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2. Il diritto alla salute

2.2 La regionalizzazione e il sistema di compensazione

Un’ulteriore sostanziale innovazione introdotta dalle riforme degli anni 1992-1993 è la regionalizzazione del SSN, mediante l’attribuzione alle regioni di importanti poteri di programmazione e controllo di gestione. Concretamente, queste ultime assumono il ruolo di

“capigruppo”49 nel sistema sanitario italiano, in quanto responsabili di organizzare

46 D.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, Riordino della disciplina in materia sanitaria a norma dell’articolo 1 della

legge 23 ottobre 1992, n.421, e d.lgs. 7 dicembre 1993, n.517, modificazioni al decreto legislativo 30 dicembre 1992, n.502, recante riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n.421.

47 Così F. Toth, op. cit, pp. 27-28.

48Cfr. G. France, La via Italiana alla concorrenza amministrata, in George France (a cura di), Politiche

sanitarie in un sistema di governo decentrato, Giuffrè, Milano, 1999, pp. 33-61.

49 F.S. Coppola, S. Capasso e L. Russo, Profili evolutivi del SSN italiano: analisi e sintesi della produzione

l’assistenza sul territorio, ad esempio attraverso la determinazione del numero delle ASL o la nomina dei vertici, e di stabilire le quote e le modalità di finanziamento delle ASL e delle AO.

Il grado massimo di regionalizzazione del sistema è raggiunto nel 2000, con il d.lgs. 56/200050, attuativo del federalismo fiscale. L’intento è quello di rendere le regioni finanziariamente autonome e, al contempo, responsabili della gestione dei SSR, mediante la previsione di una serie di entrate proprie. Le fonti di finanziamento regionali sono:

• i tributi propri: IRAP (imposta regionale sulle attività produttive) e IRPEF (addizionale regionale all’imposta sul reddito delle persone fisiche);

• una compartecipazione al getto dell’IVA (imposta sul valore aggiunto); • una compartecipazione alle accise sui carburanti;

• le entrate proprie di ASL e AO, ottenute mediante i ticket e i ricavi dovuti allo svolgimento di attività intramoenia da parte dei medici.

Ogni anno, la legge finanziaria stabilisce il fabbisogno sanitario nazionale, ovvero la quota di risorse necessarie per assicurare sull’intero territorio i livelli essenziali di assistenza “in

condizioni di efficienza e appropriatezza”51. Da qui, in sede di Conferenza Stato-Regioni, un

accordo determina la quota di fabbisogno per ciascuna regione, sulla base del numero di abitanti e della composizione della popolazione per età. Il valore del fabbisogno standard è così rapportato all’ammontare dei costi standard, cioè il costo medio pro-capite sostenuto

dalle regioni benchmark52 per garantire il servizio. Qualora le regioni non dovessero essere

in grado di finanziare autonomamente il proprio intero fabbisogno, lo Stato ha istituito un Fondo perequativo nazionale che viene utilizzato per compensare la differenza tra costi standardizzati ed entrate proprie, in modo da garantire la copertura dei LEA anche per le regioni con minore capacità fiscale.53

A questo punto, le regioni sono responsabili della ripartizione del fondo sanitario regionale tra le ASL. Queste ultime sono finanziate su base capitaria, ovvero sulla base della popolazione rientrante nel territorio di competenza dell’ASL. Le ASL, in seconda battuta,

50 D.lgs. 18 febbraio 200, n.56, Disposizioni in materia di federalismo fiscale, a norma dell'articolo 10 della

legge 13 maggio 1999, n. 133.

51 Ibidem.

52 Il 2 febbraio 2017, l’Intesa in Conferenza Stato-Regioni ha individuato Marche, Umbria e Veneto come

regioni benchmark per il 2017. Per ulteriori approfondimenti si veda la nota metodologica attuativa dell’articolo 27, comma 5, del d.lgs. 6 maggio 2011, n.68.

53 Cfr. H. S. Rosen e T. Gayer, Scienza delle finanze. Terza edizione, edizione italiana a cura di C. Rapallini,

finanziano le prestazioni che fornitori interni (presidi ospedalieri posti sotto la gestione dell’ASL) e fornitori esterni (AO e cliniche private accreditate) erogano ai propri assistiti, mediante un sistema tariffario. È stato grazie alle riforme degli anni 1992-1993 che si è superato il precedente regime convenzionale di pagamento delle prestazioni, approdando ad

un sistema di pagamento basato sulla remunerazione del prodotto. I criteri54, indicati alle

regioni, per la determinazione delle tariffe sono i seguenti: regionalizzazione, data la responsabilità delle regioni nel fissare il valore delle tariffe; flessibilità, data la possibilità di modulare le tariffe verso l’alto e verso il basso, a seconda della complessità e della gamma dei servizi offerti da ASL e AO; riferimento ai costi standard di produzione; uniformità nella determinazione delle prestazioni finanziate; introduzione del sistema dei diagnosis related

groups (DRG) per il pagamento delle prestazioni ospedaliere55. Dunque, escludendo il

sistema di tariffazione delle prestazioni delle AO, basato sui DRG, le regioni sono responsabili della fissazione delle proprie tariffe sul territorio, tenendo conto dei costi standard sostenuti dagli erogatori (per questo sono stati avviati sistemi di rilevazione e valutazione dei costi)56e di un tariffario di indirizzo stabilito a livello nazionale. Resta ferma la possibilità di rivedere le “condizioni di scambio” con ogni singolo fornitore, comprese le tariffe di pagamento delle prestazioni. Ciò implica che, sulla base del principio di flessibilità, nella stessa ragione possiamo imbatterci in tariffe differenti da ASL ad ASL e da AO ad AO.

Il meccanismo tariffario vale sia per il pagamento dei fornitori regionali, sia anche per il pagamento dei fornitori extraregionali che prestino servizio a pazienti residenti nella regione committente, seppur con delle differenze. Il d.lgs. n.517/1993, nel disciplinare i criteri di ripartizione del Fondo sanitario nazionale, stabilisce che la mobilità interregionale debba essere compensata analiticamente sulla base di ogni singolo caso di ricovero fuori regione e non più sulla base dei saldi complessivi dei servizi erogati. L’art. 8-sexies, co. 8, d.lgs. n. 502/1992, inserito dall’art. 8, co. 4, d.lgs. n. 229/1999, precisa che:

“Il Ministro della sanità, d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, sentita l'Agenzia per i servizi sanitari regionali, con apposito decreto, definisce i criteri generali per la compensazione dell'assistenza prestata a cittadini in Regioni

54 D. m. 15 aprile 1994, Determinazione dei criteri generali per la fissazione delle tariffe delle prestazioni di

assistenza specialistica, riabilitativa e ospedaliera.

55 G. France, op. cit., pp. 101-104.

56 Per ulteriori approfondimenti sulla regionalizzazione delle tariffe di pagamento vedi I. Morandi, Prestazioni

specialistiche ambulatoriali-Confronto tra le tariffe nazionali ex DM 18.10.2012 e le tariffe regionali vigenti

diverse da quelle di residenza. Nell'ambito di tali criteri, le Regioni possono stabilire specifiche intese e concordare politiche tariffarie, anche al fine di favorire il pieno utilizzo delle strutture e l'autosufficienza di ciascuna Regione, nonché l'impiego efficiente delle strutture che esercitano funzioni a valenza interregionale e nazionale”.

Nel 1993, la Conferenza nel fissare i criteri generali per la compensazione stabilì che le prestazioni sottoposte a compensazioni fossero così distinte: attività di ricovero (flusso A), medicina generale (flusso B), specialistica ambulatoriale (flusso C), farmaceutica (flusso D), cure termali (flusso E), somministrazione diretta di farmaci (flusso F), trasporti con ambulanza ed elisoccorso (flusso G). Peraltro, in deroga al meccanismo tariffario vigente per il pagamento delle prestazioni erogate nel territorio regionale, che vede ciascuna regione stabilire autonomamente le proprie tariffe, per la compensazione della mobilità sanitaria si decide di definire tariffe uniche (TUC- Tariffa Unica Convenzionale) valide per tutte le regioni, in modo da prevenire un’eccessiva penalizzazione delle regioni con elevati saldi di mobilità; fermo restante che, in difformità dai criteri generali per la compensazione fissati annualmente nell’ambito della Conferenza, le regioni possano prevedere dei regimi di tariffazione “speciali” alla luce di accordi interregionali: questo è il caso della compensazione della mobilità tra regioni confinanti.

L’utilizzo della TUC, d’altronde, non è stato accolto con ampio favore. Molti ritenevano che la compensazione della mobilità dovesse fungere per i fornitori da rimborso per la quota capitaria regionale venuta meno. Indi, una tariffa unica, che fosse inferiore o superiore alla tariffa regionale, appariva una ricompensa iniqua. Per questa ragione, dal 1995 al 2002, si decise di applicare i tariffari regionali per la compensazione della mobilità, con il

conseguente aumento del fenomeno di circa il 60%57. La già incerta congruità delle tariffe

rispetto ai costi sostenuti dai produttori, annessa alla disomogeneità dei tariffari regionali, aveva contribuito ad innescare “politiche opportunistiche” volte ad incentivare la mobilità. Dunque, nel 2002 le regioni decidono congiuntamente di ripristinare il modello della tariffa unica. Il modello di remunerazione introdotto nel 2002 aveva lo scopo di ridimensionare il fenomeno migratorio per le prestazioni di medio-bassa complessità, mediante l’uso di tariffe ridotte per 43 DRG ritenuti ad alto rischio di inappropriatezza. Invece, si prevedevano tariffe

57 P. Di Loreto, Il governo della mobilità nell’ultimo decennio, in La mobilità sanitaria. Quaderno di monitor

più alte per prestazioni ad alta specialità, in modo da remunerare adeguatamente questo tipo di servizi, per i quali la mobilità è ritenuta fisiologica.

Assumendo una prospettiva più pratica, è bene precisare che la spesa relativa alle cure prestate ai pazienti non residenti è coperta inizialmente dalla regione ospitante e solo al momento della ripartizione del Fondo sanitario nazionale si procede con il rimborso da parte della regione debitrice. Ogni tre mesi, le regioni sono tenute ad inviare i dati analitici delle prestazioni erogate ai non residenti, in modo da consentire il monitoraggio della spesa da parte della regione debitrice. Ciascun caso di mobilità è identificato sulla base della scheda di ricovero ospedaliero (SDO) e del gruppo diagnostico di riferimento (DRG): questo sistema consente alle regioni, per i casi di mobilità passiva, di rimborsare la regione ospitante solo ed esclusivamente per la prestazione che ha erogato al paziente.

In conclusione, l’attuale sistema di governo della mobilità sanitaria si può dire sufficientemente idoneo a regolare i meccanismi di compensazione tra regioni, data la puntualità con cui annualmente, al momento della ripartizione del fondo sanitario, si procede al ripianamento di crediti e debiti. Un po’ meno efficace risulta, invece, l’attuale sistema TUC, volto alla riduzione della mobilità interregionale, specialmente per le prestazioni a medio-bassa complessità. Per quanto siano evidenti i miglioramenti intervenuti rispetto al sistema di tariffazione regionale antecedente al 2002, i tassi di mobilità passiva per le regioni del Sud e le isole risultano ancora molto elevati, come avremo modo di apprendere dal capitolo successivo.

3. LA MOBILITÀ SANITARIA INTERREGIONALE: UNA PROSPETTIVA STORICA