4. Conclusioni
1.1. Gli elementi di novità del modello giapponese
La letteratura si è presto divisa tra coloro (9) che hanno sostenuto che la lean
production favorisse una rinnovata centralità del lavoratore, un allentamento
dei vincoli di controllo che portano a superare il modello fordista, e chi (10) invece ha definito tale organizzazione del lavoro come toyotismo, ossia un modello neo-fordista che, pur cambiato nella forma, resterebbe tale nella sostanza. Kenney e Florida si dicono convinti che «l’organizzazione sociale della produzione in Giappone ha raggiunto un livello di sviluppo che può essere detto postfordista». E individuano in questi termini le discontinuità e le specularità tra i due modelli:
La produzione postfordista sostituisce i principi della frammentazione dei compiti, della specializzazione funzionale, della meccanizzazione e della ca-tena di montaggio del fordismo con una organizzazione sociale della produ-zione basata su gruppi di lavoro, rotaprodu-zione dei compiti, learing by doing, pro-duzione flessibile e sistemi di propro-duzione integrata (11).
Si realizzerebbe quindi una nuova organizzazione sociale della produzione, definita dall’introduzione di alcuni elementi di discontinuità. Per poter co-glierne o meno gli aspetti di discontinuità occorre quindi andare brevemente all’origine e alla nascita di questa nuova modalità di produzione, a partire dalle intuizioni dell’ingegnere capo di Toyota Taiichi Ohno (12). Pur volendo porre l’attenzione in modo particolare sulla nuova organizzazione del lavoro e quindi sul lavoratore, è opportuno dipingere brevemente il panorama eco-nomico-produttivo nel quale si afferma la lean production (13), così facendo si noterà come essa non sia legata alla crisi del fordismo quanto piuttosto vo-glia rappresentarne un superamento per ragioni di costi, opportunità e mer-cato di riferimento.
Alla fine della seconda guerra mondiale, la Toyota si trovò di fronte a diver-si problemi da superare per poterdiver-si affermare come produttrice di
(9) Per tutti, si vedano M.KENNEY, R.FLORIDA, op. cit., e R.KAPLINSKY, Restructuring the
capitalist labour process: some lessons from the car industry, in Cambridge Journal of Economics, 1988,
vol. 12, n. 4, 451-470.
(10) Per tutti, si vedano S.WOOD, op. cit., 536; K.DOHSE, U.JÜRGENS, T.MALSH, op. cit.
(11) M.KENNEY, R.FLORIDA, op. cit., 126.
(12) Cfr. per i principi chiave del Toyota Production System e per la loro applicazione ideale
l’opera principale del suo ideatore, T. OHNO, Toyota Production System. Beyond Large-Scale
Production, Productivity Press, 1988.
Capitolo II – La crisi del fordismo e il post-fordismo come tentativo di nuovo paradigma
bili su larga scala. In primo luogo, un mercato interno poco sviluppato e ca-ratterizzato dalla domanda di auto di diverso tipo (14) e quindi difficilmente saturabile attraverso una produzione massificata. In secondo luogo, l’atteggiamento avverso della forza lavoro giapponese che, anche grazie alle nuove norme introdotte dall’occupazione americana nel secondo dopoguer-ra, non accettava di essere considerata «come un costo variabile o come una parte intercambiabile» (15). Infine la situazione economica, tale da rendere finanziariamente insostenibile l’acquisto di tecnologia dall’Occidente. Que-ste ragioni rendevano impossibile adottare le tecniche di produzione e di la-voro fordiste, che pur Ohno conosceva bene, mentre le esigenze di mercato individuate da Toyota facevano sì che «i metodi di produzione artigianale fossero una alternativa ben conosciuta ma non sembravano condurre da nessuna parte per un’impresa intenta a produrre beni per un mercato di massa» (16).
Da qui la necessità di progettare un nuovo metodo di produzione che fosse economicamente sostenibile senza comportare la rinuncia a grandi volumi. La produzione just-in-time (17), attraverso la riduzione al minimo degli sprechi di tempo e la riduzione dei costi consentita dall’eliminazione dei magazzini fece sì che si potesse costruire, pur in un lungo arco di tempo, un sistema che riuscisse a conciliare piccoli lotti altamente differenziati di automobili con le esigenze di un mercato in espansione (18). L’esigenza di evitare muda,
(14) Cfr. J.P.WOMACK, D.T.JONES, D.ROOS, op. cit., 49: «Luxury cars for government
offi-cials, large trucks to carry goods to market, small trucks for Japan’s small farmers, and small cars suitable for Japan’s crowded cities and high energy prices».
(15) A ciò si aggiunga che «in Japan there were no “guest workers” – that is, temporary
im-migrants willing with sub standards working conditions in return for high pay – or minori-ties with limited occupational choice. In the West, by contrast, these individuals had formed the core of the work force in most mass-production companies» (ibidem).
(16) Ibidem.
(17) Per una introduzione al tema cfr. T. OHNO, Just-In-Time. For Today and Tomorrow,
Productivity Press, 1988; una analisi più tecnica si trova in S.SHINGO, A Study of the Toyota
Production System, Productivity Press, 1989, 69-121; per una analisi critica cfr., per tutti, R.T.
LUBBEN, Just-in-Time Manufacturing. An Aggressive Manufacturing Strategy, McGraw-Hill, 1988.
(18) R.T.LUBBEN, op. cit., 51: «The objective of the JIT system is to increase productivity
not through super-exploitation of labor but rather through increased technological efficien-cy, heightened utilization of equipment, minimal scrappage or rework, decreased inventory, and higher quality. It thus increases the extracted in production, decreases materials con-sumed per unit output, and minimizes circulation time, making the actual production pro-cess much more efficient».
ossia lo spreco (19), è alla base non solo della catena produttiva e della ge-stione della domanda ma anche e soprattutto dell’organizzazione del lavoro. Questo si realizza con una rivoluzione nelle dinamiche di controllo e quindi di divisione del lavoro. Nel modello taylorista infatti i grandi volumi prodot-ti consenprodot-tivano di sostenere i cosprodot-ti indiretprodot-ti, in termini di tempo e azione, di una ampissima divisione del lavoro. Ad esempio il ruolo di colui che con-trollava la produzione e i compiti dei lavoratori poteva essere da un lato considerato funzionale al mantenimento dell’ordine ma, dall’altro, una risor-sa sprecata, che non dava un apporto diretto al ciclo produttivo, così come anche per altre figure risultanti dalla divisione del lavoro (20). Il toyotismo teorizza quindi che una maggior efficacia possa essere raggiunta se il con-trollo viene delegato ai lavoratori, ridistribuendo tra loro le mansioni che prima spettavano al foreman della fabbrica fordista, che infatti «le svolge mol-to meglio in virtù della diretta conoscenza delle condizioni della linea» (21). Ciò si ottiene impostando l’organizzazione del lavoro per team autonomi e non più attraverso compiti assegnati individualmente (22). Il team leader è allo stesso tempo colui che coordina il gruppo, che ne svolge le mansioni e che sostituisce eventuali membri assenti. Il fatto che ad un team vengano assegnate mansioni ed obiettivi, e che in essi i compiti vengano autonoma-mente riallocati genererebbe quindi un notevole incremento della responsa-bilità del singolo lavoratore e della propria indipendenza e creatività. Questo perché il lavoro in team ha come conseguenza una elevata riduzione della divisione del lavoro, in quanto all’interno del proprio gruppo ogni lavorato-re è in grado di svolgelavorato-re mansioni diffelavorato-renti e di variarle in poco tempo (23) adattandosi ad un sistema produttivo più flessibile e più legato alla dinamici-tà della domanda e non alla produzione in stock. Responsabilidinamici-tà che si rea-lizzerebbe anche nel controllo della qualità del prodotto, affidato
(19) Vengono individuate sette tipologie di spreco (waste): waste of overproduction, waste of time on
hand (waiting), waste of transportation, waste of processing itself, waste of stock on hand (inventory), waste of movement, waste of making defective products.
(20) J.P. WOMACK, D.T. JONES, D. ROOS, op. cit., 54: «Special repairmen repair tools.
Housekeepers periodically cleaned the work area. Special inspectors checked quality, and defective work, once discovered, was rectified in a rework area after the end of the line. A final category of worker, the utility man, completed the division of labor. Since even high wages were unable to prevent double-digit absenteeism in the most mass-production as-sembly plants, companies needed a large group of utility workers on hand to fill in for those employees who didn’t show up each morning».
(21) Ivi, 56.
(22) Sul tema si veda R.J.SCHONBERGER, Japanese Manufacturing Techniques. Nine Hidden
Les-sons in Simplicity, Free Press, 1982.
(23) Si calcola che un lavoratore Toyota negli anni Ottanta svolgesse nell’arco di una
Capitolo II – La crisi del fordismo e il post-fordismo come tentativo di nuovo paradigma
mente al team e non a revisori esterni come accadeva nel modello taylorista. Si otterrebbe quindi una riduzione della distanza tra lavoro manuale e intel-lettuale, si pensi al ruolo che tutti i lavoratori hanno all’interno della logica manageriale della total quality, in cui le operazioni ordinarie del controllo qualità vengono delegate direttamente ai team e non a dipartimenti specifici (24). Monden (25) ha mostrato, tra gli altri, come il controllo qualità diretta-mente nelle responsabilità dei lavoratori sia più efficace di quello eseguito da ispettori esterni, con un conseguente risparmio di tempo.
Il lavoro in team introduce anche il concetto di learning-by-doing (26) in virtù sia della rotazione delle mansioni internamente al team che della rotazione dei team stessi all’interno della fabbrica. Questo meccanismo genererebbe un flusso di informazioni costante tale da consentire ai lavoratori una cono-scenza generale della complessità dei diversi aspetti della produzione che aumenterebbe la capacità di problem solving in situazioni impreviste (27). I di-versi gradi di anzianità all’interno del team dovrebbero, in una logica di ap-prendimento reciproco e di collaborazione, permettere il trasferimento di competenze.
Ciò è all’origine anche dei quality circles e il sistema che si viene a creare, quindi, è tale per cui «i lavoratori possono dispiegare in pieno le loro capaci-tà attraverso la partecipazione attiva nella guida e nel miglioramento delle loro postazioni di lavoro» (28).
(24) Ibidem: «This allows Japanese quality control departments to focus on non routine
as-pects of quality control, such as advanced statistical measurement or even work redesign».
(25) Y.MONDEN, Toyota Production System. Practical Approach to Production Management,
Indus-trial Engineering and Management Press, 1983, citato inM.KENNEY, R.FLORIDA, op. cit.,
125.
(26) Coniato da K.KOIKE, Skill Formation Systems in the U.S. and Japan. A comparative Study, in
M.AOKI (a cura di), The Economic Analysis of the Japanese Firm, North-Holland, 1984, 47-75.
Cfr. sul tema anche M. AOKI, The Japanese Firm in Transition, CEPR, 1985; K. IMAI, I.
NONAKA, H.TAKEUCHI, Managing the New Product Development Process: How Japanese
Compa-nies Learn and Unlearn, Institute of Business Research Discussion Paper, 1984, n. 118.
(27) Cfr. M.KENNEY, R.FLORIDA, op. cit., 133: «The rotation scheme extends to the entire
plant. Workers sequentially master the complexities of different tasks and grasp the inter-connectedness among them. By breaking down the communication barriers among work groups, rotation enhances the flow of information between workers and across functional units. Rotation generates a storehouse of knowledge applicable to a variety of work situa-tions and enhances problem-solving capabilities at the enterprise level». Cfr. anche M.
AOKI, The Japanese Firm in Transition, cit.; K.IMAI, I.NONAKA, H.TAKEUCHI, op. cit.
(28) Cfr. Y.SUGIMORI, K.KUSUNOKI, F.CHO, S. UCHIKAWA, Toyota production system and
Kanban system Materialization of just-in-time and respect-for-human system, in International Journal of Production Research, 1977, vol. 15, n. 6, 553.
Il modello giapponese si fonderebbe, dunque, sul riconoscimento che l’unica modalità di accrescere l’efficienza produttiva sia quella di lasciare più spazio al lavoratore e in questo
il sistema Toyota ha messo a punto una combinazione del job design tale da assicurare i benefici della cooperazione e del design tecnologico del processo produttivo massimizzando i vantaggi della divisione del lavoro, ottenendo un miglioramento della capacità produttiva individuale e collettiva rendendo ogni lavoratore polifunzionale» (29).
In questo senso gli autori che hanno teorizzato il post-fordismo
lo contrappongono [il toyotismo] con il fordismo, caratterizzato da rigidità, una assenza di flessibilità considerata come radicata nei suoi metodi di pro-duzione di massa, con tecnologie dedicate orientate verso prodotti standar-dizzati e associato con la divisione del lavoro e la limitata specificazione dei compiti propria del taylorismo (30).
Il dato storico ed economico, d’altra parte, porterebbe in realtà a sconfessa-re un legame automatico tra toyotismo e superamento della produzione di massa, con tutto quello che essa incarna. Il nuovo metodo, infatti, oltre a svilupparsi in una fase storica (gli anni Cinquanta) in cui essa era tutt’altro che in crisi su scala internazionale, si è sviluppato esattamente per far sì che la produzione su larga scala fosse sostenibile anche in condizioni economi-che non eccellenti. Si tratterebbe più semplicemente quindi di un modo di-verso di intendere la produzione di massa (31), non più basato su enormi stock di prodotti ma su piccoli lotti (32).
Questo spiegherebbe anche perché il modello della lean manufacturing faccia il suo ingresso sul suolo americano a partire dagli anni Ottanta, ossia in un momento in cui vi era parallelamente una tendenza espansiva delle case
(29) Ibidem.
(30) S.WOOD, op. cit., 536.
(31) Cfr. W.FUJIOKA, The Rise of the Micromasses, in Japan Echo, 1986, vol. 13, n. 1, 31-38.
(32) Su questo sicuramente incide la struttura delle dinamiche di consumo giapponesi,
diver-sa da quella occidentale. Cfr. M.KENNEY, R.FLORIDA, op. cit., 147: «The Japanese
con-sumption bundle is increasingly oriented to information and electronics-based goods, de-sign-lifestyle products, and consumer services as opposed to the high levels of housing and consumer durable consumption of U.S. fordism. Japanese consumption is also disaggregat-ed and flexible. Wakao Fujioka refers to this in terms of the concept of ‘micromasses’: rela-tively small social groupings with unique but internally uniform purchasing patterns. The emergence of differentiated markets in Japan is facilitated by the flexibility of postfordist manufacturing, which can quickly reorganize production, discontinue weak products, and meet expanding market opportunities».
Capitolo II – La crisi del fordismo e il post-fordismo come tentativo di nuovo paradigma
tomobilistiche giapponesi ma soprattutto una forte esigenza di flessibilità nella produzione dettata dallo scenario economico internazionale che ab-biamo illustrato in apertura di questo capitolo.