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Gli impatti sul lavoro e la consapevolezza delle imprese

Nel documento La nuova grande trasformazione (pagine 172-177)

1. Il ciclo produttivo in Industry 4.0, le radici di una rivoluzione

1.4. Gli impatti sul lavoro e la consapevolezza delle imprese

di-verse considerazioni in merito ai cambiamenti che questi possono compor-tare relativamente al ruolo del lavoratore all’interno di tale ciclo rinnovato. Il riferimento non è quindi alle nuove forme di organizzazione del lavoro in virtù di differenti cicli produttivi, quanto alle implicazioni che esse hanno per il ruolo del lavoratore nell’impresa. Se nel ciclo fordista l’operaio era concepito come allo stesso tempo produttore e consumatore di massa, la nuova natura internazionale dei mercati, insieme alla recessione economica nei Paesi occidentali, ha messo in crisi questo sistema generando come ri-sposta principale quella fabbrica flessibile che, con la suddivisione tra lavo-ratori core e lavolavo-ratori periferici, organizzava il proprio mercato del lavoro senza utilizzarlo come regolatore della domanda dei beni. I limiti di questo modello, riassumibili, relativamente al lavoro, nell’ampio dibattito sulla pre-carietà, possono essere meglio compresi alla luce dell’analisi del modello di impresa che Industry 4.0 sembra suggerire.

Sembra emergere ora con chiarezza che anche la fabbrica post-fordista si modellava su di una struttura integrata verticalmente nella quale veniva con-cepito e creato il ciclo produttivo senza particolari relazioni con altri attori. L’utilizzo del just-in-time era quindi funzionale non tanto all’apertura della fabbrica all’esterno, ma ad evitare sprechi e ridurre i costi. Per questo moti-vo il lamoti-voratore periferico non viene identificato come un collaboratore e-sterno di una struttura aperta caratterizzata dalla contaminazione di diversi attori che contribuiscono alla costruzione del valore, ma unicamente come una possibilità per formulare un legame debole con un dipendente al fine di poter ridurre i costi di transazione ed avere più flessibilità unidirezionale nella gestione del rapporto di lavoro.

Nella struttura della impresa contemporanea che abbiamo descritto si con-ferma, quasi come un dato ricevuto in eredità dal post-fordismo, il

supera-mento del ruolo del lavoratore come fonte primaria della domanda diretta. Allo stesso tempo però l’offerta non è interamente governata dai processi decisionali interni all’impresa, ma viene in larga parte regolata in base alle preferenze individuali del consumatore. Questo però non sembra essere un legame sufficiente a determinare una particolare relazione ciclica tra doman-da e offerta tale doman-da influire sul ruolo del lavoratore. Occorre quindi concen-trare l’attenzione sull’eventuale evoluzione del modello post-fordista, ed è proprio in questo ambito d’analisi che sembra concentrarsi la maggior di-scontinuità. L’open production che può caratterizzare Industry 4.0, infatti, pro-prio per la sua tendenza a modificare la natura monolitica dell’impresa, ri-considera il rapporto tra centro e periferia. Se il lavoratore periferico post-fordista si ritrovava spesso a ricoprire tale ruolo contro la sua volontà, e la sua condizione era obbligata dal sottostare a logiche economiche decise dall’impresa, la necessità di una apertura in chiave di cooperazione inverte tale logica. Il lavoratore periferico nel nuovo paradigma può ricoprire il ruo-lo di un vero collaboratore, nel senso etimoruo-logico del termine di lavorare-con, per cui coopera, insieme ad altri, alla creazione del valore delle imprese e dei beni e dei servizi prodotti, ma senza essere obbligatoriamente un loro dipendente, o senza esserlo per cicli di tempo troppo prolungati. E ciò non avverrebbe unicamente per ragioni di ordine economico, ma per il fatto che l’integrazione orizzontale degli attori interni o esterni all’impresa consente l’apertura – nella forma di una rete di collaborazioni, distacchi, condivisione di persone – a soggetti esterni ad essa che possano supportarla per partico-lari progetti, missioni e fasi della produzione. Il tutto è reso possibile da un elemento fondamentale, che si può comprendere analizzando congiunta-mente alcuni degli elementi tecnologici unitacongiunta-mente al tema dell’intersettorialità di cui si è detto: da un lato infatti il ruolo di automazio-ne e digitalizzazioautomazio-ne potrebbe rendere obsolete molte delle attività in prece-denza svolte dalla fascia di lavoratori medio-bassa; dall’altro la commistione tra servizi e manifattura renderebbe tuttavia necessarie figure professionali diverse, mutando profondamente il ruolo dei lavoratori, come si avrà modo di vedere.

Prima però di illustrare i principali studi sul tema degli impatti occupazionali quantitativi e qualitativi di Industry 4.0 è interessante rivolgere l’attenzione ad alcune indagini qualitative svolte in Germania ed in Italia che hanno coin-volto imprese del settore manifatturiero. Infatti in un momento storico nel quale il paradigma che stiamo illustrando è in fase di maturazione può essere utile individuare le tendenze e le previsioni degli attori che, mediante inve-stimenti, riorganizzazione e ri-orientamento dei modelli di business,

potran-Capitolo III – Industry 4.0, verso un nuovo paradigma?

no decidere o meno la sua affermazione. Da una survey condotta dal Fraun-hofer IAO (83) tra oltre 500 imprese sul tema risulta che il 51% di esse pre-vede una diminuzione del lavoro manuale e il 54% un aumento delle attività di controllo dei processi e di loro progettazione e pianificazione. A tal fine, vista la complessità delle operazioni previste e la loro dinamicità ed evolu-zione costante, il 76% delle imprese intervistate prevede un aumento della richiesta di competenze di tipo informatico, mentre ben l’86% identifica nell’apprendimento continuo uno dei fattori fondamentali per favorire i processi di Industry 4.0. Ulteriori elementi giungono da un focus group (84) rea-lizzato con sedici imprese medio-grandi (85) con sede nell’area di Milano e Monza-Brianza in cui è emerso come vi sia opinione comune che Industry

4.0 avrà un impatto sull’organizzazione del lavoro, ed è ancor più condivisa

la visione che essa stia già avendo un impatto («non è una scelta, è inevitabi-le») (86). Non mancano opinioni discordanti che non notano o immaginano alcun impatto, ma esse sono minoritarie. All’interno della visione evolutiva si riconosce che l’impatto è già in corso su più fronti, in particolare per quanto riguarda la domanda di lavoro, concentrata su profili differenti ri-spetto al passato. È emersa una interessante distinzione tra impatti a breve e a medio-lungo termine. I primi riguarderebbero principalmente aspetti più pratici come gli orari e i luoghi di lavoro, oltre che le mansioni; sul medio-lungo periodo, invece, inizierebbe ad emergere una vera e propria evoluzio-ne dell’idea di lavoro che porterebbe ad importanti cambiamenti sul fronte dei modelli organizzativi e dei rapporti tra lavoratori e impresa. Particolar-mente interessante risulta poi la sottolineatura relativa ai servizi connessi alla nuova manifattura, che conferma quanto già mostrato in precedenza. Se-condo le imprese intervistate la fornitura di servizi attraverso una diversifi-cazione ed un ampliamento del business oltre alla classica produzione di prodotti fa sì che anche l’organizzazione del lavoro cambi con una struttura delle maestranze che si muove più verso la rete che verso la staticità. Il

(83) Cfr. S.SCHLUND, M.HÄMMERLE, T.STRÖLIN, Industrie 4.0 – Eine Revolution der

Arbeits-gestaltung. Wie Automatisierung und Digitalisierung unsere Produktion verändern werden, Ingenics

AG, Fraunhofer IAO, 2014, citato in L.BONEKAMP, M.SURE, Consequences of Industry 4.0 on

Human Labour and Work Organisation, in Journal of Business and Media Psychology, 2015, vol. 6, n.

1, 35.

(84) F.SEGHEZZI, L’impatto della Manifattura 4.0 sulle relazioni industriali, in CENTRO STUDI DI

ASSOLOMBARDA CONFINDUSTRIA MILANO MONZA E BRIANZA, AREA INDUSTRIA E

INNOVAZIONE (a cura di), La strada verso la Manifattura 4.0. Progetto di ricerca “Focus Group

Manifattura 4.0”, Ricerca, 2016, n. 9.

(85) Nel dettaglio: ABB, Agrati Group, Alstom Italia, Boehringer Ingelheim, Fontana

Gruppo, Gruppo Bracco, KONE, MAPEI, Nokia, Novartis, Patheon, Sanofi, Schindler, STMicroelectronics, Terry Store-Age, Zambon.

porto cronologico tra investimenti in tecnologia e innovazione e una nuova organizzazione del lavoro presenta opinioni più varie, con una maggioranza che ritiene di dover procedere parallelamente, con una riformulazione degli schemi organizzativi che segua l’introduzione di nuove linee di produzione, infatti «mentre si progetta si pensa contemporaneamente a una nuova figura da inserire» (87). Altre imprese invece ritengono che sia necessario anticipare la riorganizzazione in modo da poter avere lavoratori e collaboratori che sappiano gestire la complessità di nuove linee di produzione nelle quali il li-vello di digitalizzazione e di automazione è elevato. Nessuno invece ritiene che gli investimenti tecnologici siano da anticipare rispetto ad una riorganiz-zazione del lavoro che verrà in seguito, a conferma del fatto che è ben chia-ro l’impatto e la necessaria commistione delle due componenti, in una evo-luzione che, sebbene non rivoluzionaria, è comunque in parte dirompente. È riconosciuto da tutti, senza eccezioni, come la nuova organizzazione del lavoro non sarebbe un ostacolo per il passaggio all’Industry 4.0. Mentre sul tema del rischio di una imminente e massiccia perdita di posti di lavoro a causa dell’automazione le opinioni non sono univoche e rispecchiano il di-battito in corso nel mondo accademico e sui media. Da un lato c’è chi so-stiene che l’impatto non sarà così brutale, poiché non si farà altro che inno-vare quanto già avviene, aumentandone la sofisticatezza e la qualità. L’esempio della manutenzione predittiva è chiaro: i manutentori esistono ancora ma o potranno lavorare a distanza, o dovranno avere competenze più specifiche. Oltre a questo, l’ampliamento dei servizi offerti genererebbe nuova domanda di lavoro, indirizzandosi anche verso figure professionali diverse. Dall’altro lato c’è chi sostiene che vi siano oggi possibili innovazioni delle linee produttive che, alla loro applicazione, potrebbero cospicuamente ridurre il numero dell’organico, «anche dimezzandolo» (88). Si immagina quindi, con questa seconda tesi, che la tendenza tecnologica, unita alla ne-cessità di ridurre i costi per aumentare la competitività e la produttività, po-trebbe portare ad una cospicua perdita di posti di lavoro e si considera que-sto un processo irreversibile, inarrestabile e già in atto. Sul fronte anagrafico l’impatto positivo è visto come forte, al contrario di quanto i dati sembrano mostrare oggi, sulla fascia giovanile della popolazione in virtù di una mag-giore familiarità con le tecnologie che ne aumenteranno le opportunità oc-cupazionali. Resta più complessa la situazione degli over 50 per i quali sono necessari soprattutto interventi di riqualificazione professionale. Non manca però chi segnala come alcuni profili professionali tradizionali ma ancora centrali nei processi produttivi, ad esempio gli attrezzisti, oggi siano difficili

(87) Ibidem.

Capitolo III – Industry 4.0, verso un nuovo paradigma?

da reperire, poiché i giovani non sono disposti ad imparare alcuni mestieri e la generazione che ancora ne è capace sta mano a mano andando in pensio-ne. Il nuovo shop floor sarebbe composto da lavoratori più competenti, con una formazione tecnica più avanzata e inseriti in processi di apprendimento continuo. Ciò non significherebbe per forza la scomparsa delle basse pro-fessionalità ma, all’interno di una logica evolutiva, «la bassa propro-fessionalità resterà bassa in termini relativi ma le competenze saranno più elevate rispet-to a quelle di un operaio di dieci anni fa» (89). È emersa quindi la necessità di «trasformare per non scomparire» (90), ossia quella di una riqualificazione e di un aggiornamento professionale dei lavoratori se si vogliono evitare mas-sicce perdite di posti di lavoro. Quello che era un tempo considerato un profilo professionale medio, sia in termini di competenze tecniche, sia di au-tonomia e responsabilità, potrebbe nel breve periodo essere considerato un profilo basso, con un effetto qualificatore a catena sui livelli più alti. Affin-ché questo effetto sia costante e duraturo occorre sviluppare al meglio la formazione all’interno dell’impresa. L’importanza di questa riqualificazione poggia sulla constatazione che le c.d. mansioni routinarie stanno già scom-parendo, in un processo che non potrà che accelerare drammaticamente, so-stituite da automazione e digitalizzazione. Sul fronte delle responsabilità sa-rebbe necessario «un cambio di approccio, che deve partire dai livelli più al-ti» (91). Lo stesso management dovrebbe quindi prevedere processi di

empo-werment delle proprie risorse, in un virtuoso effetto a cascata che arrivi fino

alla nuova catena di montaggio. È emerso, infatti, come occorra innescare un meccanismo di «responsabilizzazione crescente sin dalle figure più basse» (92). Una visione complementare quindi che, da qualunque punto di vista la si osservi, implica una grande novità. Le responsabilità si attuerebbero con-cretamente attraverso l’importanza e la centralità di nuove competenze.

Pro-blem solving, capacità comunicative, autonomia decisionale, gestione della

complessità dei processi sono individuate come parte delle soft skills centrali per il ruolo di tutti i lavoratori in Industry 4.0. Una competenza che verrebbe sempre più richiesta ai lavoratori è quella dell’autonomia, che potrebbe combinarsi con la presenza di un capo solo in remoto: questo avrebbe evi-dentemente un enorme impatto sui rapporti gerarchici e richiederebbe uno sforzo di adattamento e una evoluzione soprattutto da un punto di vista manageriale. Infatti è emerso come un limite il fatto che i manager oggi sia-no ancora ancorati ad una mentalità di gestione dei rapporti di lavoro basata

(89) Ibidem.

(90) Ibidem.

(91) Ibidem.

sul controllo, proprio della logica fordista, e meno su un modello di impresa nel quale la struttura gerarchica verticale si modula orizzontalmente pren-dendo la forma di una rete tra persone con ruoli diversi ma con maggior in-terazione reciproca.

Sul fronte delle competenze tecniche specifiche si riscontra come il sistema educativo e le istituzioni spesso non riescano a fornire un livello adeguato a quanto richiesto oggi dai moderni sistemi produttivi. Ciò fa sì che le imprese diventino attori fondamentali nei processi di trasferimento di competenze on

the job, al tempo stesso però si sottolinea come non sia compito delle

impre-se quello di formare lavoratori con skills ormai obsolete, poiché questo do-vrebbe essere responsabilità delle istituzioni stesse.

Emerge quindi dalle interviste condotte come nelle realtà aziendali vi sia una profonda consapevolezza non tanto dei dettagli e delle modalità specifiche con le quali si realizzerà la transizione verso Industry 4.0, o comunque verso una più profonda digitalizzazione della produzione, quanto piuttosto del fat-to che tale transizione avrà un forte impatfat-to sulla componente lavoro.

1.5. Scenari e studi sul rischio scomparsa del lavoratore

Nel documento La nuova grande trasformazione (pagine 172-177)