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La legislazione dei beni culturali in Italia: inquadramento storico dalla costituzione della Repubblica a ogg

Capitolo II – Tutela giuridica del patrimonio culturale immateriale

2.1 La legislazione dei beni culturali in Italia: inquadramento storico dalla costituzione della Repubblica a ogg

In Italia il settore più antico e definito della politica dei beni culturali consiste nella tutela, ossia in un’attività che mira a salvaguardare i beni culturali da ogni minaccia alla loro integrità161. Essa si estrinseca innanzitutto nell’individuazione dei beni al fine di conservarli e proteggerli162, difatti le misure predisposte sono, in linea di principio, strumenti puramente difensivi163, che mirano principalmente a una limitazione del possesso di un singolo a favore della fruibilità per tutti.

In questa sezione ci occupiamo di diritto principalmente per una questione di tutela, per poi approfondire come sia delicato e complesso l’argomento allorquando ci si relazioni con le questioni riguardanti l’immateriale.

Tuttavia, non essendo questo il luogo per affrontare una “storia della Tutela”, ci si focalizzerà sulle leggi varate dopo l’istituzione della Repubblica Italiana, in modo da concentrarci sulle questioni odierne e specialmente sulla tematica dell’immateriale. Si è consapevoli, nondimeno, che leggi fondamentali in materia,

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BOBBIO L. (a cura di), Le politiche dei beni culturali in Europa, Bologna, Il Mulino, 1992, pp. 152-153. Per la nascita della legislazione dei beni culturali in Italia si veda anche LEMME F., Compendio, op. cit. e COSI D., Diritto dei beni e delle attività culturali, Roma, Aracne, 2008.

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Si veda il DECRETO LEGISLATIVO 22 gennaio 2004, n. 42 recante il "Codice dei beni culturali e del paesaggio" ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137, (Gazzetta Ufficiale 24 febbraio 2004, n. 45) art.3 c.b.c.: Art. 3. del decreto legislativo del 2004 è intitolato “Tutela del patrimonio culturale” e così dispone ai punti 1 e 2:

“1. La tutela consiste nell’esercizio delle funzioni e nella disciplina delle attività dirette, sulla base di un’adeguata attività conoscitiva, ad individuare i beni costituenti il patrimonio culturale ed a garantirne la protezione e la conservazione per fini di pubblica fruizione.

2. L’esercizio delle funzioni di tutela si esplica anche attraverso provvedimenti volti a conformare e regolare diritti e comportamenti inerenti al patrimonio culturale”.

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nello Stato postunitario, furono soprattutto la legge Rosadi del 1909 e la legge Bottai del 1939 che, di fatto, rimase in vigore fino al 1999164.

Il primo passo giuridico della Repubblica Italiana a riguardo fu l’inserimento nella Costituzione di un articolo dedicato alla funzione pubblica di tutela del patrimonio culturale e ambientale. L’art. 9 (commi 1 e 2) afferma infatti che «la Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione».

La normativa fondamentale in materia continuava dunque a essere la legge Bottai, che invano si tentò di rinnovare negli anni Sessanta, prima con la Commissione Franceschini (1963), poi con la Commissione Papaldo (1968), ma il lavoro di queste commissioni parlamentari rimase inascoltato dagli organi politici del tempo.

Negli anni Settanta si hanno nuove azioni tese a supportare il settore, giungendo così all’istituzione, con la legge 5 del 29 gennaio 1975 (legge Spadolini), del Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, le cui funzioni di tutela del patrimonio erano assolte in precedenza dal Ministero della Pubblica Istruzione.

Nel 1998, con il d. lg. 369 del 20 ottobre, il ministero è oggetto di una riorganizzazione e prende il nome di Ministero per i Beni e le Attività Culturali, e con il d. lgs. N.368/98 vengono devolute ad esso anche le attribuzioni del precedente "Ministero per i beni culturali e ambientali" e quelle su spettacolo, sport e impianti sportivi, che precedentemente spettavano alla Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Tutta la legislazione dei beni culturali viene poi riordinata con il testo unico di legge d. lg. 490/1999. Successivamente, la legge costituzionale 3/2001, andando a modificare il titolo V della Costituzione, apporta dei cambiamenti anche per i beni culturali e, nello specifico, al tema della tutela. Si afferma infatti il principio che è

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Si veda in materia: CAZZATO V. (a cura di), Istituzioni e politiche culturali in Italia negli anni Trenta, Roma, Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Istituto Poligrafico della Zecca dello Stato, 2001. Inoltre si ricordano le leggi sul diritto d’autore 633/41 e la legge urbanistica del 1942, che influenzarono, seppur dall’esterno, la disciplina dei beni culturali.

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compito dello Stato la tutela, mentre sono di pertinenza delle Regioni e degli altri Enti locali le funzioni di valorizzazione165.

Alla luce di questo evento, per armonizzare la legislazione dei beni culturali alle modifiche costituzionali, il Parlamento ha dato delega al Governo, con l’art. 10 della legge n. 137 del 6 luglio 2002, di emanare un nuovo Codice dei Beni Culturali, approvato poi dal Consiglio dei Ministri il 16 gennaio 2004 ed entrato in vigore il 1° maggio 2004 (e successivamente modificato dai Decreti Legislativi 156/2006, 157/2006, 62/2008 e 63/2008).

All’art. 1 di suddetto codice, nella sezione rubricata “Principi”, sono espresse le finalità della legge:

1. In attuazione dell'articolo 9 della Costituzione, la Repubblica tutela e valorizza il patrimonio culturale in coerenza con le attribuzioni di cui all'articolo 117 della Costituzione e secondo le disposizioni del presente codice.

2. La tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale concorrono a preservare la memoria della comunità nazionale e del suo territorio e a promuovere lo sviluppo della cultura.

3. Lo Stato, le regioni, le città metropolitane, le province e i comuni assicurano e sostengono la conservazione del patrimonio culturale e ne favoriscono la pubblica fruizione e la valorizzazione.

4. Gli altri soggetti pubblici, nello svolgimento della loro attività, assicurano la conservazione e la pubblica fruizione del loro patrimonio culturale.

5. I privati proprietari, possessori o detentori di beni appartenenti al patrimonio culturale, ivi compresi gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, sono tenuti a garantirne la conservazione (1).

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Si ricorda poi che nella materia “Governo del territorio” di cui al comma 3 dell’art. 117 Cost., le Regioni, secondo la nota sentenza 232/2005 della Corte Costituzionale, possono prevedere misure di “tutela non sostitutive di quelle statali, bensì diverse ed aggiuntive”, con ciò permettendo loro di ampliare il proprio raggio di tutela nei confronti delle peculiarità locali.

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6. Le attività concernenti la conservazione, la fruizione e la valorizzazione del patrimonio culturale indicate ai commi 3, 4 e 5 sono svolte in conformità alla normativa di tutela.

(1) Comma modificato dal D.Lgs. 26 marzo 2008, n. 62.

Come si può notare, un forte accento è posto sulla differente competenza a seconda che si parli di tutela, valorizzazione e conservazione.

Per quanto riguarda poi nello specifico la materia della tutela dei beni culturali immateriali, secondo il combinato disposto degli artt. 7/bis D. Lgs. n. 42/2004 e 117.3 Cost., è materia concorrente e si muove nell’ottica della leale collaborazione tra Stato e Regioni.

In tale contesto l’attenzione è incentrata principalmente sulla tutela, che consiste, come precisato all’art. 3, nell’esercizio della funzione e nella disciplina delle attività dirette, sulla base di una adeguata attività conoscitiva, ad individuare i beni costituenti il patrimonio culturale e garantire la protezione e la conservazione per fini di pubblica fruizione.

Da ciò emerge come l’azione propedeutica, al fine di espletare le suddette funzioni, sia proprio quella dell’individuazione dei beni.

Fin dall’antichità, non a caso, le esigenze di tutela erano affiancate a iniziative di censimento. Già nel tardo Medioevo si inventariavano i tesori custoditi nelle chiese, nel Rinascimento i pontefici insistevano sulla compilazione di elenchi di materiali mobili, per arginare la dispersione di antichità e per controllare i passaggi di proprietà di statue e dipinti. Nel 1820, con l'editto del cardinal Pacca nello Stato Pontificio, la registrazione scritta dei beni diviene obbligatoria. Nella Legge Bottai del 1939 si invocava la necessità di “elenchi descrittivi” per i beni pubblici e privati, da aggiornarsi sistematicamente, poiché lo si riteneva essere un mezzo agevole di verifica del patrimonio esistente, da utilizzare a fini amministrativi166.

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Per la storia e altre informazioni sul catalogo cfr. ROTUNDO F., Gli organi periferici. Le soprintendenze ai beni storico artistici, architettonici e ambientali e l’attività di catalogazione, in ASSINI N.- FRANCALACCI P. (a cura di), Manuale, op. cit., pp. 241-261.

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Dunque di supporto alla tutela vi è il catalogo, in quanto non si può tutelare ciò che non si conosce, e oltre alle finalità di carattere conoscitivo vi sono anche quelle scientifiche e documentali per qualsiasi intervento attivo sul patrimonio culturale167.

Tale processo di catalogazione ha ricevuto un notevole impulso nel 1969 con l’istituzione di un apparato specializzato nell’ambito dell’amministrazione statale, ossia l’ICCD (Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione)168.

Per ciò che concerne nello specifico i beni immateriali, l’ICCD se ne occupa nel 1978 nell’ambito del riconoscimento dei beni “folklorici”, per catalogare i quali viene creata un’apposita scheda denominata FK.

Alla fine degli anni Novanta, alla luce di un mutato quadro normativo e istituzionale, l’ICCD, su iniziativa della Regione Lazio, istituisce una commissione Stato-Regioni per la progettazione di una nuova scheda di catalogazione dei beni demoetnoantropologici (DEA) immateriali. Nasce così la scheda BDI, di cui viene pubblicata la normativa nel 2002 e nel 2006, con diversi esempi e saggi introduttivi (sistema informativo centrale SIGEC e sistemi informativi locali delle regioni)169.

Essa è stata progettata in modo del tutto nuovo, secondo un’accezione fortemente estensiva e articolata di bene immateriale. Si tratta di un tracciato unico e dunque necessariamente duttile, in grado di consentire la registrazione di una notevole quantità di dati che riguardano beni fra loro anche molto differenziati, molti dei quali sono anche fonti orali. Prevede una duplice modalità alternativa di redazione: archivio o terreno, applicandosi tanto a beni rilevati contestualmente sul

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BOBBIO L., Le politiche, op. cit., p. 170; si sottolinea inoltre come uno degli strumenti di salvaguardia individuati dall’UNESCO per i beni immateriali è proprio il modello “inventario”, che consiste nella catalogazione di tutti i beni immateriali senza ulteriori “selezioni per qualità”.

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Nel 2001 lo Stato, le Regioni e le province autonome hanno siglato l’Accordo tra il ministero per i Beni e le Attività culturali e le Regioni per la catalogazione dei beni culturali e ambientali, che stabilisce una serie di obiettivi comuni in materia, prevedendo, fra l’altro, l’unificazione delle metodologie di catalogazione.

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TUCCI R. – SIMEONI P. E. (a cura di), Strutturazione dei dati delle schede di catalogo, BDI beni demoetnoantropologici immateriali, II, Roma, ICCD, 2006; TUCCI R., La scheda BDI per i Beni demoetnoantropologici immateriali, in STANZANI A.- ORSI O.- GIUDICI C. (a cura di), Lo spazio il tempo le opere. Il catalogo del patrimonio culturale, Milano, Silvana Editoriale, 2001, pp. 576-577.

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terreno, quanto a beni già rilevati, fissati in supporti audio-visivi e conservati in archivi e centri di ricerca. Per una stabile restituzione e fruizione del bene, la schedatura sul terreno prevede obbligatoriamente la realizzazione di un corredo audio-visivo: sei paragrafi del tracciato sono dedicati alla descrizione dei documenti audio-visivi primari allegati e di eventuali altri documenti audio-visivi integrativi. Naturalmente la scheda BDI non sostituisce la scheda d’archivio: è un’altra forma di catalogazione, applicata a beni e non a documenti e per la sua compilazione è necessario che vi sia già stato un precedente ordinamento dei dati raccolti170.

Si nota in tal modo un’apertura di questa categoria di beni, anche se solo relativamente a ciò che rientra nel folklore, l’interesse per il quale era particolarmente vivo negli anni ’70, quando tra l’altro venne coniato da A. Mario Cirese l’acronimo DEA per riunificare i tre ambiti disciplinari demologia, etnologia e antropologia.

Tuttavia sul piano legislativo non seguiranno iniziative concrete e questi beni DEA giaceranno in proposte di legge che rimarranno tali, come la proposta di legge n. 3252 del 1982 sulla cui linea si muove il disegno di legge n.1974 del 1984, dove per la prima volta si introduce il bene musicale e viene riconsiderato il bene audiovisivo.

170 http://www.ilmondodegliarchivi.org/detail/articleid/775/parentchannel/86/title/Fonti_orali_e_beni _culturali_demoetnoantropologici_immateriali__la_catalogazione_mediante_la_scheda_BDI_dell_I CCD__Seminario__Fonti_orali__Esperienze_di_conservazione__integrazione__trattamento__Geno va________ottobre______.html

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