• Non ci sono risultati.

Hic et nunc della danza Il tempo sospeso e lo spazio dilatato: il gioco dell’istante

Memoria dell’effimero

1.1 Hic et nunc della danza Il tempo sospeso e lo spazio dilatato: il gioco dell’istante

L’hic et nunc della danza si manifesta in un gioco di istanti che sovrappongono diversi tempi e spazi.

Potremmo ancor meglio parlare di “intuizione dell’istante”, specificando l’accezione da dare al termine intuizione, che è racchiusa nell’affermazione di Sant’Agostino: «Nella nostra mente convivono il presente del passato, che è la memoria, il presente del presente, che è l’intuizione, e il presente del futuro, che è l’attesa»25

.

Dunque intuizione, non solo come forma di sapere non spiegabile a parole - legata a doppio filo con l’etimologia latina del termine in tueor ossia “entrare dentro con lo sguardo”- ma anche come presente del presente.

Con la danza quindi ho l’intuizione di un istante, nel senso che il momento presente che vivo, che è un istante effimero irripetibile, si intreccia con il tempo della danza, che è un tempo sospeso (il tempo del futuro che si manifesta nell’attesa). Nell’attimo in cui percepisco la danza, che si concretizza in una “immagine sospesa”, scandita da un ritmo costituente (nel senso di un ritmo vitale che ne crea la forma), se ne produce la memoria, quindi l’attimo presente diventa un tempo passato.

Ma facciamo un passo indietro e cerchiamo di capire quali sono questi tempi e spazi chiamati in gioco e come si ordiscono fra loro.

25

28

Innanzitutto si deve abbandonare il concetto di tempo “lineare” scandibile nelle tre fasi, passato, presente e futuro - oramai messo in discussione dalla nostra epoca.

Già quando si parla di arte entra in gioco un altro tempo, che non è identificabile con il tempo storico. Un’opera d’arte infatti è nel presente, ma è insieme polifonia del passato che ci tramanda26. Brandi, nella Teoria del restauro, parla di tre livelli interdipendenti della temporalità dell’opera d’arte: durata, intervallo, attimo. La durata attiene alla formulazione creazione dell’opera da parte dell’artista; l’intervallo, al lasso temporale interposto tra la sua formulazione e la recezione, che avviene nella coscienza del riguardante; l’attimo, alla “fulgurazione” con cui l’opera accede alla coscienza27

.

Ecco dunque una prima relazione ternaria, che sussiste in presenza di due soggetti chiamati in causa: l’opera e lo spettatore.

Nel caso della danza abbiamo però una sorta di scissione di uno di questi due soggetti. L’opera infatti coincide con l’esecutore/danzatore, il quale è un corpo in azione in un determinato spazio, che a sua volta viene rimodellato dallo “spazio danzante”. Tutto ciò interagisce, come in ogni arte, con lo spettatore, portatore di un suo sguardo. Si assiste dunque ad una moltiplicazione - potremmo anche dire un elevamento alla potenza – e ad un intrecciamento di queste relazioni che mettono in gioco tempi e spazi diversi.

Innanzitutto la danza è un’arte e in quanto tale è portatrice delle particolari valenze legate al tempo dell’arte poc’anzi esplicitate. La danza però è fautrice di un tempo sospeso. Essa infatti è concretizzabile in un incessante susseguirsi di

26

Sull’opera d’arte come stratificazione polifonica dei tempi cfr. FOCILLON H., Vita delle forme, Torino, Einaudi, 1972.

27

BRANDI C., Teoria del restauro, Einaudi, Torino, 1963, cit. ed. 1977, p. 21; CARBONI M., Cesare Brandi. Teoria e esperienza dell’arte, Milano, Jaca book, 2004, p. 151.

29

immagini, che costituiscono «la sua plastica nel tempo»28, e la cui esteriorizzazione risiede nella definizione di ritmo29.

Quest’ultimo da alcuni viene visto come il tempo della danza. Il ritmo infatti, come sostiene Laurence Cornu, é percepito come un istante “fuori dal tempo”, un tempo “sospeso”, il tempo spensierato di tutti i giochi. È anche un tempo entro altri tempi30.

Secondo la definizione di Platone nelle Leggi (II, 664E): «Il ritmo è la denominazione dell'ordine del movimento». Poiché Aristotele definisce il tempo come la «misura del movimento», e giacché la danza è generata dal modo di muoversi - quasi a voler fare una dissertazione di fisica sul cronotopo - parlando di tempo entra in gioco anche il concetto di spazio.

Per Rudolf Laban la direzione spaziale è l’elemento più importante del movimento del corpo che è considerato il centro gravitazionale dello spazio personale, che chiama cinesfera, da distinguere dallo spazio in generale (spazio infinito). Egli arriva a codificare dodici direzioni del moto, rivoluzionando così la concezione estetica del balletto secondo cui il corpo è solo un mezzo atto a riprodurre una forma prestabilita a priori. Per chiarire tale codificazione si serve di una forma geometrica esemplificativa: l’icosaedro, che racchiude le dimensioni spaziali e permette l’analisi del movimento del corpo.

La danza simbolizza anche lo spazio del pensiero e, fra tutte le arti, è la sola che riesca a contrarre in sé lo spazio31. Questi concetti sono stati espressi anche da

28

BRANDI C., Arcadio o della Scultura Eliante o dell’Architettura, Roma, Editori riuniti, 1992, p. 71.

29

Cfr. ivi, p. 35. A tal proposito, soffermandosi sulla questione del duplice ritmo della danza, Cesare Brandi parla di “temporalizzazione dello spazio” (attraverso lo snodamento plastico) e la “spazializzazione nel ritmo” (sviluppo del tempo modellato sul ritmo della musica), ivi, p. 70-71. «L’immagine della danza è inscindibile dal ritmo temporale dello spazio, come dal ritmo spaziale del tempo: ma il ritmo spaziale del tempo non è di per sé matrice di immagini visive», ivi, p. 72.

30

Cfr. CORNU L., Le temps de la danse, in “Les Arts face à l’Histoire”, Actes du colloque organisé par l’Institut Universitaire de Formation des Maîtres du Poitou-Charentes- Angoulême, p. 59.

31

Cfr. BADIOU A., La Danse comme métaphore de la pensée, in MACEL C. - LAVIGNE E. (a cura di), Danser sa vie. Écrits sur la danse, Paris, ed. Centre Pompidou, 2011, p. 201.

30

Stéphane Mallarmé, nei testi che ha consacrato alla danza, quando definiva i principi fondamentali relativi al rapporto fra la danza e il pensiero.

Lo stato danzante è «uno spazio poetico di assoluta armonia formale in cui il corpo - cioè il luogo ove la vita si manifesta con incessante metamorfosi - fa esperienza di se stesso e modella le forme via via dileguanti delle sue metafore visuali: trasforma, anzi costruisce lo spaziotempo in cui si muove sfidando la gravità all’incontro tra simmetria e forza, schema ritmico e leggerezza»32

.

La danza è dunque un’arte che, a differenza delle altre, si muove contemporaneamente nello spazio e nel tempo e grazie al gioco di istanti che la caratterizza, si creano un nuovo tempo e un altro spazio. L’opera in questo caso non è oggetto, ma azione.

«[…]Tutte le arti, per definizione, comportano una parte d’azione, l’azione che produce l’opera, oppure che la manifesta. Una poesia, per esempio, è azione, perché una poesia non esiste se non quando non viene recitata: solo allora è in atto. Questo atto, come la danza, non ha per fine che la creazione di uno stato di cose; con questo atto si dà le proprie leggi, crea un tempo e una misura del tempo che gli convengono e che gli sono essenziali: non lo si può così distinguere dalla sua forma di durata. Cominciare a recitare dei versi è come entrare in una danza verbale»33.

Il danzatore convoglia nell’istante del tempo dell’opera, in cui si concentra l’immediatezza dell’atto, le tre forme del tempo: passato, presente e futuro e la sua danza contiene tre forme di spazio: il punto di partenza, il percorso centrale e la linea di arrivo, come se il movimento che produce non si svolgesse nel medesimo istante, ma su queste tre fasi temporali34.

A ciò si aggiunga l’eccezionalità che il danzatore é allo stesso tempo autore, esecutore, opera, ma ancor prima è un corpo, inserito in un determinato tempo e spazio (si veda il cap. 3 § 3.3).

32

CARBONI M., La mosca di Dreyer, Milano, Jaca Book, 2007, p. 61.

33

VALÉRY P., Filosofia della danza, a cura di ELIA B., Genova, Il Melangolo, 2004, p. 87.

34

31

Quando si danza, dunque, si crea una “doppia relatività”, poiché il corpo che si presenta è anche il corpo di un certo presente, di un qui e ora, che conta proprio per la sua capacità di interpretare quel presente, di renderlo concreto ed evidente35.

Il danzatore però è il maestro dell’illusione e riesce a liberare il corpo dalle leggi della fisica, soprattutto dal concetto di spazio tempo. «La danza è un’arte dello spazio e del tempo, lo scopo del danzatore è far dimenticare ciò»36. Egli è il principe di congiunzioni di eventi fortuiti che portano all’accadere della danza, «come la formazione di un arcobaleno»37.

Una serie di istanti, che si sommano in un magico “tempo sospeso e spazio dilatato” della danza, in cui si concentra l’intuizione dell’istante.

Entra dunque in gioco l’ultimo soggetto: lo spettatore.

Questo a sua volta è portatore di un suo tempo e di un suo sguardo38. Ecco allora l’altra relazione ternaria che è quella delle componenti stesse dell’opera danzata: l’opera, in potenza, lo spettatore, in aspettativa; tra i due l’interprete, sul chi vive. La responsabilità è tutta sul danzatore, poiché l’istante in cui danzerà sarà l’unico momento in cui l’opera sarà letta e vista, in cui prenderà consistenza: esiste

35

VOLLI U., Il corpo della danza. Vent’anni di Oriente e Occidente, (Incontri internazionali di Rovereto Danza e teatro), Rovereto, Osiride, 2001, p. 29. Ricordiamo che l’uomo è identico al tempo. «La temporalizzazione dell’uomo, quale si attua attraverso una mediazione di una società, è uguale ad una umanizzazione del tempo. Il movimento incosciente del tempo si manifesta e diventa vero nella coscienza storica» DEBORD G., La società, op. cit., p. 125.

36

(Trad. aut.) « La danse est un art de l’espace et du temps. Le but du danseur est de le faire oublier», CUNNINGHAM M., Espace, temps et danse, in MACEL C. - LAVIGNE E. (a cura di), Danser sa vie, op. cit., p. 161.

37

DUPUY D., Le temps et l’istant, in “Marsyas”, n. 28, dicembre, 1993, p. 45.

38

La tipologia dello sguardo dello spettatore è teorizzata da Mallarmé, che ne individua tre caratteristiche fondamentali, deve essere: impersonale, folgorante e assoluto, (cfr. BADIOU A., La danse comme, op. cit., pp. 205-206). Ulteriore caratteristica della danza infatti risiede nel fatto che è sostanzialmente visiva e cinetica: crea forme, disegna figure nello spazio coglibili solo con uno sguardo d’insieme, e risignifica ogni volta il luogo del suo accadere (PONTREMOLI A., La danza. Storia, op. cit., p. 45). Si veda il paragrafo sul fantasmata per la questione dello sguardo.

32

solo nell’istante dell’interpretazione39. È la sua sola occasione d’esistere. La danza

vive nell’istante in cui corre verso la sua perdita.

Uno di questi attimi, che va strappato al tempo che scorre e che merita di essere vissuto con intensità, merita di essere benedetto, è quello in cui il ballerino sta per apparire agli occhi del pubblico, totale contraddizione tra desiderio e angoscia. Per molti danzatori bisognerebbe sempre danzare come se fosse la prima e l’ultima volta, ed effettivamente ciò è vero perché non si ripeterà mai più la medesima congiunzione di eventi e quindi non si potrà mai danzare la stessa danza due volte. Ciò si lega al concetto di irriproducibilità dell’“opera d’arte” teatrale o performativa, cui a sua volta è connesso il concetto di aura.

Per Benjamin infatti l’aura è «un singolare intreccio di spazio e di tempo: l’apparizione unica di una lontananza per quanto essa possa essere vicina»40

; una nozione dunque che condensa una serie di proprietà pertinenti all’opera d’arte tradizionale: unicità, autenticità, autorità, vincolo al suo hic et nunc, appartenenza ad una tradizione e tramandabilità. Il venir meno di tali istanze, tramite i processi di riproduzione tecnica dell’opera, significa il venir meno della sua aura.

La parola “aura” deriva dal greco e significa brezza, soffio, vento. È suggestivo come parimenti la parola “effimero” dia l’idea di un soffio, quasi come se fosse una parola onomatopeica e questa caratteristica oggi sembra sempre più l’unica possibilità di eternità e di auraticità per l’arte.

L’effimero viene anche definito pura aura o puro frammento immobilizzato del tempo. L’effimero è un’arte del tempo e va differenziato dal solo istante come “rottura di tempi” nel senso aristotelico; consiste nell’accogliere e accettare tale e

39

Cfr. DUPUY D., Danzare oltre, op. cit., p. 39.

40

BENJAMIN W., L’opera d’arte, op. cit., p. 70. Sul concetto di aura in Benjamin si veda anche BENJAMIN W., Aura e choc. Saggi sulla teoria dei media, a cura di Andrea Pinotti – Antonio Somaini, Torino, Einaudi, 2012, e in generale sull’argomento “aura” il numero speciale ad essa dedicato: DI GIACOMO G.- MARCHETTI L. (a cura di), "Rivista di Estetica", n. 52, Torino, Rosenberg & Sellier, 2013.

33

quale è, ciò che è imprevedibile. L’effimero non è il tempo, ma la sua vibrazione divenuta sensibile41.

Nella danza, per descrivere questa particolare forma di tempo, che in qualche modo carica di una particolare aura l’intera opera, si parla di intuizione dell’istante poiché nell’exaiphnes (istante) il tempo non scorre più: il tempo sgorga. Kierkegaard pone l’istantaneo come l’incontro tra il tempo, in quanto successione infinita, e l’eternità (il continuo presente) in quanto successione tolta42. L’exaiphnes dunque si

rivela un atomo dell’eternità, un frammento di ciò che non ha intero. L’uomo è pertanto sintesi di tempo ed eternità43.

La danza quindi è la capacità di presentificare l’eterno. Ciò è particolarmente evidente quando si parla dell’estasi della danzatrice (cui fa riferimento Paul Valéry), che è uno spostamento nel presente, così come l’etimologia stessa della parola estasi, nel qui e ora, e non un’uscita da esso.

Il discorso dell’estasi è legato alla vertigine, che in fondo non è altro che il perdere la consapevolezza dello spazio e del tempo e che da alcuni è vista come l’emozione che può suscitarci un corpo danzante44

.

41

Cfr. BUCI-GLUCKSMANN C., Esthétique de l’éphémère, Paris, Galilée, 2003, pp. 15 e 26.

42

Cfr. KIERKEGAARD S., Il concetto dell’angoscia- La malattia mortale, Firenze, Sansoni, 1965, pp. 101-115.

43

Cfr. CARBONI M., La mosca di Dreyer, op. cit., p. 66.

44

Cfr. BADIOU A., La danse comme, op. cit., p. 208. In moltissime danze si è indotti in questo stato grazie al ritmo incessante e quasi ipnotico, alle sue vibrazioni che entrando in contatto con l’orecchio, sede del nostro equilibrio, ma anche della nostra “obbedienza”, portano a uno spaesamento, una perdita di comando del nostro corpo, dovuto altresì ai giri. Nelle tarante lo stato di estasi è raggiunto per liberarsi da un malessere, identificato nel morso del ragno, in altre danze invece l’estasi è un qualcosa da raggiungere per mettersi i contatto con il divino, come la danza dervishi. In comune vi è un ritmo costante, i giri e spesso una comunità che assiste e partecipa a suo modo al rito stesso. La vertigine è creata dall’attivazione di un terremoto interiore, con essa è come se ritornasse alla pelle ciò che sta nel nostro profondo e si creasse dunque una sorta di cartografia delle caverne interiori. Dunque la vertigine diverrebbe un mezzo per relazionare, in modo più vero, il corpo al mondo esterno,(si veda ANDRIEU B., Donner le vertige. Les arts immersifs, Montréal, ed. Liber, 2014).

34

Quando si danza non si ha la possibilità di “rigirare la scena” o fare un playback, si danza in quel posto, in quel momento e l’atto non è ripetibile. Questo è ciò che la rende effimera, il registrare una danza può servire per molte finalità, ma non c’è più la magia dell’energia dal vivo. In queste occasioni è come se si creasse un nuovo tempo e un nuovo spazio, quello che sinteticamente nel titolo è stato espresso con l’affermazione: tempo sospeso e spazio dilatato.

L’effimero e l’eterno, e quindi l’aura della danza, si concentrano in questo istante sospeso tra movimento e stasi, tempo e non tempo, luogo e non luogo, questo suo particolare hic et nunc ravvisabile, in parte, nel fantasmata di cui parlava Domenico da Piacenza.