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Una vera discontinuità?

Nel documento La nuova grande trasformazione (pagine 115-118)

4. Conclusioni

1.3. Una vera discontinuità?

Gli elementi fin qui raccolti possono consentire di comprendere meglio se l’organizzazione del lavoro del Toyota Production System (TPS) possa definirsi post-fordista e se essa effettivamente superi le caratteristiche del paradigma

and can incorporate them in their measurements. […] In this way shop floor knowledge is combined with professional competence-something that has not been sufficiently achieved outside Japan».

(47) Ivi, 130: «Analysts of the Japanese production control largely attribute even the transfer

of quality inspection and simple maintenance tasks to production workers, or the develop-ment by skilled workers on technical equipdevelop-ment of broadly applicable qualifications, to the goal of avoiding personnel underutilization and characterize them as a rationalization of indirect production activities. The transfer of indirect production activities to workers without increasing the time allocated intensifies work and leads to savings in indirect pro-duction personnel. The capability of the skilled workers to perform a number of jobs in-creases their utilization and reduces waiting time for the arrival of a specialist-a constant source of complaint in British and American plants with clear demarcations between dif-ferent types of skilled workers. For this reason, Y. Sugimori et al. Observe, “if the equip-ment and workers are tied together, workers are subject to idleness. To prevent such waste of waiting time being created, various improvements have been made such as separating the workers from the equipment by assigning a worker to multiple equipments”. Monden, too, concludes that workers operating multiple equipments under the “multi-process-worker concept” can decrease the number of “multi-process-workers needed and thereby increase produc-tivity».

Capitolo II – La crisi del fordismo e il post-fordismo come tentativo di nuovo paradigma

fordista mostrate in precedenza. Quanto emerge è che il modello giappone-se rappregiappone-senta dal punto di vista empirico-organizzativo una indubbia novi-tà rispetto al taylorismo occidentale. La responsabilizzazione dei lavoratori, con il conseguente allentamento della separazione tra pensiero ed esecuzio-ne della prestazioesecuzio-ne, il lavoro in team, il controllo della qualità affidato in parte direttamente agli operai, lo stimolo alla produzione di riflessioni e os-servazioni che possano migliorare i processi produttivi sono elementi che portano la TPS a distanziarsi dalle idee di Taylor. Allo stesso tempo però si è mostrato come lo scopo ultimo di tutti questi strumenti organizzativi sia lo stesso del taylorismo, ossia un controllo totale della produzione e in par-ticolare delle mansioni e dei tempi dei lavoratori (49). Questo avverrebbe grazie alle informazioni dei lavoratori stessi, che segnalano eventuali perdite di tempo e possibilità di riduzione delle tempistiche di determinati processi. La chiave del toyotismo sembrerebbe essere, quindi, la decentralizzazione delle pratiche di controllo sul processo lavorativo, effettuata per raggiungere lo scopo del taylorismo, ma con una migliore efficienza e con un minor uti-lizzo di risorse. L’obiettivo di contenimento dei costi, infatti, sembra realiz-zarsi sia nei risultati del decentramento del monitoraggio e del controllo, sia attraverso l’utilizzo di un minor numero di risorse, in virtù del sovra utilizzo polifunzionale e flessibile di quelle a disposizione direttamente sullo shop

flo-or.

A livello antropologico, dunque, l’idea di lavoro sulla quale si fonda la TPS sembra essere ancora quella della totale subordinazione e disponibilità del lavoratore nei confronti del datore di lavoro, con un ulteriore aggravio invo-lontario delle proprie responsabilità che sono tutt’altro che connesse ad un corrispettivo economico. La subordinazione in termini spazio-temporali non verrebbe allentata, anzi spesso si rafforzerebbe proprio per la tendenza ad un controllo il più possibile totale sui tempi di lavoro. Allo stesso modo è difficile riscontrare tracce di una diminuzione della subordinazione dai mez-zi di produmez-zione: anche in questo caso, il rapporto di dipendenza può appa-rire sotto alcuni aspetti rafforzato, in quanto la produzione just-in-time genera un legame ancora più stretto tra le dinamiche produttive e le azioni del lavo-ratore. Il salto di qualità della TPS nell’intendere il ruolo del lavoratore è quello di riconoscere che egli può essere utile non solo attraverso le sue semplici azioni fisiche, come sosteneva il taylorismo, ma grazie alla prossi-mità con i luoghi di produzione. In questo è riscontrabile una discontinuità rispetto all’alienazione che la divisione del lavoro taylorista generava, ma allo

(49) Su questo si veda in particolare S.WOOD, op. cit., 540-545, laddove sostiene che il

toyo-tismo non sarebbe altro che un tentativo di evoluzione dell’organizzazione del lavoro fordi-sta volta a superarne alcuni limiti che ne impedivano il pieno funzionamento.

stesso tempo non vi è segno di un effettivo rinnovamento della concezione del lavoratore, della propria autonomia e della propria responsabilità intesa come iniziativa individuale. L’apporto intellettuale è riconosciuto nella misu-ra in cui è utilizzato per potenziare sia gli strumenti di controllo sia per ot-timizzare lo sfruttamento delle possibilità del singolo lavoratore. L’attenzione giapponese per il concetto di spreco (muda) fa sì che il lavora-tore sia valutato soprattutto per la quantità di lavoro che produce, in una tensione affinché vi sia una uguaglianza tra i secondi nei quali l’operaio è in orario di lavoro e il lavoro compiuto, senza alcun istante sprecato. Questa preoccupazione acquista un volto diverso se letta attraverso le parole dello stesso Ohno, in quale sostiene che «negli affari, siamo sempre preoccupati di come produrre di più con meno lavoratori» (50), tradendo una concezione del lavoratore antropologicamente riduttiva, che viene considerato unica-mente come un costo da ridurre.

Se il toyotismo può essere identificato come la versione giapponese del tay-lorismo, sembra quindi possibile parlare, tenendo conto degli elementi di novità illustrati, di neo-fordismo dal punto di vista del processo lavorativo. Non emerge infatti il superamento di una logica che, attraverso un modello specifico di organizzazione del lavoro, si poneva come obiettivo il controllo sul lavoratore per poterlo utilizzare come una variabile dipendente del pro-cesso produttivo (51). Si tratterebbe, così, di un modello organizzativo che vuole raggiungere gli obiettivi del fordismo all’interno di un quadro econo-mico, sociale e culturale differente. La produzione di massa intesa fordisti-camente non era possibile sul suolo giapponese e l’esigenza del contenimen-to dei costi e della produzione per piccoli lotti e non per scontenimen-tock ha fatcontenimen-to sì che l’ampissima divisione del lavoro che caratterizzava il taylorismo non fosse replicabile in scala ridotta nelle fabbriche giapponesi. Il risultato è sta-to proprio il superamensta-to di uno dei limiti fondamentali del taylorismo, os-sia il fatto che «coinvolge un costoso insieme di supervisori e consente poca flessibilità (e quindi una dipendenza dalle economie di scala)» (52).

Riprendendo le osservazioni di Pruijt, che parla di neo-Taylorism riferito al modello giapponese, possiamo brevemente elencare alcuni aspetti che mo-strano una continuità, in particolare grazie all’utilizzo dello strumento del team, che per molti osservatori era il simbolo stesso di una nuova fase. 1)

(50) T.OHNO, Toyota Production System. Beyond Large-Scale Production, cit., 67.

(51) Cfr. K.DOHSE, U.JÜRGENS, T.MALSH, op. cit., 128: «Toyotism is not different from

Fordism in its goal but in the way in which the goal is to be achieved».

(52) H.PRUIJT, Teams between Neo-Taylorism and Anti-Taylorism, in Economic and Industrial

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Supervisione: è affidata ad un team leader che ha una doppia mansione, quella

di supervisionare il lavoro del team e quella di partecipare al lavoro stesso nella catena di produzione. Quest’ultima sarebbe «la sola differenza tra un

team leader neo-taylorista e un supervisore taylorista» (53). 2) Decision-Making: il

team leader prende le decisioni, in questo modo la possibilità per i lavoratori di stoppare la catena di montaggio sarebbe la dimostrazione del loro stesso controllo. Ma questo, secondo Pruijt, non è molto diverso dal pensare che permettere ai passeggeri di un treno di utilizzare i freni d’emergenza, sia consegnare nelle loro mani il controllo del mezzo (54). I processi decisionali sono quindi gestiti ancora gerarchicamente ma decentralizzati. 3)

Standardiz-zazione: è un obiettivo centrale del modello giapponese da realizzarsi

attra-verso la struttura in team, infatti

la principale ragione di utilizzo dei team è che questa unità corrisponde a uno dei processi standardizzati – ad esempio il sub-assemblamento di un particolare componente – laddove le standardizzazioni sono definite. Il leader del gruppo standardizzerà ciascuna delle task che sono necessarie per com-pletare il processo, in questo modo si utilizza lavoro standardizzato come la base amministrativa per il gruppo e i suoi team (55).

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