mobilità positivi, potrebbe causare un sovraffollamento delle strutture e una lievitazione dei tempi di attesa. Difatti, al paragrafo 4.2 abbiamo potuto notare come le liste di attesa più lunghe per certi tipi di prestazioni spettassero per la maggiore alle regioni del Centro-Nord, che in linea di massima presentano saldi di mobilità in pareggio o positivi.

Restando sul tema dell’efficienza organizzativa e dell’economicità, molti studiosi ritengono addirittura che vi sia un interesse da parte delle regioni, alimentato dalle politiche di soft budget constraint, nel mantenere saldi di mobilità sbilanciati104. Per soft budget

constraint si intende la previsione di vincoli di bilancio flessibili nel governo della spesa. Nel

caso in specie, le regioni italiane, per quanto impegnate a provvedere autonomamente alla copertura della spesa sanitaria, possono contare in ultima istanza sul finanziamento della spesa ritenuta essenziale da parte del governo nazionale. Partendo da tale presupposto,

Levaggi e Menoncin105 hanno elaborato un modello che pone in correlazione il disavanzo

regionale e la mobilità sanitaria. I due, notando che le regioni in disavanzo contabile presentavano i più alti saldi di mobilità negativa, mentre quelle in equilibrio di bilancio

103 Così G. Fattore, La mobilità sanitaria nel breve…, pp. 24-25.

104 Così G. Quattrone, Gli effetti della riorganizzazione della rete ospedaliera sulla mobilità sanitaria, in

Quaderni del Dipartimento Di Scienze Economiche e Sociali; Serie Rossa: Economia-Quaderno N. 95, 2013.

registravano una forte mobilità attiva, sono giunti alla conclusione che per entrambe fosse conveniente cristallizzare i flussi di mobilità. Infatti, le regioni con bilancio negativo, riducendo le prestazioni ospedaliere, in ragione di una minore domanda di servizi sanitari, otterrebbero l’illusorio vantaggio di contenere la spesa, dunque la pressione fiscale sui contribuenti. Le regioni in attivo, invece, attraverso i pazienti provenienti da fuori regione otterrebbero minori costi unitari, compensando il loro surplus di capacità produttiva, senza gravare sulla fiscalità regionale. Questo meccanismo, dunque, indurrebbe ad una riduzione della pressione fiscale a livello regionale, con i noti ritorni sul piano del consenso politico- elettorale, ma, al contempo, ad un incremento della spesa sanitaria nazionale, chiamata a compensare il deficit delle regioni con bilanci negativi.

Partendo proprio da quest’ultima osservazione, passiamo ad esaminare gli effetti della mobilità evitabile nel lungo periodo. Se, infatti, fosse vero questo tacito e, certamente, inconsapevole accordo tra regioni in disavanzo e regioni in pareggio, la scelta di mantenere alti i flussi migratori andrebbe ad erodere nel tempo l’offerta sanitaria delle regioni con elevata mobilità passiva: queste ultime, presentando una domanda di prestazioni limitata, non avrebbero più incentivi ad espandere l’offerta e promuovere servizi specializzati, alimentando, conseguenzialmente, la fuga di pazienti. Questa supposizione, purtroppo, trova conferma nei dati storici sulla mobilità sanitaria, presentati nei paragrafi 3.1 e 3.2: negli ultimi vent’anni le regioni con elevati saldi di mobilità negativi hanno mantenuto inalterata la loro condizione e, in alcuni casi, l’hanno addirittura peggiorata.

Nel lungo periodo la mobilità dovrebbe rappresentare uno stimolo per le regioni in perdita a superare i limiti di inappropriatezza e inefficienza che caratterizzano la loro offerta sanitaria, facendo attenzione alla percezione della qualità dei cittadini e alla configurazione della domanda. In realtà, questi meccanismi di incentivazione stentano a realizzarsi.

Alla scarsa propensione delle regioni ad attivare forze riequilibranti si aggiunge, poi, la tendenza del legislatore ad ignorare, se non addirittura ad assecondare, il fenomeno della mobilità interregionale. Il Decreto Ministeriale 2 aprile 2015 n. 70106, relativo alla determinazione degli standard ospedalieri, nel definire i criteri di calcolo del numero di posti letto per ciascuna regione, stabilisce che quest’ultimo è “incrementato o decrementato […]

106 Decreto Ministeriale 2 aprile 2015 n. 70, Regolamento recante definizione degli standard qualitativi,

per tenere conto della mobilità”107. In un’ottica di progressiva deospedalizzazione, tale previsione mira a promuovere una crescita dell’assistenza territoriale a discapito di quella ospedaliera, ma anche a premiare le regioni maggiormente attrattive, limitando, di contro, l’offerta delle regioni in perdita di pazienti.

In conclusione, i costi economici e organizzativi connessi alla mobilità, in specie alla mobilità evitabile, determinano un circolo vizioso, che vede le regioni in perdita incapaci di migliorare la propria attrattività, con rischi di inefficienze per l’intero sistema sanitario nazionale.

107 Il sistema di calcolo previsto è il seguente: si definisce il costo medio per l’assistenza ospedaliera a livello

nazionale, dividendo il costo complessivo dell’assistenza ospedaliera per l’anno 2012 per il totale dei ricoveri al 2013; ottenuto il costo medio di assistenza, lo si divide per il saldo finanziario di mobilità di ciascuna regione, in modo da individuare il numero equivalente di posti letto usati in mobilità. Questo valore viene moltiplicato per un coefficiente pari a 0,80, che, al 2016, è stato ridotto a 0,65. Applicando tali coefficienti, si ottiene una riduzione del numero dei posti letto equivalenti del 20-35%, ovvero una contrazione minore di posti letto per le regioni con saldo positivo e maggiore per le regioni con saldo negativo.