2. Il nuovo ciclo produttivo: la produzione flessibile
2.1. I principi della flexible specialization
Primi a teorizzare il superamento del modello fordista a vantaggio di un si-stema di produzione più flessibile, Piore e Sabel hanno introdotto il concet-to di flexible specialization (57). Se la produzione di massa si fondava sul con-trollo del mercato grazie a prodotti standard e diffusi in larga scala, salva-guardandosi così dall’incertezza e dalle fluttuazioni causate dalle preferenze mutevoli dei consumatori, la flexible specialization ha all’origine la volontà di innovare e mutare in modo dinamico i prodotti sviluppando sistemi produt-tivi in grado di adattarsi alle esigenze di mercato. La produzione di massa non sarebbe destinata a scomparire, più probabile invece uno scenario di polarizzazione tra Paesi in via di sviluppo, nei quali si muoverebbe il vec-chio tipo di produzione, e i Paesi sviluppati, nei quali si affermerebbero nuovi modelli flessibili.
Si possono individuare quattro caratteristiche principali di questo modello (58): 1) presenza di strumenti ed equipaggiamento multifunzionale, insieme a lavoratori competenti che sappiano utilizzarli per produrre quello che il mercato richiede; 2) clusters di piccole-medie imprese che collaborano nello scambio di idee e informazioni e che aiutano lo sviluppo di istituzioni e il loro funzionamento; 3) interazione e networking tra imprese in forma di
su-bcontracting; 4) efficienza collettiva come risultato della vicinanza ad altri
pro-duttori innovativi.Questo scenario aprirebbe nuovi fronti per l’organizzazione del lavoro e per il ruolo del lavoratore all’interno della fab-brica, caratterizzato, secondo gli autori, da elevate competenze tali da poter variare spesso mansione a seconda delle esigenze produttive, superando quindi i limiti della standardizzazione di compiti propria del taylorismo. Si tratta però di uno scenario che ha come oggetto un sistema complesso e in-terconnesso di piccole e medie imprese e come tale difficilmente può rap-presentare un modello sostitutivo del modello di produzione fordista, a me-no di un diffuso ridimensionamento del tessuto produttivo. Tuttavia si in-troduce il concetto chiave che guiderà il dibattito sul nuovo modello di bu-siness e di produzione post-fordista, ossia la flessibilità.
Seguendo la critica (59) possiamo individuare tre ragioni per le quali le esi-genze di competitività nei mercati moderni necessitano il combinato
(57) Cfr. M.J.PIORE, C.F.SABEL, The Second Industrial Divide. Possibilities for Prosperity, Basic
Books, 1984.
(58) Cfr. M.P. VAN DIJK, Flexible specialisation, the new competition and industrial districts, in Small
Business Economics, 1995, vol. 7, n. 1, 16.
(59) In particolare si veda H.SHAIKEN, S.HERZENBERG, S.KUHN, The Work Process Under
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sto di tecnologia programmabile e di lavoratori molto competenti. In primo luogo il fatto che un’impresa non può permettersi di effettuare troppi tenta-vi per perfezionare una prodotto, in quanto i volumi ridotti non consentono un elevato numero di errori, questo fa sì che i «lavoratori giochino un ruolo fondamentale nella risoluzione dei problemi o negli interventi negli stop di produzione» (60). Il secondo elemento è relativo alla presenza di skilled
wor-kers nella produzione, fondamentale per le dinamiche di innovazione di
pro-cesso e di prodotto, in quanto sono abilitate in ampia parte proprio dalla lo-ro conoscenza specifica. In ultimo i lavoratori necessitano di un ventaglio più ampio di competenze per affrontare i cambiamenti repentini e costanti delle linee di produzione.
Nel corso degli anni Ottanta, Piore ha svolto una serie di interviste (61) con imprenditori sui temi della produzione e della crisi del modello fordista, tra-endone indicazioni utili per poter delineare un nuovo modello, a partire dal-la volontà stessa del mondo produttivo. In primo luogo si introduce l’innovazione tecnologica quale elemento principale all’interno di un sistema produttivo flessibile. L’utilizzo del computer «consente all’impresa di adatta-re i macchinari alle domande di prodotti individuali attraverso cambiamenti nei software senza aggiustamenti fisici nei macchinari in sé» (62). Questo consentirebbe una gestione flessibile anche in presenza di macchinari com-plessi e non intercambiabili. Per consentire una tale informatizzazione dei sistemi produttivi si prevede la presenza di lavoratori high skilled «coinvolti nel design dei prodotti […] sebbene spesso in una nuova forma più legata al computer e alla comprensione teorica del processo produttivo» (63). La stes-sa struttura organizzativa della produzione subirebbe modifiche sostanziali, in particolare sul fronte del processo, a partire dalla fase iniziale di progetta-zione. Se prima infatti vi era un processo sequenziale di design nel quale gli ingegneri dovevano eseguire il modello deciso dal management, ora «viene sostituto da modalità di design nei quali il prodotto è progettato in collabo-razione con ingegneri e a volte con la partecipazione di produttori di parti e anche operai base» (64). In un ambiente nel quale la flessibilità e il cambia-mento sono costanti è richiesto un ruolo maggiore della collaborazione dei lavoratori, coinvolgimento che viene raggiunto attraverso «ogni altra pratica specifica che connette maggiormente il lavoratore all’impresa: circoli di
(60) Ivi, 167.
(61) Cfr. M.PIORE, Perspectives on Labour Market Flexibility, in IR, 1986, vol. 25, n. 2, 146-166.
(62) Ivi, 158.
(63) Ibidem.
lità, condivisione dei profitti e, nelle imprese sindacalizzate, spesso i rappre-sentanti dei lavoratori sono inclusi nei board» (65).
Queste considerazioni si sposano con uno degli approcci principali che E-lam (66) individua all’interno della letteratura sulla crisi del fordismo, ossia quello neo-schumpeteriano. In questa lettura Perez sostiene che il post-fordismo non sarebbe altro che una nuova fase tecnologica, la quinta di quelle onde che Kodratiev ha individuato a partire dalla prima rivoluzione industriale. Elemento tecnologico centrale di questa nuova fase sarebbe la microelettronica e quindi la presenza dei sistemi informativi nella produzio-ne industriale, che non impatterebbe solamente sui sistemi produttivi ma genererebbe una «una profonda trasformazione del contesto sociale ed isti-tuzionale» (67), il vero motore dei cambiamenti socio-economici risiederebbe quindi nei cambiamenti tecnologici (68). Sebbene lo stesso Elam mostri co-me nel ciclo produttivo toyotista l’utilizzo di tecnologia informatica sia rela-tivamente ridotto, è certo che l’ICT è stato uno degli elementi di novità che ha caratterizzato la crisi del fordismo, in particolare come tentativo di ren-dere più competitivi i sistemi produttivi per contrastare la crescente compe-titività internazionale. Si possono individuare due fronti principali, il primo è quello dell’introduzione della robotica industriale in particolare all’inizio degli anni Ottanta (69), che ebbe come conseguenza da un lato la riduzione di posti di lavoro per le attività più standardizzate e dall’altro il miglioramen-to delle condizioni di lavoro per i lavoramiglioramen-tori rimasti. Il secondo fronte fu quello della possibilità, attraverso sistemi informatizzati interni, di migliorare i processi di coordinamento nelle imprese e nei cicli produttivi, e di
(65) Ibidem.
(66) Cfr. M.ELAM, Puzzling Out the Post-Fordist Debate: Technology, Markets and Institutions, in A.
AMIN (a cura di), op. cit., 44-70.
(67) Cfr. C.FREEMAN, C.PEREZ, Structural crises of adjustment: business cycles and investment
behav-iour, in AA.VV. (a cura di), Technical Change and Economic Theory, Pinter, 1988, 57.
(68) Così Perez argomenta questo concetto: «While in nature, it is the external environment
that forces the adaption of the living species; in economic development, it would be the environment that is reshaped to suit the potential of the new genetic pool. Yet it must be emphasized that, in spite of appearances, we are not making an argument for mere techno-logical determinism. The variety of suitable environments is quite large, and whatever spe-cific form is arrived at, from the wide range of viable options, will in turn determine the preferred ways in which the latent technological potential develops through strong
‘feed-back’ selective action and gradual mutual adjustment» (C.PEREZ, Microelectronics, Long Waves
and Structural Change: New Perspectives for Developing Countries, in World Development, 1985, vol.
13, n. 3, 445). Negli ultimi suoi contributi, già richiamati, anche la nuova ondata di digitaliz-zazione viene considerata come la fase di maturità di questa quinta onda.
(69) Cfr. K.-H.EBEL, The Impact of the Industrial Robots on the World of Work, in Robotics, 1987,
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to della domanda di lavoratori high-skilled che fossero in grado di gestire tali sistemi. Entrambi gli elementi però possono essere letti, secondo il modello teorico di Perez, come introduzioni tecnologiche nate per superare la fase discendente dell’onda precedente, caratterizzata dalla catena di montaggio e dalla produzione standardizzata, giunta all’insostenibilità di tipo economico-produttivo, per le ragioni precedentemente illustrate.