1. Il ciclo produttivo in Industry 4.0, le radici di una rivoluzione
1.2. Verso l’open production?
Sembra emergere, dalla breve rassegna effettuata, una discontinuità soprat-tutto nella misura in cui Industry 4.0 consente innovazioni dei processi, delle caratteristiche del ciclo produttivo e dei modelli di integrazione dell’impresa che prima non erano possibili. Tali innovazioni sembrano indicare un vero cambiamento rispetto al passato, in quanto potrebbero consentire, mediante la tecnologia, una evoluzione dell’impresa verso quel modello di open
production (53) più volte presentato e immaginato solo teoreticamente o in
(51) Ivi, 64.
(52) Ibidem.
(53) Cfr. J.P.WULFSBERG, T.REDLICH, F.-L.BRUHNS, op. cit., 127-139. Il termine si
richia-ma al concetto di open innovation introdotto già nel 2003 da Chesbrough e successivamente
teorizzato in H.CHESBROUGH, W.VANHAVERBEKE, J.WEST (a cura di), Open Innovation.
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lazione a realtà di piccola dimensione (54), ma al quale ancora mancavano e-lementi che ne rendessero possibile la reale applicazione.
Facciamo riferimento all’idea di sistemi produttivi caratterizzati principal-mente da una logica bottom-up intesa come «una fusione di produzione e consumo, attraverso strutture e processi distribuiti e attraverso la collabora-zione quale forma principale di interacollabora-zione tra attori» (55). Il ciclo produttivo industriale tipico della logica della produzione di massa si fondava su un processo di creazione del valore da effettuarsi unicamente all’interno dell’organizzazione dell’impresa, senza il coinvolgimento né del consumato-re né tanto meno del lavoratoconsumato-re, se non in forme parziali. I problemi di co-ordinamento tra domanda e offerta erano affrontati sia mediante il marketing del prodotto, sia attraverso il controllo della domanda, che era reso possibile dal sistema fordista: a questo scopo erano finalizzate le principali caratteri-stiche del suo ciclo produttivo quali la standardizzazione dei processi e dei prodotti, l’integrazione verticale, la divisione del lavoro ecc. (56).
L’open production, invece, si fonderebbe su un co-creative value model nel quale la generazione del valore avverrebbe mediante un processo di cooperazione tra impresa e consumatore sia nella progettazione del prodotto che nel suo utilizzo, mediante la possibilità del consumatore di accesso ai dati di funzio-namento dello stesso e la possibilità di condivisione. Più in profondità, la complessità dei mercati e delle tecnologie imporrebbe all’impresa di aprirsi alla cooperazione con il mondo esterno ad essa, attraverso il coinvolgimento di tutti gli attori che compongono lo scenario all’interno del quale l’impresa si trova ad operare. Questo si innesta su di un modello di capitalismo cogni-tivo sviluppatosi tra la fine del Novecento e l’inizio del nuovo secolo, me-diante la creazione di reti rese possibili dalla smaterializzazione di diversi processi di produzione del valore. Secondo i sostenitori dell’open production sarebbero infatti cambiate le strutture nelle quali si crea il valore, in primo luogo grazie alla diffusione della connettività globale, che consente la ridu-zione dei costi di transaridu-zione a livello di coordinamento internazionale tra
(54) Si pensi in particolar modo alle esperienze dei fab labs analizzate in C. MANZO, F.
RAMELLA, Fab Labs in Italy: Collective Goods in the Sharing Economy, in SM, 2015, n. 3, 379-418,
e in generale al tema dei makers su cui M.FORLIVESI, I “Makers”: il lavoro agli albori della terza
rivoluzione industriale, in Labour & Law Issues, 2015, n. 1, 72-85, e C.ANDERSON, Makers. Il
ritorno dei produttori. Per una nuova rivoluzione industriale, Rizzoli Etas, 2013. Si veda anche S.
MICELLI, Fare è innovare. Il nuovo lavoro artigiano, Il Mulino, 2016.
(55) J.P.WULFSBERG, T.REDLICH, F.-L.BRUHNS, op. cit., 131.
(56) Per un inquadramento delle domande aperte dal paradigma di Industry 4.0 in merito ai
sistemi di integrazione si veda M.LO RE, E.VEGLIANTI, U.MONARCA, La metafora della
«bussola» come strumento teorico di orientamento per l’analisi del paradigma economico Industry 4.0, in L’Industria, 2016, n. 3, 461 ss.
attori; a ciò si aggiunge il nuovo ruolo del consumatore: «dal momento in cui il lavoro di informazione sta guadagnando importanza come parte di processi di creazione di valore, il potere del consumatore nei confronti del produttore sta crescendo in virtù di un sempre miglior accesso all’ICT e alle reti che diventano mezzo di produzione in senso lato» (57). Conseguente-mente cambierebbero anche i processi di creazione del valore a causa della domanda di prodotti personalizzati, che richiede l’aumento degli attori coin-volti in tali processi, rendendo meno efficaci sistemi di integrazione e coor-dinamento verticali (figura 1).
Figura 1 – Confronto tra produzione di massa e produzione “moderna”
Fonte: J.P.WULFSBERG, T.REDLICH, F.-L.BRUHNS, Open production: scientific foundation for
co-creative product realization, in Production Engineering, 2011, vol. 5, n. 2
Alla base di questo modello troviamo quella che Wulfsberg, Redlich e Bruhns definiscono teoria dell’apertura e che si rifà alla teoria dei sistemi, di-stinguendo tra sistema chiuso e sistema aperto. Quest’ultimo sarebbe carat-terizzato dal fatto che «almeno uno dei suoi elementi è coinvolto in processi di interazione con elementi di un altro sistema» (58). L’impresa, in quanto si-stema sociale, non sarebbe per sua natura chiusa ma, negli anni della produ-zione di massa, avrebbe optato per ridurre al minimo il numero dei propri
(57) J.P.WULFSBERG, T.REDLICH, F.-L.BRUHNS, op. cit., 131.
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elementi connessi con sistemi esterni. E, se è vero che questo sistema per funzionare al meglio deve sviluppare un continuo processo di adattamento con l’ecosistema circostante, le novità socio-economiche intercorse negli ul-timi decenni non possono che restituirci una impresa invariata, pena una in-compatibilità tra sistemi (59). Il modello dell’open production in sintesi affronta una ridefinizione dei confini classici dell’impresa, ampliandoli fino a ricono-scere che «esiste un dominio comune tra impresa e consumatore» (60). Il modello teoretico fin qui descritto nasce e si sviluppa nel 2011, parallela-mente all’Industry 4.0, ma non viene concepito da suoi autori come supporto ad essa ed è inquadrabile soprattutto come un tentativo di ampliare alla pro-duzione manifatturiera il modello dell’open innovation adottato da imprese fornitrici di servizi informatici, ad esempio Intel e Cisco (61). È però possibi-le notare come i percorsi paralpossibi-leli abbiano oggi non pochi punti in comune in virtù del fatto che sia le tecnologie introdotte recentemente, abilitanti il nuovo paradigma industriale, sia le esigenze di mercato colte dall’open
production, e negli anni confermatesi dominanti, sembrerebbero convergere
(59) Ibidem: «The spread of information and communications technology as well as
produc-tion technology and the accompanying networking together with the increasing interacproduc-tion potential demand a strategic, structural and procedural opening in form of interactive value creation. This is synonymous with the claim that “networking” and “openness” are com-plementary strategies. If this corresponds with reality, the result for companies is that a ra-tional approach demands a change of the two activities at the same time and in the same direction. However, as the increased networking that delivers the growing potential for in-teraction is an exogenous influence, the only logical consequence for companies would be to pursue more intensively a strategy of openness». Da qui il modello di Wulfsberg, Re-dlich, e Bruhns prende in considerazione tre diverse categorie per le quali si dipana l’effetto della teoria dell’apertura applicato alla costruzione del valore a seconda che il sistema sia più tendente all’apertura o alla chiusura: value creation structure, architecture of the value creation
artifact e value creation process.
(60) Ivi, 136. Gli autori dopo queste conclusioni si chiedono quali debbano essere le
caratteristiche di un imprenditore che voglia adottare una simile filosofia e individuano le seguenti: «to relinquish complete control and the “desire for mastery”; heterarchic instead of hierarchic organization and coordination; consideration and exploitation of mechanisms of self-organization; consideration of potentials to support processes of development and production outside of the company domains; ability for the flexible redesign of value crea-tion configuracrea-tion; intensive division of knowledge and labour; global accrea-tion; intensifica-tion of incentives to participate through transparency; provision of hybrid product service systems and co-creation experiences instead of offering “finished” products; consideration of equal ranking of all actors in the value creation system; elimination of the distinction be-tween producer and consumer; consideration of the customer as a value-creating resource of the production system and a proactive participant in value creation processes» (ibidem).
(61) Si veda su questo H.W.CHESBROUGH, The Era of Open Innovation, in MIT Sloan
verso un modello di questo tipo. Tale convergenza sarebbe infatti confer-mata dall’introduzione degli elementi tecnologici e dei relativi concetti che fanno sì che una struttura open si configuri come conseguenza diretta della loro adozione. Si assisterebbe quindi alla necessità di modelli di produzione aperta e reticolare, resi indispensabili dalla complessità dei meccanismi di produzione di valore, oltre che dall’interazione di un sempre maggior nume-ro di attori all’interno dei pnume-rocessi di mercato stessi.
Oltre a questo, è da sottolineare come sia riscontrabile, all’interno delle re-centi dinamiche del capitalismo contemporaneo, una spinta particolarmente marcata verso meccanismi di condivisione sia nella produzione di beni che, soprattutto, nel loro utilizzo. Infatti è possibile leggere la moderna econo-mia della condivisione, in particolare nella forma, resa possibile dalla tecno-logia, della c.d. sharing/on demand economy, e Industry 4.0 come due capitoli di-versi della trasformazione in atto. La prima sarebbe un nuovo modo di in-tendere l’economia dei servizi, attraverso l’eliminazione dei costi di transa-zione ottenuta da nuovi sistemi di allocatransa-zione dei beni, introducendo la lo-gica della condivisione e dell’accesso come sostitutiva di quella dell’acquisto e del possesso degli stessi. La seconda, come si è visto, non sarebbe solo una evoluzione dei sistemi di produzione manifatturieri attraverso l’introduzione di alcune tecnologie, tra tutti l’IoT, che consentono una ge-stione “intelligente” della fabbrica e dell’intera supply chain, ma implica un profondo mutamento delle strutture organizzative e delle relazioni tra attori interni ed esterni. In entrambi i casi si tratta di nuovi modelli di business resi possibili in ultimo da nuove opportunità di comunicazione tra attori attra-verso la rete, nella forma di piattaforme e portali accessibili a tutti o ad una rete chiusa. Non sarebbe quindi solo la sharing economy ad avere un impatto forte sulle relazioni sociali, almeno nella sua versione originaria e genuina, attraverso la reintroduzione di categorie quali la reciprocità, lo scambio e il dono, che Polanyi identificava come proprie di sistemi economici non mer-cantilistici (62). Infatti Industry 4.0, oltre ad avere un riconosciuto impatto sul-la produttività delle fabbriche, sull’ottimizzazione dei costi e sull’efficienza della produzione, può essere un fenomeno che contribuisce ad una ri-socializzazione dei processi produttivi e dei rapporti di produzione (non so-lo tra capitale e lavoro ma tra capitale e capitale), a partire dal ruoso-lo centrale del consumatore ma anche di una diversa relazione tra componenti della
supply chain. È quindi possibile individuare e motivare le ragioni per le quali sharing economy e Industry 4.0, al contrario di due mondi paralleli, sono due
(62) Cfr. sul tema I.PAIS, G.PROVASI, Sharing Economy: A Step towards the Re-Embeddedness of
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facce del processo di digitalizzazione, sebbene da diversi punti di vista (63), e con differenze importanti. Si vedranno in seguito le implicazioni che questa affinità tra Industry 4.0 e sharing economy potranno avere sull’idea di condivi-sione di lavoratori e delle loro competenze in una rinnovata logica di forni-tura di servizi e beni.
Quanto detto fin qui potrebbe far sorgere due diverse domande: la prima relativa al rapporto tra questo ipotetico modello produttivo aperto e la lean
manufacturing sviluppatasi compiutamente e diffusamente a partire dagli anni
Novanta; la seconda sull’effettivo superamento delle problematiche che hanno segnato il periodo post-fordista mediante un “semplice” passaggio da integrazione verticale a integrazione orizzontale.
Il riferimento alla lean manufacturing è d’obbligo sia in considerazione di alcu-ni limiti della produzione di massa affrontati, sia perché spesso identificata dalle imprese come coincidente con la trasformazione di Industry 4.0. Il mo-dello lean si è sviluppato in modo particolare (si veda infra, § 2) in chiave ne-gativa, ossia come tentativo di costruire una produzione che fosse sostenibi-le economicamente anche in una congiuntura economica, come quella che ha seguito la recessione degli anni Settanta, nella quale i mercati occidentali erano saturi, la competizione internazionale cresceva e il ruolo del consuma-tore, in virtù anche del diffondersi su ampia scala dell’economia dei servizi, iniziava ad essere diverso. Da qui la lean manufacturing si concentra
(63) Esistono poi altre ragioni per cui, dal punto di vista economico, si riscontrano legami
tra i due fenomeni, si prenda ad esempio il mercato dell’automotive. Il fenomeno in espan-sione del combinato disposto di car sharing, inteso come forma di accesso comune alla me-desima autovettura, di ride sharing, inteso come allocazione più efficiente del bene-automobile e di nuove forme di liberalizzazione del trasporto viaggiatori attraverso l’utilizzo della propria vettura, come UberPOP, Lyft, ecc, che consentono servizi a prezzi inferiori del normale. Tutto questo ha una conseguenza negativa sulla domanda di automo-bili, potenzialmente sostituibili da altre forme di trasporto a basso costo. Minore è il costo del servizio di trasposto offerto a mezzo automobile, minore è l’attrattività dell’acquisto dell’automobile, non considerando evidentemente motivazioni quali la comodità di un mezzo proprio, la scelta del modello, l’autonomia completa negli spostamenti, ecc. È evi-dente quindi che una connessione tra calo della domanda nel settore manifatturiero e nuo-ve dinamiche nell’economia di servizi è possibile, e già in atto, se è nuo-vero che si prenuo-vede nel prossimo decennio un calo di 550mila automobili vendute. L’impatto della sharing economy sulla produzione di beni è quindi chiaro. La sostenibilità del settore automotive è data quindi da una riduzione o meno dei costi dei beni, in modo che l’acquisto di una automobile possa ritornare più vantaggioso dell’accesso alla stessa. Riduzione che è possibile o attraverso un risparmio sul fronte della qualità o attraverso l’aumento della produttività. Essendo tale aumento uno dei benefici maggiori della manifattura digitale, si può notare lo stretto legame che Industry 4.0 può avere con le dinamiche di coesistenza tra una nuova economia dei ser-vizi e la produzione dei beni manifatturieri.
to sull’eliminazione di tutti gli elementi di spreco, sia in termini di tempi di produzione e di lavoro, sia in termini di inventario e scorte.
Negli ultimi decenni sono emersi diversi elementi di criticità rispetto a que-sto modello (64), in particolare a causa del suo svilupparsi come sistema ne-gativo (65),dell’impatto della tecnologia nelle preferenze dei consumatori e di una più forte globalizzazione dei mercati. Rapidi e imprevedibili cambia-menti nel livello e nella tipologia di domanda non renderebbero sostenibile un modello produttivo che, sebbene altamente flessibile, riscontra dei limiti nelle strutture produttive e nella loro capacità fisica di adattamento e di uti-lizzo. La domanda di prodotti individuali non riuscirebbe quindi ad essere sostenuta e «sebbene la lean production supporti una alta varietà di prodotti, le sue sequenze di produzione fisse e i cicli fissi non sono utilizzabili per la produzione di oggetti singoli» (66).
Così inteso, il modello di Industry 4.0 è un compimento in positivo del mo-dello lean, in quanto in grado di superare, attraverso la presenza dei CPS e la loro capacità di adattamento automatico alla domanda individualizzata, il li-mite fisico dei processi produttivi flessibili, ma limitati. Si può riscontrare dunque da un lato una continuità tra i due modelli, ma a ben vedere sono diversi gli elementi che fanno propendere la presenza di un salto qualitativo tra di essi. In particolare il fatto che il paradigma di Industry 4.0 sia reso pos-sibile principalmente da alcune innovazioni tecnologiche, prima che da nuo-vi modelli organizzatinuo-vi, fa sì che l’approccio possa essere, se inteso come un concetto ampio e non unicamente connesso agli obiettivi strategici di po-litica economica delle singole nazioni, di tipo positivo e non rivolto unica-mente alla riduzione dei costi e ad aumenti di produttività. Nuovi modelli organizzativi sono quindi sì strettamente connessi ad Industry 4.0 e senza dubbio l’esigenza di contenimento dei costi e di incremento della produttivi-tà è al centro dei suoi benefici, e quindi della scelta di una evoluzione dei si-stemi produttivi, ma si tratta principalmente di conseguenze di nuovi sisi-stemi tecnologici oggi esistenti, uniti a profonde novità di tipo socio-economico e culturale. Quanto al secondo elemento di possibile criticità, riguardante i modelli di integrazione del sistema impresa è stato avanzata l’ipotesi che
(64) Si veda, tra i primi, M.CUSUMANO, The Limits of “Lean”, in MIT Sloan Management Review,
1994, vol. 35, n. 4, 27-32, in cui tra i limiti principali del modello viene indicata la volontà di offrire troppa varietà di prodotti senza un sistema produttivo in grado di affrontare tale complessità.
(65) Tale giudizio si evince soprattutto da H.KUMON, From the Diffusion of Lean Production to
the Hybridisation Perspective. Studies on the Transfer of the Japanese Production System to the U.S., in Journal of International Economic Studies, 2000, n. 14, 27-40.
(66) Cfr. D.KOLBERG, D.ZÜHLKE, Lean Automation Enabled by Industry 4.0 Technologies, in
Capitolo III – Industry 4.0, verso un nuovo paradigma?
dustry 4.0 possa essere un modello complementare di orizzontalità e
vertica-lità (67). L’incontro tra le due dimensioni risiederebbe nelle operazioni di pianificazione, acquisto, produzione e logistica in cui l’integrazione orizzon-tale avverrebbe attraverso «connessioni cross-industriali di processi produt-tivi» (68), ossia in un hub che fornisce ai macchinari le esatte informazioni ne-cessarie alla produzione (69). L’integrazione verticale invece si otterrebbe «ottimizzando il flusso di merci in-house e di dati con l’obiettivo di aumentare la qualità e la flessibilità» (70).
1.3. Servizi e manifattura, due facce di una sola medaglia?