2. I principi dello scientific management
2.2. I quattro principi di Taylor
Illustrati i limiti di una fabbrica ancora nel limbo tra una organizzazione del lavoro propria della bottega artigiana, solamente ampliata nelle dimensioni e nei volumi prodotti, ma senza ancora una vera organizzazione che consenta di utilizzare al meglio la forza lavoro a propria disposizione, è possibile illu-strare ora i quattro principi che, secondo Taylor, sono alla base dello scientific
management.
Il primo consiste nello «sviluppo di una scienza per ogni compito del lavo-ro, che sostituisca il vecchio metodo della rule of thumb» (56).
La dimensione scientifica è qui espressa chiaramente: occorre studiare tutti gli aspetti del lavoro dell’operaio per giungere a sviluppare una perfetta co-noscenza di essi, del loro svolgimento, delle loro tempistiche, delle loro conseguenze sull’affaticamento del lavoratore, per poter procedere ad una ottimale organizzazione che le vecchie regole basate unicamente sull’esperienza e non codificate non rendevano possibile. L’obiettivo è pro-prio quello di redigere una procedura scritta che l’operaio possa imparare e replicare, secondo la convinzione di Taylor che ad ogni mansione corri-sponda una «one best way» per eseguirla. Questa procedura deve essere la più semplice possibile in modo che si possa realizzare quello che Braverman definisce «dissociazione del processo lavorativo dalle competenze dei
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ratori» (57). Le singole competenze, intese come bagaglio individuale molte-plice, non sono più necessarie e quindi l’imprenditore non deve più pagare per esse in quanto è detentore della tecnica sufficiente per eseguire ciascun compito assegnato, ogni operaio è uguale all’altro per semplicità di azione, la differenziazione salariale avviene a seconda della mole di lavoro fatta. La «formazione ha funzione surrogatoria, ossia è usata per fornire una tantum tutta la competenza non accumulata in un lavoro che non consente espe-rienze accumulabili altrove» (58). Il rapporto quindi è tra retribuzione e forza fisica, il datore di lavoro acquista la quantità di azione lavorativa compiuta dal lavoratore. Taylor descrive questo principio come positivo sia per l’impresa che per il lavoratore stesso. L’impresa attraverso l’organizzazione scientifica del lavoro potrebbe evitare il soldiering e quindi lo spreco di risorse e di tempo che avviene nel passaggio tra un compito e l’altro a causa dell’assenza di una procedura standard. Infatti sarebbe possibile calcolare precisamente quante volte il lavoratore possa eseguirlo in un determinato arco di tempo, per la conoscenza sia della durata dell’azione in sé sia della fatica che esso comporta. Il lavoratore avrebbe invece la possibilità di otte-nere salari migliori se riuscisse a rispettare lo standard di output definito, sa-lari garantiti dal fatto che il legame tra lavoro svolto e profitti dell’impresa sarebbe facilmente identificabile grazie alla conoscenza delle singole attività e alla precisa quantificabilità dell’output dei singoli lavoratori.
Taylor si trova così a realizzare dal punto di vista organizzativo il primo principio di Babbage (59), secondo il quale maggiore è la divisione del lavoro, maggiore è la suddivisione dei compiti del lavoratore in attività semplici, minore è lo spreco delle risorse impiegate. Il principio si fonda sul fatto che un lavoratore che svolge diverse mansioni è più qualificato di uno che ne svolge una standard, in quanto ogni singola mansione può richiedere com-petenze differenti. Ciò fa sì che il costo del lavoro tenda ad arrotondarsi per eccesso poiché l’imprenditore dovrà corrispondere un salario equivalente
(57) Cfr. H.BRAVERMAN, op. cit., 76. Tale concetto di Braverman ha dato origine ad un
con-tinuo dibattito sul tema del deskilling come dinamica intrinseca al taylorismo. Sul tema cfr. S.
WOOD (a cura di), The Degradation of Work? Skill, Deskilling and the Labour Process,
Hutchinson, 1982, e S.WOOD, The Deskilling Debate, New Technology and Work Organization,
in Acta Sociologica, 1987, vol. 30, n. 1, 3-24.
(58) F.BUTERA, op. cit., 18.
(59) Cfr. C.BABBAGE, On the Economy of Machinery and Manufacturers, Augustus M. Kelley,
1963, 175-176: «That the master manufacturer, by dividing the work to be executed into different processes, each requiring different degrees of skill or efforce, can purchase exactly that precise quantity of both which is necessary for each process; whereas, if the whole work were executed by one workman, that person must possess sufficient skill to perform the most difficult, and sufficient strength to execute the most laborious, of the operations into which the art is divided».
alla attività più complessa e faticosa. Attraverso questo principio, invece, nota Braverman, si procederebbe ad una sistematica e intenzionale dequali-ficazione delle competenze già presenti nei lavoratori, introducendo unica-mente le competenze semplificate necessarie ad una produzione di tipo standardizzato e ripetitivo/imitativo, mediante un processo di separazione tra il lavoratore e la sua azione, in quanto non più connessa alla sua capacità personale, ma alle esigenze uniche dell’impresa (60). Non sembrerebbe quin-di esserci alcun valore aggiunto nelle capacità personali pregresse, ma uni-camente nella forza fisica necessaria per esercitare i compiti (o meglio il compito) alle quali si è assegnati, a conferma della riduzione, fosse anche non voluta, del lavoratore alla disponibilità del proprio corpo.
Il secondo principio di Taylor consiste nel processo di selezione scientifica dei lavoratori. L’imprenditore deve «selezionare scientificamente, e quindi formare e sviluppare le capacità del lavoratore, mentre in passato egli sce-glieva il proprio lavoro e si formava da sé stesso al meglio delle sue possibi-lità» (61).
Affinché l’efficienza sia tale sarebbe necessario che il controllo avvenisse in tutte le fasi della gestione del fattore umano all’interno della produzione. Perciò risulta fondamentale anche la fase di selezione del personale, che de-ve essere accuratamente identificato a partire dalla conoscenza scientifica delle mansioni che dovrà svolgere. Selezione che avrà come oggetto di ri-cerca soprattutto la forza fisica e la buona salute, per individuare lavoratori che possono produrre la maggior quantità di output possibile. L’utilizzo del termine train potrebbe tradire una certa attenzione da parte di Taylor nei confronti delle competenze dei lavoratori, ma si tratta unicamente di una preoccupazione metodologica ed efficientistica. Infatti il riferimento qui è a mansioni molto semplici che in passato il lavoratore imparava autonoma-mente a svolgere. L’attenzione rispetto alla formazione è una attenzione ri-spetto alla modalità in cui viene svolta una attività, per far sì che essa corri-sponda nella realtà all’ammontare di lavoro calcolato dagli ingegneri. Se così non fosse l’intero sistema dello scientific management non potrebbe funzionare. Taylor però è anche cosciente del fatto che l’umanità stessa dei lavoratori è un potenziale ostacolo alla riuscita della metodicità, infatti la volontarietà è
(60) Cfr. H.BRAVERMAN, op. cit., 57: «The capitalist mode of production systematically
de-stroys all-around skills where they exist, and brings into being skills and occupations that correspond to its needs, Technical capacities are henceforth distributed on a strict “need to know” basis. The generalized distribution of knowledge of the productive process among all its participants becomes, from this point on, not merely “unnecessary,” but a positive barrier to the functioning of the capitalist mode of production».
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ineliminabile dal rapporto tra l’uomo e la sua azione. La volontà (sebbene si sia manifestata preliminarmente nell’accettare, mediante il contratto di lavo-ro, la subordinazione alle direttive dell’imprenditore) si muove infatti lungo lo stesso binario della libertà, che per definizione in una società democratica e in un modello economico di libero mercato resta fattore incontrollabile. Per questo motivo la pretesa taylorista di organizzare scientificamente il la-voro si scontra con il muro della buona riuscita o meno dell’incentivo, cate-goria che Taylor stesso, non senza un certo ottimismo sui risultati, spesso introduce e che, come si vedrà, rischia di rivelarsi un limite per il suo model-lo.
Il terzo principio è così descritto: «Cooperare cordialmente con gli altri la-voratori al fine di assicurare che il lavoro di tutti sia svolto secondo i princi-pi della scienza che è stata sviluppata» (62).
Questo principio introduce un ulteriore elemento nei meccanismi di con-trollo del sistema taylorista ed è strettamente legato alla dimensione dell’incentivo dei lavoratori a cui si è accennato. Onde limitare gli spazi della volontà, che condurrebbero al soldiering, occorre monitorare da vicino il la-voro degli operai. L’obiettivo è duplice e si costituisce di una dimensione singola e di una complessiva. La prima è assicurarsi che il lavoratore esegua correttamente, nel modo e nei tempi, la mansione che gli è affidata, dove la correttezza è misurata nella corrispondenza tra quanto previsto dalla one best
way e quanto prodotto dal lavoratore. A tal fine si introdurranno le figure
degli ingegneri addetti al controllo delle mansioni, e con essi l’inizio della di-visione tra blue e white collar. La dimensione complessiva consiste nell’assicurare che tutti gli ingranaggi della produzione lavorino perfetta-mente per far sì che la standardizzazione dei processi produttivi non subisca interruzioni dovute ad errori o alla perdita di ritmo da parte dei singoli. Si nota, quindi, l’istituzione un nuovo elemento di controllo, non solo la teoria delle mansioni, ma anche figure (i foremen o gang-boss) che assicurano lo svol-gimento della prestazione.
Il modello risulta quindi verticale-gerarchico e gestito lungo un doppio bina-rio: da un lato il controllo teorico assicurato dalla scienza della mansione, di cui sono garanti gli ingegneri che studiano e compongono le schede illustra-tive; dall’altro il ruolo, direttamente nello shop floor, di figure intermedie che hanno il compito esclusivo di esercitare il controllo sugli operai e sullo svol-gimento dei loro compiti. Il termine cooperate non sembra dunque declinato nei termini di una reciproca collaborazione, o come un flusso di informa-zioni e condivisione delle stesse al fine del miglioramento dei processi,
quanto più come una collaborazione, all’interno di una logica gerarchica, a raggiungere e mantenere gli obiettivi che l’organizzazione scientifica del la-voro si è prefissata. Sarebbe però un torto a Taylor non ricordare che, più avanti nel suo volume (63), egli prende in considerazione il fatto che il lavo-ratore possa in taluni casi identificare modalità migliori per svolgere il pro-prio lavoro rispetto a quanto dettato dalla scienza, in questo caso gli dovrà essere riconosciuto un giusto premio e la sua tecnica sarà adottata. Ciono-nostante questa innovazione non pare essere tra gli obiettivi della coopera-zione, sembrerebbe semmai un accidente e non un metodo ordinario di im-plementazione dei processi produttivi.
A loro volta i componenti del management svolgono diversi compiti speci-fici, per far sì che la divisione del lavoro anche nel loro settore possa essere massima e funzionale. È il modello che Taylor definisce di functional
management e che conferma la tesi secondo la quale la logica del controllo
ge-rarchico crescente, dall’operaio fino al top management, è presente e diffusa lungo tutto l’organigramma dell’impresa. Ciò interpreta anche in questo ca-so il timore che un lavoratore con troppe responsabilità e troppe mansioni non svolgerà al meglio il proprio lavoro.
L’ultimo principio dello scientific management sostiene che «esiste una divisione quasi uguale della responsabilità del lavoro tra management e lavoratori. Il management si fa carico di tutto il lavoro per il quale è più portato rispetto ai lavoratori, mentre nel passato per quasi tutto il lavoro la maggior parte delle responsabilità gravavano sui lavoratori» (64).
Taylor sostiene che tale principio non sarebbe così auto-evidente quanto gli altri e che per questo abbia bisogno di una ulteriore spiegazione. La necessi-tà della sua esplicitazione è data da uno degli errori del passato, ossia il fatto che sulle spalle del lavoratore era caricata una doppia responsabilità: quella di svolgere le proprie mansioni e quella di organizzare il proprio lavoro du-rante la giornata. Questo, oltre a rendere impossibile la semplificazione delle mansioni, non è compatibile con il nuovo sistema scientifico. Infatti la sud-divisione in compiti ridotti e specifici non si può sposare con la complessità del lavoro di colui che deve organizzare scientificamente il lavoro. Ancora una volta si tratta di un principio che vuole ribadire il ruolo di controllo del-la scienza sul del-lavoratore, attraverso una distinzione delle responsabilità che possa abilitarlo. Una separazione che deve essere equal, non qualitativamente ma rispetto ai ruoli. L’uguaglianza non è quindi sostanziale ma inserita in una logica gerarchica e di comando: la responsabilità del lavoratore è quella
(63) Ivi, 94.
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di eseguire l’ordine nel tempo dato e nella modalità richiesta, mentre la re-sponsabilità del management è nel far funzionare l’intera organizzazione. Si tratterebbe quindi di una responsabilità senza reciprocità, o meglio, di una sua riduzione all’elemento di scambio salariale. Come notano Heckscher e Adler (65) parlando della fabbrica novecentesca, si potrebbe in questo caso parlare di lealtà, termine che meglio si sposa ad una logica gerarchica.
Vi è poi una seconda accezione che può definire, in negativo, il concetto di responsabilità qui delineato da Taylor. Si tratta di una responsabilità il più possibile alleggerita, potremmo definirla una “responsabilità non responsa-bilizzata” che si ottiene svuotando l’importanza dei singoli compiti, in modo che sia sempre minore la eventuale conseguenza negativa che un mancato funzionamento dell’azione possa comportare. Svuotamento che si otterreb-be attraverso l’applicazione dei tre principi precedenti: l’individuazione di un unico compito da svolgere, la selezione e formazione per il compito specifi-co, l’accertamento che tutto avvenga secondo i criteri scientificamente indi-viduati.