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Conservare l’immateriale: problematiche contemporanee

Conservazione tra materia e immaterialità

3.1 Conservare l’immateriale: problematiche contemporanee

La necessità di mantenere viva l’opera e quindi la memoria, come già affrontato nel primo e secondo capitolo, è insita nell’uomo e si espleta con un intento conservativo. Questo è rivolto soprattutto verso il patrimonio artistico poiché esso «è il luogo della continuità inserito nello spazio della frammentazione; è il ricordo reso permanente, il ‘passato che non passa’ e che sostiene il nostro presente e la sua crescita»253.

Avere una cura particolare per la memoria veterum, significa avere una cura per le nostre stesse radici254. Radici che risiedono non solo nei monumenti o nelle opere materiali, ma anche nelle tradizioni che, come richiama la parola stessa, sono costituite da elementi tramandati. In questi casi è lecito nutrire dei dubbi su cosa debba essere tutelato: il risultato ultimo o il savoir- faire?255.

La risposta non potrà essere univoca e sicuramente sarà piena di insidie. E questo è solo uno dei tanti interrogativi che nascono approcciando un aspetto della questione della conservazione dell’immateriale, che sembra per sua natura sfuggire a qualsiasi ipotesi conservativa a causa dell’assenza di materia.

Arte immateriale è anche la danza, così come molta dell’arte contemporanea, con la quale frequentemente attua delle collaborazioni e con cui ha molti punti in comune, tant’è che fra gli aggettivi che si utilizzano più spesso per descriverne le caratteristiche essenziali, si notano strette coincidenze: immateriale256, fluida, effimera.

253

CARBONI M., Cesare Brandi, op. cit., p. 147.

254

Ivi, pp. 147-148.

255

Interessante come in un colloque tenutosi in Francia il 18 e 19 maggio 2012 a Clermont-Ferrand, dagli studenti del Master Ethnomusicologie et Anthropologie de la danse - UFR STAPS - Université Blaise Pascal colloque su “Le Patrimoine Immatériel en Danse”, l’argomento di una tavola rotonda del 18 maggio fosse: “Le patrimoine: sauvegarde de l’art ou du savoir-faire ?”, cfr. http://www.letransfo.fr/Acces-directs/Archives/Danse/Colloque-Le-Patrimoine-Immateriel-en-Danse

256

A proposito della parola immateriale legata all’arte contemporanea è da ricordare la mostra intitolata Les Immatériaux organizzata al Centre Pompidou (specificamente al Centre de Création

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L’arte contemporanea è infatti sempre più smaterializzata e soggetta a quella che viene definita “modernità liquidatrice”257

, modernità che liquida non solo il passato, ma anche le sue proprie opere. Accade spesso che vengano create delle opere che volutamente non sono destinate a durare. In questi casi gli interrogativi se continuare a conservare, sostituire l’elemento deperibile, ecc. si susseguono vorticosamente258.

Se, secondo Cesare Brandi, l’opera contiene già in sé il proprio restauro, nel caso delle opere d’arte contemporanea, spesso in loro è contenuta la propria fine, la propria autodistruzione, o comunque il proprio mutamento (si pensi, solo a titolo di esempio fra i numerosi che potrebbero darsi, ai fumi di Bill Viola o ai lavori creati con prodotti alimentari o vegetali che deperiscono). Se ogni opera è figlia ed espressione del suo tempo, in questa epoca attuale dove tutto viene travolto, tutto cambia senza produrre rovine, l’arte non ha altra scappatoia se non quella di volatilizzarsi, rendersi invisibile, incomprensibile259. Le opere quindi possono non

industrielle) dal 28 marzo al 15 luglio 1985, curata da Jean François Lyotard e Thierry Chaput. Successivamente questa mostra fu identificata come l’inaugurazione del Post-Modern. Fu un’importante pietra miliare nella storia della relazione fra arte e tecnologie. Originariamente era intitolata “Matériaux Nouveaux et Création”, ma fu totalmente riorganizzata con l’arrivo del filosofo J. F. Lyotard che voleva dimostrare l’emergenza dei nuovi materiali; cfr. http://www.centrepompidou.fr/cpv/resource/cRyd8q/r6rM4jx

257

Questa espressione è usata da PERRET C., Pour un modèle non généalogique de la transmission, in FILS l’art de la transmission de la modernité, Rue Descartes, n. 30, dicembre 2000, pp. 57-72, e in generale si veda: LAUNAY I. (a cura di), Les Carnets Bagouet, Paris, ed. Les solitaires intempestifs, 2008, p. 27.

258

Numerose riflessioni sulla complessa decisione se restaurare o sostituire in tema di arte contemporanea sono fatte nella rivista: BREUIL M. H. – DAZORD C. (a cura di), Conserver l’art contemporain à l’ère de l’obsolescence technologique, in “Technè”, n. 37, maggio 2013, Paris.

259

PERRET C., Pour un modèle, op. cit., p. 57. A tal proposito ricordo che, oltre ad essere incomprensibili, spesso le opere d’arte contemporanea sono anche irriconoscibili e proprio per questo molti capisaldi alla base della teoria del restauro di Brandi potrebbero essere messi in discussione. Cadono infatti i principi di irriproducibilità, di aura, di unicità che caratterizzano le opere d’arte e spesso possono proprio essere ignorate, scambiate per altro, non riconosciute. Tuttavia

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lasciar traccia, sottolineando ancor di più l’effimero, testimoniando la precarietà di questi tempi con la loro “condanna a morte”, sintomatica di un mondo che corre, che consuma tutto, anche più di quello che serve.

Accanirsi su queste opere per mantenerle uguali nel tempo dunque è un po’ come un accanimento terapeutico; si dovrebbe riconoscere il “diritto all’eutanasia”. L’azione di tutela, in questi casi, potrebbe essere volta alla preservazione e salvaguardia del «diritto alla scomparsa dell’opera»260. Ciò non vuol dire che queste opere non debbano lasciare traccia di sé, si deve far tesoro della memoria- testimonianza del “sacrificio” e la documentazione può sopperire alla loro non conservabilità per natura. Non a caso, a proposito del problema del restauro dell’arte contemporanea, Antonio Rava afferma che: «la documentazione allora può sostituire l’opera, diventando essa stessa l’opera latente che assicura la perennità dell’opera patente, rivelata a ciascuna presentazione per un tempo più o meno lungo, a intervalli più o meno regolari, in luoghi diversi. L’operazione di raccolta di conoscenza da parte del restauratore è la garanzia di rinascita dell’effimero, teoricamente possibile all’infinito se si mantengono vivi i parametri interpretativi essenziali»261.

Potremmo pertanto affermare che questa stessa dissertazione sia, in un certo qual modo, una prima forma di conservazione, o forse un “restauro preventivo”, per

si ritiene estremamente stimolante provare a capire quanto delle teorie brandiane sia applicabile a questi casi particolari, in quanto le medesime caratteristiche le possiamo ritrovare anche nella danza.

260

Cfr. CARBONI M., Tra memoria e oblio. Tutela e conservazione dell’arte contemporanea: l’orizzonte filosofico, introduzione a: MARTORE P. (a cura di), Tra memoria e oblio. Percorsi nella conservazione dell’arte contemporanea, Roma, Castelvecchi, 2014, p. 19. Poiché spesso accade che gli artisti di queste opere siano in vita, dunque interpellabili, viene da ipotizzare la possibilità di una sorta di “testamento biologico” dell’artista nei confronti della sua creatura - opera d’arte, ma su questo argomento si apre una profonda discussione in parte affrontata nel libro testé citato.

261

RAVA A., Forma e memoria, la conservazione dell’arte contemporanea, in MUNDICI M.C. – RAVA A. (a cura di), Cosa cambia, op. cit., p. 150. Riguardo alla discussione/documentazione come atto di memoria cfr. anche CARBONI M., Cesare, op. cit., p. 146, e BERGSON H., Materia e memoria, op. cit.

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riprendere la riflessione di Massimo Carboni a proposito della discussione pubblica riguardante il restauro dell’arte contemporanea262

.

Documentazione finalizzata alla conservazione. Facciamo attenzione alle parole, così ricche di sfumature e accezioni, specialmente in determinate lingue. A un “danzatore - poeta”, come a giusto titolo potrei definire Dominique Dupuy, ciò non sfugge e quindi, oltre a sottolineare sempre i rischi della traduzione delle sue parole, egli riflette anche sul termine “conservazione”263.

Questo vocabolo, riferito alla danza, per Dominique Dupuy non è esatto, anzi assume una connotazione di negatività, rimandando a un’idea di inscatolato (alle conserve alimentari per intenderci). Aggiungerei anche l’idea sottesa di asservimento insita nel verbo conservare, nonostante sia un mettersi al servizio della memoria264. Dominique Dupuy preferisce parlare di preservazione, ma ritiene ancora più adatto il termine giuridico “novazione”265

. Questo lemma si riferisce ai rapporti obbligazionari, dove una nuova obbligazione, per esplicita volontà delle parti, va a sostituirsi alla prima con una nuova conformazione. Nella danza infatti, come nelle varie espressioni che hanno a che fare con l’esistenza umana, vi è un cambiamento costante e continuo, come un adattamento alla vita che, proprio in quanto viva, muta, non rimane tale e quale, immobile, ma è costantemente in- mobilità.

Caratteri di fissità, come si possono avere con la maggior parte delle forme di documentazione, non possono rendere merito né alla danza, né a tutto ciò che è immateriale, poiché vi è una carica di vitalità che necessita di un qualcosa di attivo. Ecco perché, ancor prima del documentare, occorre il tramandare, parola che invece

262

CARBONI M., Tra memoria e oblio, op. cit., p. 24.

263

Un’interessante riflessione sul significato del termine “conservazione” in contrapposizione a quello di “restauro”, nella lingua italiana rispetto a quella inglese, si trova nel testo, cui si rimanda: RINALDI S., La vita breve dell’arte contemporanea, in ID. (a cura di), L’arte fuori dal museo. Problemi di conservazione dell’arte contemporanea, Roma, Gangemi, 2008, pp. 11 e ss.

264

Conservare come termine è molto vicino a quello di memoria, ed il suo primo significato è quello di mantenere intatto, ma esprime anche l’idea di “guardare con/in sé”; etimologicamente deriva da cum servire, mettersi al servizio di, cfr. JADÉ M., Patrimoine immatériel, op. cit., p. 53.

265

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ha in sé anche l’idea di movimento. Questo è un altro aspetto su cui si deve molto riflettere, perché strettamente pertinente al processo di conservazione della danza. Mentre infatti nelle opere materiali il tramandare è ridotto al conservare la materia stessa, in modo tale che le generazioni future possano godere dell’“oggetto” e avere memoria dei significati che incorpora, nel caso delle opere immateriali è messa in discussione la loro stessa vita che può rimanere viva, come accade per le tradizioni, solo se il “sapere” che le costituisce viene trasmesso (non a caso le tradizioni sono raggruppate sotto l’etichetta savoir-faire).

Come nell’arte si dice che l’opera contenga in sé il suo restauro, così per la danza si afferma che essa contenga in sé un’idea della trasmissione266

e occorre oggettivare e inventare una struttura adeguata affinché quella possa realizzarsi.

Quindi la questione per i danzatori contemporanei non è tanto di sapere cosa trasmettere di un’opera coreografica, ma prendere atto del fatto che un’opera porta già in sé la propria trasmissione. Di certo qualcosa si perderà sempre, ma si acquisterà altro. Si deve ricordare costantemente che la trasmissione prevede comunque una qualche forma di cambiamento, una “traduzione” che in qualche modo comporterà un “tradimento” (come è insito nella parola stessa tradere), tuttavia questa trasmissione/traduzione/tradimento è anche la possibilità di sopravvivenza267.

Sicuramente dobbiamo liberarci dall’idea che a essere trasmesso sia solo il risultato ultimo, l’opera coreografica. Si incorrerebbe così nello sterile meccanismo

266

LAUNAY I., Carnets Bagouet, op. cit., p. 27. Come sostiene Catherine Perret, occorre capire l’apporto dell’opera d’arte stessa alla questione della trasmissione, il rapporto che le opere d’arte hanno con la storia supposta dell’arte. PERRET C., Pour un modèle, op. cit., p. 59; si veda questo testo in generale anche per il concetto di trasmissione; questione di fondamentale importanza, poiché tramite essa l’uomo crea un’eredità e ciò è strettamente legato alla teoria della cultura.

267

Cfr. PROUST F., “Duplication, duplicité”, in La question du double, Parigi, Ecole régionale des beaux-arts du Mans, 1997, p. 56. Interessante come, rimanendo in tema, alcuni studiosi notino punti in comune tra il problema della traduzione di un testo in lingua straniera con il problema della conservazione dell’arte contemporanea (nello specifico delle installazioni) e ci si chieda se l’etica della traduzione possa essere d’aiuto in questi campi. FISKE T., White Walls: installazioni, assenza, iterazione e differenza, in MARTORE P. (a cura di), Tra memoria e oblio, op. cit., pp. 66-77.

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del repertorio o remake, cosa su cui tra l’altro non si riflette ancora abbastanza268. Ciò vale specialmente per la danza moderna, dove il valore dell’opera è soprattutto autoriale, ossia legato al creatore, come se l’opera danzata possedesse una identità inalienabile269.

Ecco di nuovo l’accento sul danzatore/creatore, uno degli elementi principe nelle problematiche conservative della danza.

L’interpretazione può cambiare molto l’opera danzata, quindi il danzatore in quanto uomo conferisce un altro “colore” all’opera, perché lui stesso è prodotto di uno specifico tempo e luogo. Quello che è certo è che in qualsiasi espressione artistica performativa entra in gioco l’uomo, non si ha la possibilità di conservare la totalità dell’opera, perché la variante impossibile da dominare è l’essere umano. Come afferma Massimo Schiavoni a proposito della danza in video, «nessun macchinario apposito può ricreare l’evento come la diretta», quello che rimane nonostante l’effemericità di questa arte «è un vedere profondo che va oltre il guardare, per pensare e cambiare in corso di evento. L’immediatezza della danza è data dal mio essere presente durante l’evento, perché ognuno di noi osserverà, assimilerà e ricorderà un’opera d’arte soggettivata»270. Dunque tutto si concentra sul

vedere/vivere che va oltre il vedere stesso.

268

LOUPPE L., Poétique, 2004, op. cit., p. 325. A tal proposito bisognerebbe capire da cosa derivi oggi la volontà di riprendere le vecchie coreografie nate dalla creatività di danzatori/autori e rifarle con nuovi interpreti; è una sperimentazione, un passaggio generazionale, o è dovuto a volte anche a scarsa creatività e mancanza di idee nuove o risponde ad una richiesta di mercato?

Nell’arte contemporanea riflessioni simili a quelle che si pongono con i remake di danza, possono essere fatte in merito al reenactment, ossia la riproposizione di performance o eventi vari, cfr. LÜTTICKEN S. - PHELAN P. et alii, Life, once more. Forms of reenactment in contemporary art, Rotterdam, Witte de With, 2005.

269

LOUPPE L., Poétique, 2004, op. cit., pp. 326 e ss. È questo il motivo per cui Laurence Louppe sostiene che non ci sono remake delle opere di danza moderna. L’opera d’arte coreografica è una invenzione, quindi è un oggetto di origine autoriale; questo ci rimanda fortemente alla questione del diritto d’autore trattata nel capitolo 2 al § 2.2.

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