• Non ci sono risultati.

La crisi delle relazioni industriali

Nel documento La nuova grande trasformazione (pagine 137-142)

3. Le relazioni industriali ad un bivio

3.2. La crisi delle relazioni industriali

La crisi del fordismo è coincisa anche, a giudizio della maggior parte dei cri-tici, con la crisi del modello di relazioni industriali che lo caratterizzava. Per cogliere gli elementi che hanno originato tale crisi è utile iniziare analizzando alcune caratteristiche del mercato del lavoro all’interno del quale i sindacati operavano in linea con molti degli aspetti analizzati nei paragrafi precedenti. Streeck ha individuato alcune tendenze che hanno indebolito il sindacato così come l’abbiamo conosciuto nel dopoguerra post-fordista (101):

1) la crescita di una forte polarizzazione tra gli insiders, ossia coloro che possiedono una formazione specifica e quindi un impiego sicuro, ben re-munerato e protetto dalla contrattazione collettiva, e gli outsiders, che non hanno né un impiego regolare né la tutela del contratto collettivo (102); 2) la tendenza ad utilizzare i contratti a tempo indeterminato solamente per il gruppo ristretto dei lavoratori core e lo sviluppo quindi dei mercati del lavoro esterni, grazie ad elevati tassi di turnover, piuttosto che di quelli interni (103);

3) l’aumento di forme contrattuali come il tempo determinato, il part-time, il lavoro tramite agenzia o il lavoro occasionale anche in Paesi, come gli Stati Uniti o in Europa, con una tradizione di tutele sviluppatesi nell’alveo del fordismo (104);

(101) W. STREECK, The Sociology of Labor Market and Trade Unions, in N.J. SMELSER, R.

SWEDBERG (a cura di), The Handbook of Economic Sociology, Princeton University Press, 2005,

254-283.

(102) Per un approfondimento di tale dinamica si veda A.S.ALDERSON, F.NIELSEN,

Global-ization and the Great U-Turn: Income Inequality Trends in 16 OECD Countries, in American Journal of Sociology, 2002, vol. 107, n. 5, 1244-1299.

(103) Sul tema cfr. K.G. ABRAHAM, Restructuring the Employment Relationship: The Growth of

Market-Mediated Work Arrangements, in K.G.ABRAHAM, R.B.MCKERSIE (a cura di), New

De-velopments in the Labor Market. Toward a New Institutional Paradigm, MIT Press, 1990, 85-119.

(104) Cfr. W.STREECK, op. cit., 277: «In a reversal of the historical trend, there also is a

ten-dency to move from contracts of employment to contracts of work, often to evade social security taxes. Forms of atypical employment differ between countries, but their common denominator seems to be a general increase in the diversity of contractual arrangements reflecting diversity of jobs, human capital, and market conditions».

Capitolo II – La crisi del fordismo e il post-fordismo come tentativo di nuovo paradigma

4) la crescita della disoccupazione e parallelamente del lavoro irregolare a causa sia dell’immigrazione sia della crescita del costo del lavoro. A questo Hyman, riferendosi in particolare alla situazione anglo-americana (105), ag-giunge che la competizione globale che si è sviluppata nei mercati nella se-conda metà del dopoguerra ha spinto le grandi imprese multinazionali a «pensare globalmente ed ad agire localmente» (106), diminuendo il potere d’azione della contrattazione collettiva.

Queste tendenze sono generate sul fronte dell’offerta di lavoro dalla «educa-tional revolution», che a partire dagli anni Sessanta ha visto la crescita del numero di giovani con elevata formazione alla ricerca di lavoro, insieme alla crescente partecipazione della componente femminile. Parallelamente si è assistito ad un aumento dei fenomeni migratori che hanno ampliato le file dei lavoratori low-skilled alla ricerca di un impiego, spingendo al ribasso i sa-lari. Dal lato della domanda, invece, si è verificata la progressiva riduzione, a causa sia dell’impatto dell’automazione sui sistemi produttivi che dell’esternalizzazione della produzione in altri Paesi, della componente stan-dard del mercato, ossia il lavoratore maschio che sosteneva l’intera famiglia (male breadwinner) (107), che andava a comporre la quasi totalità delle fila dei sindacati. Inoltre, il passaggio di un gran numero di lavoratori dall’industria all’economia dei servizi, avrebbe fatto sì che settori in cui storicamente il sindacato era più debole si ritrovassero negli anni Ottanta ad avere il mag-gior numero di lavoratori. Anche le novità dell’organizzazione del lavoro vi-ste in precedenza, con l’arrivo anche nei sivi-stemi produttivi occidentali della

lean manufacturing, fecero sì che, in una produzione sempre più basata su

team e gruppi di lavoro, si localizzasse a livello aziendale la contrattazione e le dinamiche relative, punendo i sindacati non organizzati e lasciando spazio ad un’altra delle grandi novità delle relazioni industriali in questa fase: lo

hu-man resource hu-management (HRM). Già all’inizio degli anni Ottanta Kochan e

Cappelli (108) nel delineare la parabola della sua origine, la cui nascita pre-fordista abbiamo trattato nel precedente capitolo, notavano come si stesse assistendo ad una rinascita. Focalizzandosi sul caso americano individuano

(105) Per un panorama delle relazioni industriali in Europa negli anni Novanta, esito delle

trasformazioni di cui ci si sta occupando, si veda EUROPEAN COMMISSION, Industrial

Rela-tions in Europe 2000, European Communities, 2000.

(106) Cfr. R.HYMAN, Industrial Relations in Europe: Theory and Practice, in European Journal of

In-dustrial Relations, 1995, vol. 1, n. 1, 36.

(107) Sul tema si veda J.LEWIS, The Decline of the Male Breadwinner Model: Implications for Work

and Care, in Social Politics, 2001, vol. 8, n. 2, 152-169.

(108) Cfr. T.A.KOCHAN,P.CAPPELLI, The Transformation of Industrial Relations and the Personnel

tra cause principali: 1) l’aumento delle regolazioni sul lavoro da parte del governo; 2) l’aumento del numero di figure come manager, professionisti e tecnici poco rappresentati dalla contrattazione collettiva e spesso poco inte-ressati ad esserlo; 3) la possibilità di non-union options per i nuovi siti produtti-vi creati.

Tralasciando il primo aspetto, molto legato al panorama statunitense (109), è interessante notare come sembri essere la stessa modificazione della do-manda e dell’offerta di lavoro a generare la necessità di un più forte sviluppo del management delle risorse umane. Infatti la specializzazione di diversi settori manifatturieri, l’impatto della tecnologia e la prima diffusione di au-tomazione industriale basata sull’ICT fecero aumentare la richiesta di perso-nale tecnico e professioperso-nale dalle elevate competenze che richiedeva spesso «di fare fare investimenti corposi su singoli lavoratori difficili da sostituire» (110). La gestione di queste figure fu affidata proprio ai reparti che si occupa-vano delle risorse umane, che iniziarono a concentrarsi non unicamente su questioni sindacali ma anche direttamente sul rapporto con alcune figure professionali. Mansioni meno standardizzate e più intercambiabili

(109) Vista l’importanza che Kochan e Cappelli danno a questo aspetto vale comunque la

pena riportare ampiamente le loro riflessioni: «Perhaps the most important force for change in the personnel/industrial relations function in the period since 1960 has been the rise of government regulations in the workplace. This view is confirmed by a 1977 Confer-ence Board survey of personnel executives. Two-thirds of the 673 respondents cited gov-ernment regulations as ‘a major or primary influence for change in their company’s person-nel management over the past ten years’ […]. Dunlop estimated that between 1960 and 1975, the number of regulations administered by the U.S. Department of Labor tripled from 43 to 134. The most important of these regulations were those dealing with employ-ment discrimination. Although Title VII of the Civil Rights Act of 1964 was the basis of the employment discrimination legislation, the pressures on firms continued to increase through the 1960s and 1970s as the Equal Employment Opportunity Commission, the Of-fice of Federal Contract Compliance (responsible for enforcing Executive Order 11246 governing affirmative action requirements of government contractors), and their state-level equivalents developed regulatory and enforcement procedures. Throughout this period, consent decrees concerning discrimination and the litigation that came with them increased both in number and complexity. […] Meeting the government requirements and establish-ing programs of affirmative action required new levels of analytic sophistication. Employ-ers had to survey the requirements of their jobs, identify the relevant characteristics of their labor force and of the outside labor pool, and establish a plan for meeting both the affirma-tive action plans and their own manpower needs. Research by the firm focused on rates of turnover and promotion, on recruitment procedures and success, and on forecasts of fu-ture manpower needs – information that would later be useful for manpower planning. Furthermore, these programs had to be coordinated with general business plans (e.g., pro-jected growth rates), a process that laid the foundation for the advanced forms of human resource planning currently used in many large corporations» (ivi 25 ss.).

Capitolo II – La crisi del fordismo e il post-fordismo come tentativo di nuovo paradigma

vano l’importanza delle performance individuali, spostando l’approccio della gestione del personale da uno sguardo collettivo ad uno più individuale, che spesso non necessitava della mediazione dei rappresentanti dei lavoratori ma poteva essere governato unilateralmente nel rapporto impresa-lavoratore (111). Questo fece sì che più che di esperti di relazioni industriali le imprese fossero alla ricerca di psicologi e studiosi di organizational behaviour. La ge-stione di una forza lavoro complessa e non più uniforme sembra quindi es-sere stata una delle cause principali della nascita dell’HRM contemporaneo, come ricorda Janger, generata dalla «combinazione risultante di prospettive di gruppo, obiettivi ed anche aspettative. Gestire la diversità – specialmente la diversità tra le persone – rende la gestione del personale significativamen-te più complessa e più importansignificativamen-te» (112).

Ulteriore aspetto da prendere in considerazione è stata la tendenza delle im-prese, in particolare negli Stati Uniti, ad inserire tra le proprie priorità quella di evitare la sindacalizzazione dei nuovi siti produttivi. La conseguenza fu che soprattutto le imprese di nuova generazione non prevedessero la pre-senza del sindacato, che andava quindi a ridursi, fatto che spingeva le impre-se stesimpre-se a considerare come possibile il farne a meno impre-senza rischiare di ge-nerare conflitti costosi e lunghi come accadeva negli anni Quaranta e Cin-quanta. Un circolo vizioso che fece sì che il declino del sindacato lasciasse spazio a nuove modalità di gestione delle relazioni tra lavoratori e management dando vita ai moderni dipartimenti di risorse umane che si oc-cupano solitamente in modo congiunto sia di relazioni industriali/sindacali che di HRM. Si verificò quindi il passaggio da una attenzione concentrata sui diritti e le tutele collettive dei lavoratori a quella sulla valorizzazione e sull’investimento sul proprio capitale umano. L’indebolimento del sindacato ebbe anche ragioni sia di ordine economico che politico. Le prime sono da ritrovare nella volatilità e nella elevata fluttuazione dei mercati a partire dalla seconda metà degli anni Settanta, che fece sì che la minaccia di scioperi che potessero bloccare interamente la produzione era più grave che in passato. Avere quindi alcuni stabilimenti non sindacalizzati era per le imprese una modalità di tutela di fronte al rischio di un cedimento del loro sistema

(111) Ivi, 32: «Because performance in these new jobs was more dependent on the individual

worker, the previous systems of personnel administration based on a collective approach became less appropriate. Positions became more difficult to supervise and performance standards more difficult to establish as individual employee ability and motivation became more crucial to performance. A more useful approach to personnel was one oriented to-ward the interests and concerns of workers as individuals».

(112) A.R. JANGER, The Personnel Function: Changing Objectives and Organization, Conference

duttivo. A ciò si aggiunga che lo sviluppo tecnologico fece sì che alcune o-perazioni potessero essere mantenute in essere dal solo supervisore in caso di scioperi, e che la volatilità permise che la produzione non dovesse essere sempre mantenuta al livello massimo nella logica del just-in-case, con un con-seguente indebolimento dell’efficacia degli scioperi che potevano danneggia-re meno le impdanneggia-rese più avanzate ed esposte ai mercati. In entrambi i casi quindi il risultato era che «i benefici propri di un sistema stabile delle rela-zioni industriali non fossero più forti come in passato» (113).

In ultimo si può riscontrare una ragione economica riguardante i costi an-nessi ad un sistema di relazioni industriali come quello fordista, i quali non furono più scaricabili sui consumatori a fronte dell’aumento della competi-tività internazionale. Questo portò, dove la produzione veniva mantenuta all’interno dei Paesi occidentali, allo sviluppo di una attenzione maggiore sul fronte dei costi. In ultimo Farber (114) ha calcolato che circa il 40% delle cause che generarono il declino del sindacato negli Stati Uniti tra il 1955 e il 1978 è da imputare, come già sostenuto da Streeck, a novità intervenute nel mercato del lavoro quali il passaggio di lavoratori da blue collar a white collar, il trasferimento dal settore manifatturiero a quello dei servizi o la mobilità ge-ografica dal nord al sud del Paese; in tutti e tre i casi si assisterebbe allo svuotamento di un ambito storicamente più sindacalizzato a vantaggio di uno in cui le rappresentanze dei lavoratori sono meno diffuse. Questi fattori insieme ad altri sono alla base anche, come mostrano Kochan, Katz e McKersie (115), della nascita di un numero sempre maggiore di imprese nelle quali il sindacato non è presente. A questo panorama si aggiunge il fatto che, come nota tra gli altri Hyman (116), l’occupazione si è spostata sempre più verso settori economici distanti da quelli in cui il sindacato aveva negli anni consolidato la propria forza di rappresentanza: si pensi all’industria mi-neraria, manifatturiera o dei trasporti. Se la crisi del fordismo si è accompa-gnata quindi ad una crisi del modello di relazioni industriali corrispondente, il nuovo scenario che si è venuto a delineare, caratterizzato da complessità e disomogeneità, non ha consentito una riorganizzazione complessiva dei si-stemi di relazioni industriali, fatte salve alcune parti d’Europa che hanno re-sistito mantenendo alti livelli di sindacalizzazione (seppur ovunque in calo).

(113) T.A.KOCHAN,P.CAPPELLI, op. cit., 33.

(114) H.S.FARBER, Right-to-Work Laws and the Extent of Unionization, in Journal of Labor

Eco-nomics, 1984, vol. 2, n. 3.

(115) Cfr. T.A.KOCHAN, H.C.KATZ, R.B.MCKERSIE, The Transformation of American Labour

Relations, ILR Press, 1986.

Capitolo II – La crisi del fordismo e il post-fordismo come tentativo di nuovo paradigma

Nel documento La nuova grande trasformazione (pagine 137-142)