3. Le relazioni industriali ad un bivio
3.1. Il modello giapponese e la sua difficile esportazione
Il toyotismo, secondo Dohse, Jürgens e Malsh, si fonda su un particolare sistema di relazioni industriali stabilizzatosi a partire dalla sconfitta e dell’esautorazione dei sindacati conflittuali del secondo dopoguerra (in To-yota nel 1950 e in Nissan nel 1953), sostituiti con sindacati aziendali più alli-neati agli interessi aziendali (95). Si realizza una dinamica simile a quella de-scritta nel fordismo: un compromesso tra le parti che concentra l’azione sindacale in particolare «su tematiche legate alla retribuzione (salari e benefit) e alla sicurezza del posto di lavoro» (96). Ciò sarebbe rafforzato da
(95) Cfr. K.YAMAMOTO, Labor-Management Relations at Nissan Motor Co., Ltd. (Datsun), in
An-nals of the Institute of Social Science, 1980, vol. 21, 25: «In their [management’s] eyes, however,
one serious obstacle clouded Nissan’s future: The labour union was staging strikes too fre-quently and was unwilling to cooperate in production. Management decide to crush the un-ion. The workers tried to protect their right by staging a 100-day strike. In the end, howev-er, they were miserably defeated, and the union was split. The second union is the present Nissan ‘Workers’ Union, which completely cooperates with the company. Thus, it was by crushing the workers’ struggle that Nissan managed to lay the foundation for its prosperity in the subsequent years».
una presenza capillare di sindacati aziendali, autonomi nelle loro azioni poi-ché non connessi a sindacati nazionali e quindi interessati unicamente ai ri-sultati positivi dell’impresa in quanto causa primaria delle loro dinamiche salariali ed occupazionali. Tale modello di relazioni industriali avrebbe alla base il concetto di life-long employment, che può essere ritenuto o un compro-messo o una tecnica grazie alla quale il management si avvantaggia, a secon-da dei critici. Gli autori propendono per la seconsecon-da interpretazione, che ve-de in questo aspetto un incremento ve-della dipenve-denza ve-del lavoratore dall’impresa. Infatti il mercato del lavoro giapponese ruoterebbe intorno a questo concetto, facendo sì che i nuovi assunti nelle imprese manifatturiere non siano mai lavoratori maturi con competenze acquisite e quindi con sala-ri corsala-rispondenti ma «tutte le grandi imprese reclutano esternamente solo posizioni che si trovano al fondo della gerarchia e formano i loro specialisti per lavori migliori grazie alla formazione on the job e alla rotazione dei com-piti» (97). Questa fa sì che l’impresa utilizzi quasi unicamente il mercato del lavoro interno, il turnover si riduca al minimo necessario, rimanendo sostan-zialmente relegato alle dinamiche pensionistiche, e il lavoratore non abbia alcun vantaggio a lasciare l’impresa per ritrovarsi con un salario pari a quello che percepiva ad inizio carriera. Il salario infatti è il secondo pilastro del si-stema, ed essendo esso legato all’anzianità e ad altri fattori come la coopera-zione e l’impegno è fortemente individualizzato. Circa il 50% del salario di-penderebbe da componenti legati all’efficienza produttiva delle aree in cui l’operaio lavora e sarebbe quindi connesso ad elementi individuali. Inoltre, considerata la struttura per team, esistono voci legate ad elementi collettivi, che avrebbero però un peso ridotto, lasciando alla componente individuale un ampio 40% nella definizione ultima del salario (98) secondo questa logica:
The total annual increase in basic wages is distributed among twelve differ-ent status groups (from unskilled workers to departmdiffer-ent heads) in its work force so that each group receives an average lump sum increase in wages. The group increases can differ greatly. For example, in 1981 foremen as a group received an average increase in wages that was about twice as large as that received by the lowest status group. In this way a clear hierarchical group differentiation in wage increases is created within the firm. Even within these status categories, individual workers do not receive the same wage increase. Rather, each year supervisors evaluate all employees accord-ing to their behavior and work effort and divide them into five categories. Workers in the highest category receive 115 percent of the average wage in-crease for their status group, while workers in the lowest category receive
(97) Ibidem.
Capitolo II – La crisi del fordismo e il post-fordismo come tentativo di nuovo paradigma
only 85 percent. These large differences have an impact not only in the year of the evaluation but during the employee’s entire career because subse-quent individual wage increases are based on the individual’s previous wage. Even promotion to a higher status group does not result in a new wage clas-sification corresponding to the more qualified work performed but only in a zone with greater wage increases that are always calculated on the basis of the wage level previously attained (99).
Secondo gli autori quindi, il management giapponese sarebbe riuscito in questo modo a realizzare un sistema in grado di superare i limiti occidentali che connettono scatti salariali ad avanzamenti di carriera e qualificazione in termini di responsabilità e competenze acquisite. Questo farebbe sì che la competizione tra lavoratori, dediti a mostrare al management il loro impe-gno e la loro diligenza per poter accrescere il salario, generi un indebolimen-to della loro forza collettiva particolarmente utile a spostare l’equilibrio di potere sulla componente imprenditoriale. La debolezza dei sindacati azien-dali nel gestire tale processo sarebbe causata dalla mancanza di una loro ef-fettiva autonomia, spesso infatti è lo stesso supervisore all’interno del team a ricoprire anche il ruolo di rappresentante dei lavoratori, in una evidente dinamica di conflitto di interesse e di difficile imparzialità (100).
Da questo quadro emerge come il sistema di relazioni industriali giapponese sia elemento essenziale da conoscere per poter comprendere come il management delle imprese nipponiche possa raggiungere livelli di efficienza superiori a quelli occidentali. Ma allo stesso tempo si evince chiaramente che non si può ritenere tale modello di relazioni industriali un superamento di quello fordista. Infatti elemento chiave resta quello dello scambio e del compromesso tra sicurezza del posto di lavoro e accettazione del modello organizzativo toyotista. Inoltre si riscontrano alcuni aspetti nella natura e nell’azione dei sindacati aziendali che delineano uno scenario in cui la con-flittualità delle relazioni industriali, che è alla base del compromesso fordi-sta, viene quasi negata mediante una mancata costruzione delle fondamenta dialettiche delle parti in gioco. Per indagare quindi su quali possano essere le caratteristiche delle relazioni industriali nel post- o neo-fordismo non è
(99) Ibidem.
(100) Cfr. M.TSUDA, Personnel Administration at the Industrial Plant Level, in K.OKOCHI, B.
KARSH, S.B.LEVINE (a cura di), Workers and Employers in Japan. The Japanese Employment
Rela-tions System, Princeton University Press, University of Tokyo Press, 1973, 424: «The labour
union is operated by the company’s key employees. As a result, the union is not free to function separately and independently of company policy but rather might be described as ‘cohesive’ with the company».
ficiente indirizzare l’analisi verso il Giappone, ma ritornare negli Stati Uniti, da dove si è partiti, considerata la probabilità che proprio l’assenza di queste fondamenta non abbiano reso possibile l’importazione del modello giappo-nese nel sistema di relazioni industriali americano, e in generale occidentale.