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Il ciclo produttivo fordista

Nel documento La nuova grande trasformazione (pagine 83-88)

3. Il fordismo come realizzazione pratica del taylorismo

3.2. Il ciclo produttivo fordista

Nel delineare le caratteristiche del modello antropologico del lavoratore fordista emerge da un lato una connessione con le dinamiche socio-economiche che impattano con la vita del lavoratore stesso e, dall’altro, ci si è chiesti come tale idea di lavoratore, implicita nell’organizzazione sposata dal fordismo, abbia potuto essere dominante nonostante i limiti illustrati. Volgere lo sguardo verso un orizzonte più ampio può aiutare a comprende-re come sia potuto sopravvivecomprende-re nel tempo tale paradosso e su quale equili-brio si fondasse. A tal fine è necessario analizzare la fabbrica in cui il lavora-tore si trova, a partire dai prodotti che vengono lavorati e quindi approfon-dire il ciclo produttivo e il rapporto tra produzione e mercato.

La produzione standardizzata di massa, infatti, vera intuizione e invenzione di Ford, è a ben vedere il punto di incontro tra taylorismo e fordismo. Ma soprattutto è un elemento di svolta rispetto ai limiti dell’utilizzo delle mac-chine nell’industria del primo Novecento. Come nota infatti Rullani, l’utilizzo delle macchine era allora possibile unicamente per una serie di ope-razioni molto semplici, il che comporta «che la maggior parte delle lavora-zioni non può […] essere meccanizzata, e rimane affidata agli uomini, con tecniche quasi-artigianali che abbassano drasticamente il valore del moltipli-catore medio del sistema produttivo». Il fordismo risponderebbe a questa necessità introducendo

(92) Cfr. C.R.LITTLER, Understanding Taylorism, cit., 185-188.

Capitolo I – Fordismo e taylorismo, alle origini del lavoro nel novecento industriale

la parcellizzazione delle operazioni che permette di scomporre le operazioni complesse in una serie (concatenata) di operazioni semplici, ciascuna delle quali è abbastanza “stupida” e ripetitiva da essere affidata ad una macchina (invece che all’uomo). Le operazioni parcellizzate devono poi essere integra-te tra loro medianintegra-te l’impiego di un programma che specifica l’esatta se-quenza delle operazioni e le sincronizza nel tempo (94).

Il nuovo modello produttivo sembra quindi reso possibile dalla riflessione teorica e dalle analisi scientifiche di Taylor, alla quale è debitore per le intui-zioni fondamentali e per aver fornito non solo gli strumenti necessari per attuarla, ma anche le modalità pratico-organizzative per poterne disporre al meglio. Lo scientific management taylorista avrebbe potuto cristallizzarsi in un modello avanguardistico, applicato in qualche fabbrica illuminata, senza la scommessa di Ford, che da un lato vi aggiunge alcune caratteristiche pro-duttive in grado di garantire al modello teorico lo spazio per realizzarsi (95) e dall’altro immagina i suoi lavoratori non solo come coloro che contribui-scono alla creazione di valore dei prodotti, ma come consumatori dei pro-dotti stessi, avviando quel job loop costituito da lavoro-produzione-consumo ben mostrato dalla Scuola regolazionista che era, apparentemente, in grado di sostenere non solo la fabbrica dal punto di vista microeconomico ma l’intera economia.

È interessante analizzare in quest’ottica la produzione di automobili, rivol-gendoci ad un settore direttamente legato alla persona di Ford, poiché in es-so, prima che in altri, fu possibile una produzione di massa con beni stan-dardizzati, dal basso costo, in grandi volumi. L’esempio classico è quello del Modello T della Ford, che in pochi anni, grazie ai margini consentiti dall’aumento di efficienza e produttività, fu possibile vendere sul mercato ad un prezzo ampiamente inferiore alla media dei concorrenti e quindi in

(94) E.RULLANI, La fabbrica dell’immateriale. Produrre valore con la conoscenza, Carocci, 2004.

(95) Cfr. G.BONAZZI, Taylorismo, cit., 23: «Mentre il taylorismo è una formula manageriale

che riguarda essenzialmente l’organizzazione del lavoro esecutivo, che viene segmentato e standardizzato in modo da aumentare l’intensità uniforme delle prestazioni, il fordismo na-sce invece negli anni dieci con l’intuizione di Henry Ford di applicare nelle sue officine di montaggio il principio della catena semovente. In tal modo Ford perfezionava il taylorismo incorporando nella tecnologia meccanica della catena il ritmo di lavoro che Taylor preten-deva di imporre alla manodopera per via gerarchico-burocratica. Caratteri tipici del modello ideato da Ford sono le grandi dimensioni delle imprese, la produzione di massa di beni standardizzati, la rigidità della programmazione produttiva, e anche alcune garanzie di stabi-lità di impiego per i dipendenti».

tità maggiori. Come mostrato da Womack, Jones e Roos (96), nei primi anni del Novecento acquistare una automobile significava acquistare un bene di lusso, prodotto da artigiani e in un numero non superiore al migliaio annuo per ciascuna impresa (97). L’artigiano che la produceva era fortemente spe-cializzato ed era in grado di adattare il bene a seconda delle richieste del cli-ente, facendo sì che ogni pezzo prodotto fosse diverso dall’altro (98). Questo generava un costo molto elevato determinato dai tempi di produzione e personalizzazione. Egli quindi, pur all’interno di un complesso industriale, percepiva un reddito tale da non potersi permettere l’acquisto del bene da lui stesso prodotto ma le competenze acquisite potevano consentirgli, qua-lora trovasse un capitale sufficiente, di iniziare una propria attività.

Oltre al contesto storico precedentemente illustrato, con importanti novità di tipo geografico e giuridico, la novità maggiore introdotta da Ford fu di tipo tecnologico, mediante la catena di montaggio e la possibilità di inter-cambiabilità dei pezzi. Questo fece sì che la produzione potesse essere svol-ta lungo la linea di assemblaggio e non più a livello artigianale, con il lavora-tore che seguiva i diversi passaggi della produzione, oltre al fatto di ottenere la certezza che ogni automobile prodotta fosse identica. Il modello taylorista quindi poteva realizzarsi pienamente nella produzione di massa soltanto se l’impresa produceva lo stesso prodotto, senza alcuna modifica o personaliz-zazione, la divisione del lavoro poteva essere ampliata al massimo e la stru-mentalità potenziale del lavoratore essere utilizzata in modo efficiente per tutte le ore in cui esso era a disposizione dell’impresa. Un diverso sistema produttivo che presentasse una ampia gamma di prodotti disponibili per il mercato avrebbe implicato più flessibilità, con essa una maggiore responsa-bilità da parte del lavoratore e quindi un minor controllo da parte del datore di lavoro. Vi è quindi un nesso causale tra unilateralità nell’ideazione del prodotto, determinando le preferenze del cliente piuttosto che esserne de-terminati, e l’assenza di varietà nelle mansioni del lavoratore. Ciò non signi-fica che, nel caso di possibilità di prodotti personalizzati, ne consegua auto-maticamente una connessione tra i compiti svolti dall’operaio e le richieste del consumatore, ma che tanto più queste sono ampie tanto più aumentano le potenziali responsabilità del lavoratore.

(96) J.P.WOMACK, D.T.JONES, D.ROOS, The Machine that Changed the World, Macmillan,

1990.

(97) Ivi, 24: «A very low production volume – 1,000 or fewer automobiles a year, only a few

of which (fifty or fewer) were built to the same design. And even among those fifty, no two were exactly alike since craft techniques inherently produced variations».

(98) Ibidem: «A workforce that was highly skilled iil design, machine operations, and fitting.

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La produzione di massa fa dunque sì che possa avvenire quella separazione tra lavoro manuale e lavoro intellettuale sulla quale si basa il taylorismo. Proprio l’assenza di varietà nei sistemi produttivi, dettata dalla standardizza-zione del bene, fa sì che lo spazio della progettastandardizza-zione sia molto ridotto e si possa delimitare un confine netto tra esso e la produzione. Il fordismo uti-lizza quindi il taylorismo come strumento della produzione di massa, in mo-do tale che, considerato da questo punto di vista, esso può essere definito come “taylorismo di massa”. A ben vedere questa definizione non è nulla di più di una tautologia, poiché il taylorismo stesso non può che rimanere una teoria se non applicato ad un ciclo produttivo come quello della produzione di massa. La produzione di massa, nella sua forma più matura, ha beneficia-to in seguibeneficia-to ampiamente delle pratiche manageriali e di marketing introdot-te da Sloan (99). In particolare il suo merito fu quello di riuscire a individuare diverse fasce di prodotti in modo che coprissero tutte le fasce di reddito alle quali un americano poteva appartenere nel corso della sua vita, passando da un’automobile economica all’ingresso del mercato del lavoro per poi giun-gere ad una più lussuosa, a fronte di una certa maturità professionale. Ma è necessario introdurre un ulteriore elemento, oltre al rapporto tra si-stema produttivo e organizzazione del lavoro, per poter avanzare una spie-gazione del paradosso di Littler. Seguendo l’analisi di Harvey, emerge come il modello produttivo fordista potesse funzionare se permeava tutta la socie-tà, confermando la tesi di Gramsci e ampliandone l’applicazione. E quest’idea, a suo parere, sarebbe stata nelle intenzioni di Ford stesso, per il quale «un nuovo tipo di società può essere costruita semplicemente attraver-so l’applicazione del potere delle imprese» (100). Il modello T non prevedeva possibili personalizzazioni, ne erano vendute solo nove tipologie differenti e nella prima fase l’unico colore disponibile era il nero. Questo modello di bu-siness era funzionale a produrre nel minor tempo possibile il maggior nu-mero di automobili. Ciò era possibile soltanto creando una domanda corri-spondente, ossia rendendo l’oggetto della produzione di massa un oggetto di consumo di massa. Per ottenere questo, Ford dovette aumentare drasti-camente i salari dei propri dipendenti per far sì che anch’essi potessero ac-quistare ciò che producevano. Harvey non vede quindi nella politica degli elevati salari e delle otto ore lavorative «una modalità per far rispettare ai la-voratori la disciplina richiesta per lavorare in un sistema di catena di

(99) Ivi, 32: «Take Ford’s factory practices, add Sloan’s marketing and management

tech-niques, and mix in organized labor’s new role in controlling job assignments and work tasks, and you have mass production in its final mature form».

taggio ad alta produttività» ma soprattutto uno strumento «per dotare i lavo-ratori di un reddito e tempi di ozio sufficienti per consumare i prodotti di massa che le imprese producevano in maggior quantità» (101). Questo equi-valeva alla creazione della c.d. classe media, con un reddito tale da potersi permettere l’acquisto dei diversi beni dei settori produttivi che adottavano il modello della mass production. È chiaro quindi quanto sia stretto il legame tra la produzione di massa e il lavoratore fordista, entrambi non possono esiste-re senza la controparte. La complementarietà è data dal fatto che il lavorato-re è colui che compone la domanda di automobili senza la quale la prodzione di massa non avrebbe senso, se per esempio le automobili fossero u-nicamente oggetto d’acquisto dei ceti elevati e, allo stesso modo, il lavorato-re non avlavorato-rebbe modo di utilizzalavorato-re il suo salario per acquistalavorato-re beni se non vi fossero i prezzi consentiti da questo modello di business. Questo legame mostra la sua novità se lo si paragona al vecchio sistema di produzione au-tomobilistica pre-Ford. Il lavoratore continua a produrre per l’imprenditore, ma ha la possibilità, grazie al suo salario, di acquistare ciò che ha prodotto, di accedere quindi ad un meccanismo economico che, sebbene non lo elevi allo status di chi detiene il capitale, costruisce un diverso legame. Se prima infatti il rapporto tra operaio e datore di lavoro era unicamente quello di di-pendenza produttiva tra capitale e lavoro, con la produzione di massa tale rapporto si estende e il lavoratore entra a far parte di coloro che consumano il bene venduto dall’imprenditore e da essi stesso prodotto. Si crea quindi, soprattutto all’interno dei mercati nazionali e locali, una dinamica di forte interdipendenza. Con una duplice conseguenza: da un lato se la classe media di lavoratori smettesse di acquistare i prodotti si verificherebbe un drastico calo di domanda e l’impossibilità per l’impresa di esaurire le scorte e quindi un rallentamento della produzione, con un improvviso calo dei profitti; dall’altro gli alti salari dei lavoratori risultano possibili solo in virtù dei livelli di produzione sostenuti dalla domanda che loro stessi contribuiscono a cre-are, ed un eventuale calo dei profitti non potrebbe che condurre ad una in-sostenibilità dei salari stessi. La soluzione di questo dilemma è stata più pra-tica che teorica ed è propriamente questa che ha costituito e ha sostenuto nel tempo il compromesso fordista. Un tacito legame economico tra operai e imprenditori che consente ad entrambi di svolgere i propri ruoli di con-sumatori e produttori. È già questo legame un primo strumento di controllo dei mercati dalle possibili fluttuazioni, che viene completato dal sistema di relazioni industriali, istituzionalizzazione di tale compromesso.

Capitolo I – Fordismo e taylorismo, alle origini del lavoro nel novecento industriale

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