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168 3.7.1 Fotografia e danza

3.7.2 Cinema, video e danza

Tutte le rivoluzioni tecniche, come già ampiamente discusso, determinano delle fratture nella storia dell’arte e nelle forme dell’esperienza. Il cinema per molti studiosi è una di queste fratture e una delle più nette410. Il cinematografo era un sostituto della visione umana (Bergson afferma che «il meccanismo della nostra conoscenza usuale è di natura cinematografica»411) che si prendeva gioco non solo del tempo, ma anche delle distanze e delle dimensioni dello spazio reale. Il cinema è una nuova energia capace di veicolare il nostro sguardo anche se non ci si muove412.

Nodo centrale il movimento, comune al cinema, alla danza, ma anche alla foto, come poc’anzi analizzato, anche se ognuno approccia la questione in modo differente.

Il cinema è indubbio che sia figlio della fotografia, tuttavia mentre nella foto qualcosa si è posto dinanzi all’obiettivo ed è rimasto per sempre, nel cinema qualcosa è passato davanti alla macchina/obiettivo, ma la posa viene travolta e

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Numerose le mostre fotografiche che hanno per oggetto il rapporto tra la fotografia e la danza, come ad esempio la mostra video fotografica tenutasi dal 21.12.2011 – 31.01. 2012 a Roma presso l’Opificio Telecom intitolata Il Tempo danzato. Il percorso fotografico era a cura di Piero Tauro, mentre quello video era a cura di Anna Lea Antolini, cfr.. http://romaeuropa.net/opificio/tempo- danzato-2/ o più recentemente (12 novembre 2014) sempre presso la Fondazione Romaeuropa la mostra: DNA pictures a cura di Samantha Marenzi.

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BENJAMIN W., Aura e choc, op.cit., p. 215.

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BERGSON H., L’evoluzione creatrice, (1907), Paris, PUF, 1991, p. 753.

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negata dal continuo susseguirsi di immagini413. Quando l’immagine si anima e diventa cinema si altera quello che Roland Barthes definisce noema della fotografia.

La danza e il cinema dunque si occupano entrambi della creazione di immagini in movimento, ma in maniera competitiva: arte fatta dall’uomo, contro arte fatta dalla macchina. La danza risulta essere come un’interrogazione del cinema, come un pretesto all’esplorazione della sua ricchezza414. Questo stretto rapporto di parentela è

avvalorato dal fatto che proprio una danzatrice, Loïe Fuller, è stata definita da alcuni studiosi “una pioniera del cinema”. Il suo lavoro era di natura cinematografica, poiché la danza in scena veniva presentata tramite l’utilizzo della tecnologia, applicando un metodo di composizione coreografica: «fragmentación multiperspectivista del cuerpo en movimento»415.

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BARTHES R., La camera chiara. Note sulla fotografia, Torino, Einaudi, 2003, p. 79. Per le differenze e analogie tra cinema e fotografia si veda anche: DI MARINO B., Pose in movimento: fotografia e cinema, Torino, Bollati Boringhieri, 2009.

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BAERT X., Corp(u)s sauvage, op. cit., pp. 101-111. Interessante come uno dei primi film di danza della storia del cinema fu la Danza greca di Georges Demenÿ che rompe con l’idea di sequenza e sviluppa una struttura ripetitiva e ripetibile all’infinito (cronofotografia), ivi, p.102. I punti in comune tra danza e cinema sono numerosi a partire dalle reazioni cinestetiche, «L’essenza della danza teatrale è la sua miracolosa capacità illusionistica, la poesia della sua natura evocativa, la sua distanza reale e allusiva. La danza in scena provoca una reazione cinestetica. Questo è l’essenziale.», SORELL W., Storia della danza, op. cit., p. 434.

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PINEDA PÉREZ J. B., La danza y la transición del cine primitivo al cine clásico, p. 8 (atti del convegno mondiale CID 27/06-01/07/2012, San Marino) https://docs.google.com/document/d/19aPx4VrzB_jrmI0CN5CpdiLW4oe6gRb4vP89ou297Bo/edit «Centrándonos en el ámbito de la danza destacaremos el trabajo de la bailarina lumínico-cinética Loïe Fuller que aunque habiendo sido enmarcado en un contexto precinético, la obra de esta artista multidisciplinar se caracteriza fundamentalmente por su labor exclusivamente cinematográfica en cuanto a la representación de la danza sobre la escena mediante el uso de la tecnología aplicando el método de composición coreográfico: fragmentación multiperspectivista del cuerpo en movimento» (ibidem). Certamente poi la danza come arte affascinava il cinema delle origini perché le macchine da presa erano fisse e c'era bisogno che il soggetto si muovesse.

Sulla Fuller e il cinema si veda anche: LISTA G., Loïe Fuller et le cinéma, in THOMAS V. - PERRIN J. (a cura di), Loïe Fuller danseuse de l’Art Nouveau, catalogo della mostra Nancy, Musée des Beaux- Arts, 17 maggio-19 agosto 2002, Paris, éd. De la Réunion des Musées Nationaux, 2002.

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Altra pioniera nel nuovo rapporto cinema - danza è la regista Maya Deren (1917-1961), che intorno agli anni quaranta si interessò in modo particolare alla danza e qualcuno addirittura sostenne che avesse inventato un’arte a sé stante che legava coreografia e cinema.

Il rapporto tra danza e cinema può essere dunque considerato di amore e odio, di linee di convergenza e di fuga. Scrive Xavier Baert: «Quasi contemporains quant à leur acte de naissance, le cinéma et la danse entretiennent une relation de miroir à la fois étrange et, sourdement, divergente. L’une refuse de se fondre entièrement dans l’effet de puissance et de fascination que l’autre déploie à une échelle réellement planétaire. L’autre éprouve cette résistance: on ne filmera jamais le délié d’une danse, on ne la saisira et cadrera que partiellement. Dialogue dissymétrique, en ce sens passionnant, ces deux arts ne peuvent se ceinturer: le cinéma doit accepter de manquer une prise, la danse doit accepter de voir filer le tracé de ses mouvements sans qu’une image la condense toute»416.

Sophie Grappin si interroga su come approcciare il discorso di due medium così prossimi come la danza e il cinema e si pone l’interrogativo della differenza tra la danza fruita dal vivo e quella filmata. La questione è che in un film di danza rimane la traccia di un gesto dove risuonerebbe ancora, a vuoto, la presenza del corpo417. Queste e molte altre questioni sono state dibattute in seno all’iniziativa Danse et cinéma418 realizzata al CND Pantin – Paris. Qui era prevista una installazione videografica "Filmer la danse", che ha avuto luogo dal 9 gennaio - 29 marzo 2013 (curata da Stéphane Bouquet). Il tutto era finalizzato ad esplorare come i cineasti vedessero la danza ed indagare il rapporto di scambio tra danza e cinema nel Novecento. Ciò dimostra come sia attuale e vivo l’interesse su questo rapporto, che diviene sempre più sofisticato anche grazie alle nuove tecnologie che irrompono nel cinema.

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BAERT X., Corp(u)s sauvage, op. cit., p. 110.

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GRAPPIN-SCHMITT S., Nos archives Physiologiques, in DOBBELS D. - BOUQUET S. (a cura di), Danse / Cinéma, op. cit., pp. 47-48.

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Relazionata a questo evento è la pubblicazione del testo: DOBBELS D. – BOUQUET S. (a cura di), Danse / Cinéma, op. cit.

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Cinema che ha sempre più punti in comune con il video, difatti numerosi discorsi che andremo ad affrontare per quest’ultimo, in realtà valgono per entrambi.

La differenza maggiore tra cinema e video risiedeva negli strumenti, nel concepimento dell’inquadratura anche in relazione al mezzo finale di fruizione, ossia il piccolo schermo o il grande schermo. Altro elemento di diversità è la progettazione, in quanto nel cinema è molto più articolata e vede come aspetto centrale il montaggio, dove fondamentale, anche in questo caso, è il ritmo con cui si susseguono le immagini. Oggi molte di queste differenze si vanno appianando. Ci sono film girati con una semplice videocamera, video sempre più complessi.

Ma cosa si intende per video? Le accezioni principali sono 3: video inteso come televisione, video come registrazione in generale, video come informazione elettronica rappresentante immagini / strumento di interazione tra computer e essere umano (dunque rientrerebbe in parte in questa categoria anche il cinema di oggi, che è spesso scisso dalla pellicola, che ne costituiva il simbolo, e fa sempre più uso di effetti speciali e computer grafica; si parla non a caso di cinema digitale con costi e tempi minori e molte più possibilità di post produzione). Qualunque sia l’accezione che vogliamo attribuire al video, rimane indubbio che sia uno dei mezzi migliori per documentare la danza. Ciò comporta una crescita di archivi appositi e l’aumento della produzione dei video stessi.

Un iniziale aspetto su cui occorre riflettere è il problema dell’obsolescenza tecnologica, che porta a valutare con attenzione il medium con cui si può accedere alla fonte/video, e quindi il più ampio discorso della digitalizzazione di un materiale in continua crescita ed evoluzione, che può trovare un valido alleato nel web (argomento su cui torneremo più avanti)419. Prima di ciò però occorre soffermarsi su come il video possa modificare indirettamente il suo oggetto, in questo caso la danza. Per quanto infatti esso si limiti a riprodurre ciò che è stato filmato, entrano in gioco degli elementi di soggettività, quali ad esempio la finalità per cui è stato

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Ciò ci interessa in particolare per il disocrso che andremo a fare più avanti sugli archivi (cap. 4) che oggi si trovano impegnatoi soprattutto nella conversione al digitale del loro materiale, ma anche di un parallelo salvataggio on line a causa del rischio dell’obsolescenza tecnologica.

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realizzato il video, il punto di vista di colui che effettua la ripresa ed eventualmente la regia420.

Partendo dalla prima questione vediamo come un video possa essere fatto per più scopi. Può infatti servire come documentazione per ricostruire una danza, come semplice video per rivivere/rivedere un determinato spettacolo, come aiuto e “occhio esterno” del danzatore che può osservarsi nella sua esecuzione e comprendere meglio il suo movimento, come maestro virtuale costruendo delle lezioni apposite per essere riprese, ecc… In tutti questi casi cambia nettamente l’approccio alla danza perché sostanzialmente variano due parametri: lo sguardo e il tempo. In parte nel primo capitolo si è affrontata la questione dello sguardo, premessa necessaria per capire diversi aspetti della danza, tra cui appunto le differenti sensazioni che possono aversi qualora cambi la tipologia di fruizione della danza stessa. Con il video infatti entrano in gioco altri sguardi. Con ciò si intende principalmente una diversa visione della scena, in quanto si è limitati a ciò che è stato inquadrato, nonostante una ripresa ci permetta spesso di abbracciare visivamente un campo di azione maggiore e fornirci punti di vista impensabili da realizzare se non tramite un video (riprese dall’alto o da altri punti di vista che non siano quelli usuali del pubblico, focalizzazione di un particolare, ecc.). Viene meno la scelta, o sarebbe meglio dire che si “subisce” la scelta. Siamo obbligati a vedere ciò che ha deciso di inquadrare colui che effettua la ripresa, ma l’altra grande scelta che viene meno è quella di andare a vedere lo spettacolo in un determinato luogo e momento, senza mettere pause e ritornare indietro. Entra dunque in gioco il tempo. Mentre in teatro noi sperimentiamo il movimento nel momento in cui lo sperimenta il danzatore, nella danza filmata la nostra esperienza è quella della macchina da presa421.

Il fattore tempo diventa dunque centrale; il video, qualora intendessimo la televisione, può godere del tempo reale, si può avere una diretta, quindi una ripresa in simultanea, e può essere duplicato potenzialmente all’infinito. Tutto ciò comporta

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Sula questione del punto di vista, le implicazioni corporali e le differenze tra cinema e video si rimanda a: SENALDI M., Doppio sguardo. Cinema e arte contemporanea, Milano, Bompiani, 2008.

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che il vissuto sia totalmente diverso, in tutti i sensi “schermato”. Con il video, qualunque sia il suo utilizzo, c’è una perdita di emozione, poiché non contiene l’essenza di un’opera, così come un disco non può contenere quella di una partizione musicale422. La perdita emozionale può essere considerata sotto vari punti di vista in base all’utilizzo che si fa del video. Nel caso ad esempio della ricostruzione di una coreografia, come osservato da Dominique Dupuy, quando il danzatore è in sala prove e deve ricordarla è inondato da turbamenti, si viene a trovare tra lo sperduto e l’angoscia dell’effimero che si può essere perso; emozioni queste che svaniscono con il video423.

Parimenti se si danza solo per creare un video, si perde tanto dell’energia della spontaneità, perché manca il pubblico, c’è la freddezza dello schermo e della possibilità di rimediare all'errore potendosi rigirare la scena, in altri termini si ha un’ansia da prestazione diversa. Spesso c’è un nuovo montaggio audio, quindi tutti i rapporti con la simultaneità emozionale con i vari elementi che compongono la danza vengono meno.

Altra perdita “emozionale” che può implicare il video è il fondamentale rapporto con il maestro. A tal proposito è lecito richiamare il pensiero giapponese che vieta addirittura l’utilizzo degli specchi, tanto è il rispetto e l’importanza che si dà alla trasmissione da corpo a corpo, cuore a cuore424.

Questo ci fa comprendere come in un discorso conservativo occorre bilanciare correttamente i vari metodi che si hanno a disposizione, altrimenti ci si imbatte in gravi errori, come sostenuto ad esempio anche da Hachimura Kȱzaburo riguardo alla motion capture usata come forma di conservazione della danza e dei beni culturali

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LOUPPE L., La Poétique, 2004, op. cit., p. 346.

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Cfr. DUPUY D., Danzare oltre, op. cit., p. 69; interessanti anche le osservazioni sulla captazione del movimento con il video, che in qualche modo però rischiano di rimpiazzare la degustazione con la consumazione, ivi, p. 99.

424

DOGANIS B., La tradizione orale come incorporazione e (re)incorporazione nelle arti corporee giapponesi, in FRANCO S. – NORDERA M. (a cura di), RicorDANZE, op. cit., pp. 100-101.

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immaterialiin generale425. È pensiero comune, riguardo alla conservazione di questi ultimi, che non sia sufficiente conservare i supporti audiovisivi che li contengono, «ma occorre esercitare una sistematica protezione critica, un’allargata e condivisa promozione basata sulla ricerca e su forme inedite di tutela, dinamiche e non statiche»426. Una tutela del supporto non equivale a una tutela del patrimonio immateriale, si parla, non a caso, di tutela riflessa, poiché la tutela si estende dal supporto all’espressione culturale immateriale427

. Tutto ciò comporta i rischi del caso come un “congelamento” o riduzione del tutto a una “fotografia dell’esistente” impedendone così la naturale evoluzione.

Potremmo forse affermare che il video documentazione, lasciato muto, a livello estetico emozionale sia come i falsi d’arte? In fondo, pensandoci bene, si tratta di una copia...428 Sicuramente, come accade anche per tanti altri casi, come ad esempio alcune espressioni dell’arte contemporanea, se non ci fossero state riprese video molte “opere” sarebbero andate perdute e magari non se ne avrebbe avuta alcuna testimonianza.

Il campo del contemporaneo permette di introdurre un altro argomento pertinente che è quello della video arte che occorre mettere in parallelo con la video danza429. È naturale infatti che dal rapporto danza video possa nascere una

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HACHIMURA K., Archivage numérique du patrimoine culturel immatériel, in Japon Pluriel 6. Actes du sixième colloque de la Société Française des études Japonaises, Arles, Picquier, 2006, p. 114.

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TUCCI R., Fonti orali e beni culturali demoetnoantropologici immateriali: la catalogazione mediante la scheda BDI dell’ICCD, (Seminario: Fonti orali. Esperienze di conservazione, integrazione, trattamento, Genova 24-26 ottobre 2007), in “Il mondo degli archivi on- line”, n. 1- 2/2008.

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Cfr. D’ELIA G., La tutela, op. cit., p. 25.

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Sulla questione del falso o delle copie numerose sono le riflessioni, si veda BRANDI C., Il Restauro, op. cit., pp. 234 e ss., ma anche il testo: JEUDY H. P., La machinerie patrimoniale, op. cit., pp. 110 e ss. dove si parla di un museo del falso in Giappone, oppure della copia della grotta di Lascaux che ormai viene considerata l’originale. Questo tema si impone con forza nell’epoca della riproducibilità tecnica.

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evoluzione, che è quella di concepire la danza (o anche una lezione di danza) per il video o andare oltre, come nei numerosi esempi che ci sono stati finora, dove tra l’altro è difficile stabilire cosa è danza, cosa arte, video o performance. Proprio a sottolineare queste possibili differenze di funzioni, nella lingua inglese esistono diverse sfumature terminologiche per indicare la video danza: videodance, screendance, film dance, ecc. che possono sembrare sinonimi, ma in realtà vanno a evidenziare tutte le diverse accezioni per cui è creato un video in rapporto alla danza.

Per la domanda poi se la videodanza sia arte, le risposte si complicano, il video diventa spazio per la performance o l’arte processuale), forma di conservazione o arte a se stante.

Oggi l’utilizzo del video nella danza sembra quasi indispensabile. Oltre a creare una nuova possibile forma d’arte è il mezzo tramite cui alcuni coreografi hanno avuto la possibilità di conservare il loro lavoro, ma anche farsi conoscere all’estero, così come direttori di Festival e produttori possono vedere, in modo molto più semplice, se il prodotto che gli si propone è di loro interesse. È dunque consequenziale che, a fronte di una così vasta produzione di video, ci si debba interrogare anche su problematiche legate alla conservazione dei supporti stessi, che vivono un’evoluzione rapidissima, e quindi sull’obsolescenza tecnologica. Generalmente il supporto che oggi si deve conservare in questi casi è il dvd (sul quale si registra il file digitale), prima era la videocassetta e ancora prima i vari formati di pellicole che si sono succedute, ma anche i supporti si stanno smaterializzando perché sempre più spesso questi documenti possono essere conservati in file di vari “formati”.

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IV