1. Il ciclo produttivo in Industry 4.0, le radici di una rivoluzione
1.3. Servizi e manifattura, due facce di una sola medaglia?
profondi cambiamenti nella struttura economica. Se il Novecento industria-le era caratterizzato da una marcata suddivisione dei settori economici che, seppur in logiche di complementarietà o di continuità, si rivolgevano a mer-cati differenti, occupavano personale diverso e richiedevano competenze spesso incompatibili tra di loro, nel corso degli ultimi decenni la letteratura, forte di evidenze empiriche, ha mostrato come vi sia una sempre più elevata e diffusa commistione tra servizi e manifattura (71). La netta suddivisione tra produttori di beni materiali e coloro che, al contrario, si occupano di pro-dotti più immateriali, come i servizi, sembra essere sfumata già a partire dai primi anni del nuovo millennio. Ciò sarebbe avvenuto sia attraverso un tra-sferimento delle logiche specifiche ai settori un tempo opposti, in particolar modo con i produttori di servizi che sempre più utilizzano tecniche e volu-mi della produzione manifatturiera, sia grazie all’innesto settoriale con una produzione manifatturiera che diventa veicolo di servizi aggiunti e paralleli (72).
(67) Cfr. AA.VV., Industry 4.0 and the consequences for labour market and economy. Scenario
calcula-tions in line with the BIBB-IAB qualificacalcula-tions and occupational field projeccalcula-tions, IAB
Forschungsbericht, 2015, n. 8, 12-13.
(68) Ivi, 13.
(69) Ibidem: «The work required from the machines is assigned via hubs. They autonomously
calculate the requirements for basic materials, tools and personnel, identify utilisation and autonomously reorder materials from upstream entities. The objective is to optimise the flow of goods and information within the value chain».
(70) Ibidem.
(71) Si veda in particolare, tra i più recenti, K. DE BACKER, I. DESNOYERS-JAMES, L.
MOUSSIEGT, ‘Manufacturing or Services – That is (not) the Question’. The Role of Manufacturing and
Services in OECD Economies, OECD Science, Technology and Industry Policy Paper, 2015,
n. 19.
In una analisi del caso francese (73), la definizione ufficiale di industria fornita dall’Institut national de la statistique et des études économiques (Insee) – ossia di «attività economica che combina fattori di produzione […] al fine di produrre beni materiali per il mercato», laddove per beni si intendono «og-getti fisici» – è stata paragonata con la realtà della produzione industriale nel Paese. Il risultato è di una distanza empirica tra definizione e imprese, con circa un quarto delle realtà manifatturiere francesi che nel 2007 produceva-no e fornivaproduceva-no unicamente servizi, un terzo principalmente servizi e, in ge-nerale, l’87% delle imprese che vendevano anche servizi.
Nel caso italiano la classificazione ATECO 2007 delle attività economiche definisce quelle manifatturiere come «la trasformazione fisica o chimica di materiali, sostanze o componenti in nuovi prodotti […]. I materiali, le so-stanze o i componenti trasformati sono materie prime che provengono dall’agricoltura, dalla silvicoltura, dalla pesca, dall’estrazione di minerali op-pure sono il prodotto di altre attività manifatturiere», inoltre «come regola generale, le attività della sezione manifattura implicano la trasformazione di materiali in nuovi prodotti. Il loro output è un prodotto nuovo».
Anche in questo caso si è di fronte ad una definizione che fatica a cogliere gli elementi di novità all’interno della produzione industriale contemporane-a. Lo stesso settore dei servizi è difficilmente identificabile oggi con l’immaterialità che lo ha sempre caratterizzato; se fino a pochi anni fa essi erano l’erogazione di un bene intangibile prodotto all’interno di un ambien-te fisico oggi molti servizi richiedono attività tangibili parallele per essere erogati, si pensi al mondo dello stoccaggio e dell’analisi dei dati che richiede enormi spazi fisici e complesse tecnologie per conservare i server, utilizzarli, ecc. (74). Queste dinamiche non hanno soltanto importanti implicazioni di tipo statistico, in quanto destrutturano le categorie normalmente utilizzate per condurre le rilevazioni ed elaborarle (75), ma hanno anche conseguenze
(73) Cfr. L.FONTAGNÉ, P.MOHNEN, G.WOLFF, No Industry, No Future?, Conseil d’Analyse
Economique Research Report, 2014, hal-01299902. Sul caso francese si veda anche M.
CROZET, E. MILET, The Servitization of French Manufacturing Firms, in L. FONTAGNÉ, A.
HARRISON (a cura di), The Factory-Free Economy. Outsourcing, Servitization, and the Future of
In-dustry, Oxford University Press, 2017, 111-135.
(74) Ivi, 113: «The most widely-known examples of services produced according to
“indus-trial” methods are those of data centres, search engines and cloud computing, all of which are energy-intensive activities, requiring high levels of fixed assets (servers farms, cooling systems, secure sites, etc.), in no way inferior to those of traditional industrial sites, and for which costs rapidly decrease. While manufacturing factories no longer have chimneys, ser-vice producers have taken over: each Google data centre includes hundreds of thousands of servers which need to be cooled».
(75) Cfr. R.LANZ, A.MAURER, Services and global value chains: Some evidence on servicification of
Capitolo III – Industry 4.0, verso un nuovo paradigma?
concrete sulla natura dell’occupazione nell’industria, e nelle competenze ri-chieste. Basti pensare che nel 2012, secondo l’OECD, circa il 42% dei lavo-ratori europei occupati nel settore manifatturiero è impiegato in mansioni che attengono ai servizi offerti dall’impresa (76).
Queste considerazioni sono state ricomprese dalla letteratura all’interno del dibattito sulla servitizzazione della manifattura (77). Il concetto è stato utiliz-zato per la prima volta nel 1988 con lo scopo di indicare «la crescita di of-ferte di più ampi pacchetti di mercato o “fasci” di consumatori interessati alla combinazione di beni, servizi, supporto, self-service e conoscenza al fine di aggiungere valore ai prodotti core» (78), ma ha visto una evoluzione negli ultimi anni. Infatti viene utilizzato oggi soprattutto per indicare non solo quell’aspetto legato al marketing o all’offerta a cui si riferiva chi ha coniato il termine, ma ad un vero e proprio accrescimento della componente legata ai servizi all’interno della produzione manifatturiera. Questo principalmente a conseguenza di dinamiche, quali il «progresso tecnologico, le economie di scala, la crescita della specializzazione, i minori costi di produzione, ecc.» (79), che avrebbero favorito la progressiva esternalizzazione di servizi prima gestiti internamente dall’impresa, generando un assottigliamento dei confini settoriali e un accrescimento della componente dei servizi all’interno del va-lore aggiunto prodotto dall’industria (80). L’impatto della globalizzazione e delle global value chains (GVCs) (81) ha poi ampliato ulteriormente il ruolo dei
veda anche A.MAURER, F.T.TSCHANG, An Exploratory Framework for Measuring Services
Val-ue-added, PECC-ADBI Conference, Services Trade: New Approaches for the 21st Century, Hong
Kong, 1-3 June 2011.
(76) Cfr. K.DE BACKER, I.DESNOYERS-JAMES, L.MOUSSIEGT, op. cit., 4.
(77) Per un inquadramento del concetto e della sua evoluzione si veda S.D.S.R.
MAHEEPALA, B.N.F. WARNAKULASOORIYA, Y.K. WEERAKOON BANDA, Servitization in
manufacturing firms: a systematic literature review, 12th International Conference on Business
Management (ICBM), Colombo, 7-8 December 2015, e A. NEELY, O.BENEDITTINI, I.
VISNJIC, The Servitisation of Manufacturing: Further Evidence, 18th European Operations
Man-agement Association Conference, Cambridge, 3-6 July 2011. Si veda anche il framework
teorico sviluppato da S.PEILLON, C.PELLEGRIN, P.BURLAT, Exploring the servitization path:
a conceptual framework and a case study from the capital goods industry, in Production Planning & Con-trol, 2015, vol. 26, n. 14-15, 1264-1277.
(78) Cfr. S.VANDERMERWE, J.RADA, Servitization of business: Adding value by adding services, in
European Management Journal, 1988, vol. 6, n. 4, 315.
(79) K.DE BACKER, I.DESNOYERS-JAMES, L.MOUSSIEGT, op. cit., 31.
(80) Ibidem. Nel 2009 l’OECD ha calcolato che l’Italia fosse il secondo Paese con il maggior
valore aggiunto in servizi sul totale della produzione industriale, pari al 36%.
(81) Concetto introdotto, con riferimento all’economia dello sviluppo, da G.GEREFFI, The
Organization of Buyer-Driven Global Commodity Chains: How US Retailers Shape Overseases
servizi come strumenti di aiuto nel coordinamento internazionale, attraverso funzioni fondamentali di supporto in aspetti quali la logistica e la comunica-zione. Con particolare riferimento ai Paesi OECD, per i quali esistono anali-si più mature, già prima che il fenomeno di Industry 4.0 anali-si affacciasse, una ampia componente del valore aggiunto nella produzione manifatturiera si genera da attività complementari rispetto alla lavorazione diretta di materiali per produrre beni, attraverso attività come design, branding, marketing, ecc. Le novità di Industry 4.0 si affacciano quindi in uno scenario economico pro-fondamente diverso non solo da quello del periodo fordista ma anche da quello del periodo post-fordista e sembrano segnare una ulteriore disconti-nuità. Infatti l’introduzione di Internet of Things e Internet of Services sia nei pro-cessi sia nei prodotti industriali non solo è consentita dall’ampio spazio che già i servizi possiedono nella produzione manifatturiera ma anche ha la fa-coltà di rivoluzionare l’intero ciclo produttivo. Basti pensare che attraverso la sensoristica presente nei beni commercializzati e l’utilizzo dell’IoT le im-prese produttrici possono monitorare, ottimizzare e aggiornare in continua-zione quanto già venduto, oltre a offrire tutta una serie di servizi personaliz-zati resi erogabili proprio in virtù dell’analisi dei big data generati in modo costante dai prodotti (82). La centralità del ruolo del consumatore e la possi-bilità di offrire servizi nuovi potrebbe far sì che il concetto stesso di servizio non sia unicamente quello di uno strumento funzionale alla gestione della produzione, alla sua organizzazione e distribuzione o alla sua implementa-zione, ma uno dei veri protagonisti della produzione manifatturiera. Si cree-rebbero così logiche di rete tra fornitori di servizi ed imprese, sia attraverso il potenziamento di dinamiche di esternalizzazione inclusiva, che di re-internalizzazione di attività prima secondarie. Per questo motivo la tradu-zione stessa del termine Industry con l’italiano “industria” rischia oggi di es-sere fuorviante, in quanto riconduce etimologicamente il concetto ad una realtà che non è quella nella quale si incarna la Quarta rivoluzione industria-le. Più corretta apparirebbe la traduzione con il più generico termine settore, per indicare che la potenzialità del 4.0 è oggi abilitante ogni diverso settore dell’economia, o ancor meglio con il termine impresa, a significare il luogo della produzione o dello scambio di beni e servizi, in cui l’elemento
Global Capitalism, Praeger, 1994, 95-122. Più recentemente si veda il report OECD, Intercon-nected Economies. Benefiting From Global Value Chains, 2013.
(82) Si veda, tra gli ultimi, AA.VV., The design of things: Building in IoT connectivity. The Internet of
Things in product design, in Dupress.deloitte.com, 12 September 2016. Cfr. inoltre E.BORGIA, The
Internet of Things vision: Key features, applications and open issues, in Computer Communications, 2014,
vol. 54, 1-31, e D.OPRESNIK, M.TAISCH, The value of Big Data in servitization, in International
Capitolo III – Industry 4.0, verso un nuovo paradigma?
nativo è voluto ed appare come una evoluzione, in virtù delle nuove dina-miche econodina-miche, di quanto la definizione del Codice civile ex articolo 2082 interpretava in chiave disgiuntiva. Non più quindi la condizione preli-minare di scelta tra settore dei servizi e quello dell’industria ma una impresa in sé, che attinge da entrambi i vecchi settori per produrre, in virtù della tecnologia e dei nuovi processi, beni che sono tali in quanto portano con loro servizi, e viceversa.
1.4. Gli impatti sul lavoro e la consapevolezza delle imprese