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Le ragioni culturali e i limiti di un modello

Nel documento La nuova grande trasformazione (pagine 112-115)

4. Conclusioni

1.2. Le ragioni culturali e i limiti di un modello

In sintesi quindi, secondo diversi autori, il nuovo modello produttivo giap-ponese interpreterebbe la crisi del fordismo in quanto

i contorni istituzionali del Giappone postfordista determinano un contesto organizzativo specificamente attrezzato per affrontare l’attuale ciclo di ri-strutturazione basato su nuove tecnologie ad alta intensità di informazione. Essi forniscono lo spazio sociale necessario per integrare la ricerca e l’innovazione con i processi di produzione di base (33).

La flessibilità sarebbe al centro della produzione e l’innovazione si sviluppe-rebbe in modo strettamente connesso alle attività dei lavoratori e quindi grazie al loro apporto. Considerati questi elementi è utile ricercare una spie-gazione non solo storico-economica che giustifichi la nascita di questo mo-dello di organizzazione del lavoro in Giappone, in modo da poter cogliere in ultimo quale modello antropologico del lavoratore ne emerga e se esso possa essere un superamento di quello fordista analizzato nel capitolo pre-cedente. Su questo aspetto Dohse, Jürgens e Malsh hanno cercato di indivi-duare alcune possibili chiavi interpretative (34). La prima può essere l’approccio culturale (35) che si concentra in particolare sull’originalità sociale e geografica dell’isola e soprattutto sulla tarda transizione tra feudalesimo e società industriale. L’assenza di una vera e propria classe media, oltre ai po-chi influssi esterni limitati dalla natura insulare, avrebbe fatto sì che su si-stemi produttivi moderni si innestassero modelli organizzativi e valori pro-pri di una società feudale. In particolare ciò si rifletterebbe sulla «relazione tra l’impresa e i suoi lavoratori, l’orientamento al gruppo dei lavoratori giap-ponesi e la forte dedizione al lavoro degli stessi» (36). Il rapporto tra lavora-tore e impresa, guidato dal principio della lealtà non farebbe che riflettere il

(33) Ivi, 145.

(34) K.DOHSE, U.JÜRGENS, T.MALSH, op. cit.

(35) Presente soprattutto in W.LECHER, J.WELSCH, Japan – Mythos und Wirklichkeit, Bund,

1983, 80 ss., e H.KOBAYASHI, Ist Führung das japanische Geheimnis? Unternehmensführung in

Ja-pan – Die soziologischen Grundlagen und die Erscheinungsform der Unternehmen in JaJa-pan, in Schmalenbachs Zeitschrift für betriebswirtschaftliche Forschung, 1983, vol. 35, n. 6, 526-543.

legame gerarchico feudale, che si esprime anche attraverso il modello del

life-long employment come premessa per sancire questa “alleanza” tra le parti.

An-che la predisposizione al lavoro in gruppo (i team) viene interpretata come un retaggio della cultura agraria della famiglia allargata (37). In ultimo

si ritiene che speciali virtù legate al lavoro siano connesse alla cultura giap-ponese. L’omogeneità etnica e culturale della popolazione di un’isola con scarse materie prime conduce, in questa interpretazione, ad un forte orien-tamento al lavoro, ad una particolare coscienziosità e ad una forte consape-volezza dell’evitare ogni spreco di risorse (38).

La seconda interpretazione, che riprende molti dei concetti che abbiamo già esposto, è quella che origina dall’approccio di relazioni umane (39) ed «enfatizza l’importanza del coinvolgimento creativo dei dipendenti per l’organizzazione del lavoro e dei processi produttivi» (40). Questo si è reso necessario in uno scenario caratterizzato da elevata competitività nel settore produttivo, una grande attenzione alla qualità ed una spinta continua all’innovazione. Si tratterebbe quindi di un modello nato in contrapposizio-ne a quello taylorista e ciò sarebbe evidente da diversi punti di vista: l’assenza di una divisione netta tra il dipartimento ingegneristico e gli operai semplici come strumento di responsabilizzazione che porta a maggior pro-duttività attraverso il decentramento; la responsabilità dei lavoratori relati-vamente alla qualità dei prodotti; le grandi e solide garanzie dei lavoratori

core rispetto alla durata del loro impiego.

In ultimo, gli autori individuano un terzo approccio, che definiscono

production-control. Questo recupera alcune delle critiche già riportate e intende

mostrare come il funzionamento del modello giapponese si fondi su dina-miche di controllo della produzione, e quindi del lavoratore, molto simili nella sostanza a quelle tayloriste. Schonberger sostiene che il lavoro nelle fabbriche giapponesi sia tanto ripetitivo e meccanico quanto quello delle imprese tayloriste. Shimizu invece ricorre a fonti dirette di Toyota che indi-viduano nell’eliminazione del lavoro non necessario la strada per una

(37) Ivi, 123: «Group orientation leads, in this view, to increased pressure o n management

to make decisions by consensus and at the same time to a reduction of the individual per-formance principle. According to Lecher and Welsch, in Japanese companies what is im-portant is ‘not primarily individual performance but the group performance of the entire workforce».

(38) Ibidem.

(39) Presente in W.J.ABERNATHY, K.B.CLARK, A.M.KANTROW, Industrial Renaissance, Basic

Books, 1983.

Capitolo II – La crisi del fordismo e il post-fordismo come tentativo di nuovo paradigma

giore dignità del lavoratore. Dohse, Jürgens e Malsh interpretano questa e-liminazione come tentativo di «eliminare dalla forza lavoro i parassiti che non dovrebbero esserci, e risvegliare in loro la consapevolezza che essi pos-sono migliorare il posto di lavoro attraverso i loro sforzi e per instillare un sentimento di appartenenza» (41) oltre a sviluppare processi di standardizza-zione per poter raggiungere tale scopo (42). L’individuazione delle azioni o delle persone non necessarie è avanzata direttamente dai lavoratori che sono spinti a presentare «suggerimento di miglioramento per la loro eliminazione» (43). Il toyotismo sarebbe quindi un superamento del problema fordista della non-cooperazione dei lavoratori, nel senso della loro resistenza «a mettere in gioco la loro conoscenza della produzione al servizio della razionalizzazio-ne» (44). Anche sul fronte del calcolo del time-and-motion il modello Toyota non farebbe altro che ri-adottare il concetto taylorista adattandolo ad un nuovo contesto «al fine di far uso della conoscenza del processo produttivo da parte dei lavoratori» (45). Per far questo si agirebbe in modo decentraliz-zato grazie a supervisori presenti direttamente nei team, in modo che, es-sendo personalmente coinvolti e a contatto diretto con le mansioni dei lavo-ratori, possano individuare al meglio l’utilizzo di eventuali modalità di velo-cizzazione dei processi che, se non dichiarate, consentirebbero al lavoratore maggior tempo inutilizzato, operazione più difficile per un dipartimento ad

hoc sconnesso fisicamente dallo shop floor (46). Questo si otterrebbe senza

(41) T.SHIMIZU, Wirtschaftliche und humane Aspekte eines Systems zur Produktionssteuerung in der

japanischen Automobilindustrie, in R.WUNDERER (a cura di), Humane Personal- und

Organisations-entwicklung, 1988, Duncker & Humblot, 341.

(42) Cfr. K.DOHSE, U.JÜRGENS, T.MALSH, op. cit., 132: «To discover and to eliminate

un-necessary work sequences and excess motions by workers is also related to the striving for rationalization. In order to eliminate parasitism and superfluous work motions, a thorough standardization that can be immediately understood and observed by everyone is necessary. In order to promote standardization, complicated work tasks must be avoided as much as possible and work simplified. To stabilize the quality and quantity of work and output it is also necessary to eliminate any deviant cases. Usually progress in standardization results in repetitious work and leads to alienation from the job. On the other hand, a strict standardi-zation makes it easier to understand a job, leads to the discovery of questionable or defi-cient points and makes it easier to identify parasitical persons. When work itself is simple and repetitious, it is easy to identify parasitical and superfluous persons (oneself included)».

(43) Ibidem.

(44) Ibidem.

(45) Ibidem.

(46) Ivi, 128: «The lower-level supervisors play an important role. They have been trained in

time-and-motion studies and undertake measurements on jobs in their work area. Outside Japan this task is performed by a central management staff office that does not know the individual tricks and strategies of workers to do the work more easily (short cuts, and so on). In Japan the lower-level supervisors are thoroughly familiar with these work practices

minuire il carico di lavoro, né aumentando le ore lavorative, e genererebbe così il fenomeno dell’overworking, il vero vantaggio competitivo che il

just-in-time porterebbe con sé, a discapito quindi dei lavoratori. Inoltre, l’aumento

di produttività sarebbe essenzialmente possibile grazie al sovra utilizzo dei lavoratori (47). In ultimo per gli autori

due ulteriori principi dell’organizzazione della produzione garantiscono che le connessioni decentralizzate tra studi sul time-and-motion e il dipartimento produzione accrescano l’innovatività del lavoratore, la performance lavorati-va e la flessibilità del lavoro: il no-buffer principle e il principio della visualizza-zione del sotto utilizzo (48).

Il peso dell’assenza del magazzino ricadrebbe sui lavoratori che dovrebbero rispondere prontamente e in modo continuativo per risolvere le problemati-che. Allo stesso tempo strumenti di visualizzazione diretta di cicli di lavoro sarebbero utilizzati per ottimizzare al massimo l’orario di lavoro, così come mansioni specifiche svolte dagli operai in un tempo inferiore al previsto.

Nel documento La nuova grande trasformazione (pagine 112-115)