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La crisi della cultura nel tempo moderno e il ruolo identitario della danza

Memoria dell’effimero

1.3 Dicotomie del XXI secolo

1.3.3 La crisi della cultura nel tempo moderno e il ruolo identitario della danza

L’ultima delle contraddizioni della presente epoca sulla quale vorrei soffermarmi, è la profonda crisi culturale e, conseguentemente come già anticipato, identitaria degli ultimi tempi128.

È di nuovo un paradosso poiché oggi è sempre più facile accedere all’istruzione, ma cultura e istruzione non sono la stessa cosa.

Attualmente più che di cultura, che è qualcosa di profondo, che va accumulato, va fatto decantare, si deve parlare di informazione effimera. Come osservava Gilles Lipovestky «L’età moderna era ossessionata dalla produzione e dalla rivoluzione, l’età postmoderna è assillata dall’informazione e dall’espressione»129

. Si è informati con qualsiasi mezzo, in qualsiasi momento e luogo, e ciò crea dei falsi saperi, una falsa padronanza di quello che accade, una falsa conoscenza, un “non sapere di non sapere”. Qualora ci si avvicini a qualcosa di culturale, ciò è molto superficiale.

È in atto un processo di omologazione anche in questo, con un sottile marchingegno che ci rende sempre più occupati e incapaci di approfondire, di farci una propria cultura, verificare ciò che ci viene detto, semplicemente perché spesso il fatto che sia così facile, tramite internet, fare un accertamento, quasi ci solleva dal

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Interessante (e aggiungerei attualissimo) come già Nietzsche, circa un secolo e mezzo fa, abbia individuato una crisi culturale che in qualche modo si riversava anche sulla personalità dell’individuo. Affermava infatti che quella dell’epoca fosse una cultura tendente a neutralizzare la realtà, consumarla, distanziarla dall’individuo; cfr. NIETZSCHE F., Sull’utilità e il danno della storia per la vita, Considerazioni inattuali II (1874), Roma, Newton Compton, 2011, pp. 352 e ss. Suggestivo anche come Walter Sorell nella Storia della danza intitola il settimo capitolo “La crisi della cultura nel nostro tempo” e affronta le problematiche dell’arte contemporanea, cfr. SORELL W., Storia della danza. Arte, cultura e società, Bologna, Il Mulino, 1994.

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LIPOVETSKY G., L’ère du vide. Essais sur l’individualisme contemporain, tr. it. a cura di Aldo Ferrari, L'èra del vuoto: saggi sull'individualismo contemporaneo, trad. it. di Paolo Peroni, Giovanni Caviglione, Milano, Luni, 1995, p. 17. In questo testo viene fatta una profonda analisi sul vuoto che caratterizza questo periodo storico e le reazioni dell’individuo che, sempre più solitario, si crea un proprio microcosmo.

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dovere di farlo o non ci stimola a non fermarci alla prima verifica. Non a caso si parla da molto tempo ormai di cultura di massa o industria culturale130. Per riprendere le parole di Tony Judt nell’Età dell’oblio, «la maggioranza della gente ha accesso a una quantità di dati quasi illimitata, ma in assenza di una cultura comune le informazioni e le idee che la gente sceglie o in cui si imbatte, sono determinate da una molteplicità di gusti, affinità e interessi»131.

Questa crisi culturale è riscontrabile in molti altri contesti, ripercuotendosi dappertutto. Pensiamo a quella dei musei (di cui parleremo più specificatamente nel capitolo 4), il cui proliferare non è affatto un segno positivo, bensì, come sostiene Jean Clair, un segno di decadenza spirituale, così come la moltiplicazione dei templi romani non segnò l’apogeo di una grande civiltà, bensì la sua fine132

.

Ovviamente laddove vacilla la cultura, vacilla l’identità, nella formazione della quale le arti rivestono un ruolo molto importante, specialmente quelle che utilizzano il corpo, come il teatro e la danza. Non deve apparire anomalo allora che proprio in queste discipline si siano manifestate in anticipo idee, intuizioni e comportamenti che a livello sociale risultavano ancora in gestazione e non definiti. Fino al XIX secolo danza e musica emergono come potenti simboli di identità per i gruppi etnici e nello scenario rivoluzionario per le arti del Novecento, il teatro e la danza

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Cfr. DI GIACOMO G., La questione dell’aura tra Benjamin e Adorno, in DI GIACOMO G. - MARCHETTI L. (a cura di), "Rivista di Estetica", n. 52, 2013, Torino, Rosenberg & Sellier, p. 238. Ricorderei anche i seguenti testi, eloquenti in materia, LIPOVETSKY G., La cultura-mondo: risposta a una società disorientata, tr. it. a cura di Jean Serroy, Milano, O barra O, 2010 (stampa 2009); ADORNO W. T. - HORKHEIMER M., Dialettica dell'Illuminismo, Torino, Einaudi, 1966. Sul concetto di industria culturale, le trasformazioni apportate dalle nuove tecnologie (che hanno un ruolo centrale in tutto ciò) e sulla teorizzazione del post-moderno in filosofia si veda anche: LYOTARD J. F., La condition postmoderne: rapport sur le savoir, Paris, ed. Minuit, 1979; trad. It. Carlo Formenti, La condizione postmoderna: rapporto sul sapere, Milano, Feltrinelli, 1981.

131

JUDT T., L’età dell’oblio, op. cit., p. 7.

132

Cfr. CLAIR J., De la modernité conçue comme une religion, in «L’Art contemporain et le Musée », Cahiers du Musée National d’art Moderne», Paris, 1989, p. 209.

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divennero veri e propri “avamposti culturali”133

. Al corpo infatti si impongono una serie di comportamenti, discipline, connesse strettamente alla società e all’epoca in cui si vive, che rientrano in quelle che Foucault definisce come tecniche facenti parte della “fabbrica di cultura”134

. Marcel Mauss in un saggio del 1934 metteva in evidenza che non vi è società che non abbia bisogno di istruire il corpo degli individui e arriverà a parlare di montaggi “fisio-psico-sociologici”135.

È indubbio quindi che la danza - che ha come fulcro il corpo - veda manifestarsi in essa molte problematiche e allo stesso tempo sia fra le arti una delle migliori a elaborare il concetto di comunità e individuo136. Non a caso Confucio sosteneva che in base a come un popolo danzava si potesse dedurre in che “stato di salute” si trovasse la sua civiltà. Fin dall’antichità infatti la danza è stata vista come un elemento fondamentale per lo sviluppo di una società, come già sostenuto da Platone nelle Leggi. Questo ruolo così importante nel processo di civilizzazione è evidente. Pensiamo anche ai codici quattrocenteschi dove, fra gli elementi fondamentali per l’educazione di un principe, vi era necessariamente la danza. Ma anche, più tardi, questa linea di pensiero continua a sussistere basti riprendere le parole di Friedrich Nietzsche quando analizza come si impara a pensare e fa il

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CASINI ROPA E., La cultura del corpo in Germania, in ID.(a cura di), Alle origini della danza moderna, Bologna, Il Mulino, 1990, p. 94.

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FOUCAULT M., Sourveiller et punir. Naissance de la prison, Paris, Gallimard, 1965, tr. It. Sorvegliare e punire. Nascita della prigione, Torino, Einaudi, 1978; si veda anche sull’argomento GALIMBERTI U., Il corpo, (1983), Milano, Feltrinelli, 1998; ZAGATTI F., Persone che danzano: spazi, tempi, modi per una danza di comunità, Granarolo dell'Emilia, Mousike Progetti Educativi, 2012, pp. 16 e 40.

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MAUSS M., Les techniques du corps, in « Journal de Psychologie », n. 32 (3-4), 15 mars - 15 avril 1936. Communication présentée à la Société de Psychologie le 17 mai 1934; ristampato in ID., Sociologie et anthropologie, Paris, PUF, 1936, citato in: VEROLI P., Danzare le rovine. Corpi e visioni per il XXI secolo, in BORRELLI D. - DI CORI P. (a cura di), Rovine future. Contributi per ripensare il presente, Milano, Lampi di stampa, 2010, p. 268; in questo articolo Patrizia Veroli analizza diversi tipi di corpi a seconda delle epoche e culture.

136

Cfr. ZAGATTI F., Pensare, op. cit., p. 64. Per le numerose potenzialità del corpo danzante si veda: DI BERNARDI V., Cosa può la danza. Saggio sul corpo, Roma, Bulzoni, 2012.

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paragone con la danza: «La danza in tutte le sue forme, non può essere esclusa da una nobile educazione: danzare con i piedi, con le idee, con le parole, e devo aggiungere che bisogna saper danzare con la penna?137».

Preponderante è l’utilizzo della danza anche nella religione e/o nella politica, non a caso è uno strumento potente nella creazione di soggetti nazionali (es. Cambogia, Haiti, Cina). Uno, fra i vari esempi che si potrebbero portare138, eloquente sotto molti punti di vista, può essere l’episodio avvenuto nell’estate 2013 quando in Turchia ci sono stati una serie di scontri e ribellioni e per qualsiasi parola o leggerezza si poteva essere incriminati. In tale contesto dei gruppi etnici, per la precisione curdi, si sono messi a danzare; quale forma di protesta maggiore e meno attaccabile dunque? Questo è significativo del forte simbolo identitario (e secondo alcuni anche rivoluzionario) che incarna la danza. Ecco perché fra le motivazioni alla base dell’apertura del “museo - teatro vivente” Dora Stratou di Atene, c’era l’esigenza di dare spiegazioni sull’origine e l’identità del popolo Greco.

In Italia potremmo individuare qualcosa di simile nel revival, che si è avuto soprattutto dopo la seconda metà del Novecento, riguardante i balli popolari tipici come ad esempio la pizzica, che ha vissuto un gap generazionale che ne stava mettendo a rischio l’integrità. In questo modo si è posta attenzione all’importanza delle radici e della tradizione di un popolo, riscoprendo così la ricchezza di tale patrimonio. Tutto ciò, nel nostro presente, è connesso all’esigenza di avere un punto fermo, un approdo sicuro, in questo mare magnum della globalizzazione che ci fa

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NIETZSCHE F., Il crepuscolo degli idoli, (1888), Roma, Newton Compton, 2011, p. 1790.

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Gli esempi simili nel corso della storia e nelle varie aree geografiche sono tanti; pensiamo anche alla capoeira che è catalogata come danza, ma in realtà è una lotta /combattimento praticata dagli africani - costretti a lavorare nei campi - grazie a questo escamotage della danza. Oppure al flamenco che nel suo linguaggio aveva assunto criptici elementi di protesta contro Franco, il quale infatti ostacolò questa danza, ma anche più recentemente ai flash mob fatti nelle banche spagnole contro la crisi che sta investendo l’Europa; o alla danza moderna che non penetrò in Italia a causa della dittatura fascista. Altro esempio può essere l’utilizzo della danza per esternare un disagio sociale, come può essere la tarantata nel Sud Italia (difatti, poiché questa esternazione era simbolo di vergogna, ne stava scomparendo la testimonianza).

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sembrare estremamente liberi, solo perché ci permette di scegliere fra un ampio ventaglio di prigioni che ci propone.

Il marcare certe identità, recuperando le differenze, non per chiudersi, ma per avere una voce in più, spesso nasce da queste esigenze.

La libertà e la facilità di scambi culturali che caratterizzano la nostra epoca, del resto, non sono certo da demonizzare. Se correttamente gestite, possono portare a un forte arricchimento. Chiudersi a riccio nel proprio piccolo integralismo porterebbe solo a una sterilizzazione dell’identità. Riprendendo la metafora che utilizza Franco Cassano: «Una tradizione aperta è come un elastico, sembra un andare indietro, ma è solo un prendere la rincorsa, un rilanciare in un’orbita planetaria le voci di una terra, scoprendo che esse giungono più lontano delle deboli imitazioni di storie nate altrove»139.

Lo stesso modo di danzare in ronda/cerchio, tipico di tanti balli è esemplificativo di quanto finora affermato: creare uno spazio comunitario, dove si è protetti, dove si intrecciano relazioni, dove si è sostenuti da una energia comune.

Dal momento che si è citato lo spazio comunitario, communitas, non posso non aprire una parentesi sulla danza di comunità140. Essa ha un valore politico assai forte ed elemento costante, fra le varie sue funzioni, è che questa tipologia di danza è un mezzo di riappropriazione del proprio corpo, utile per superare le barriere sociali (età, genere, cultura, ecc.) e per creare nuova cultura.

È chiaro dunque quale forte valenza politica e identitaria rivesta la danza, la quale, per le sue caratteristiche di fluidità e immaterialità più di altre arti, può svolgere quel ruolo di stella polare di cui parlavo precedentemente, o forse, usando termini medici, di vaccino (o anche pharmakon), inoculando, nella società

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CASSANO F., Danzare contro la solitudine, in SANTORO V. - TORSELLO S. (a cura di), Il ritmo meridiano, op. cit., p. 18.

140

In materia si veda: ZAGATTI F., Persone che danzano: spazi, tempi, modi per una danza di comunità, Granarolo dell'Emilia, Mousike Progetti Educativi, 2012. Specialmente all’inizio della seconda parte, il testo specifica quante sfumature e accezioni possa avere il termine “danze di comunità” (pp. 77 e ss.).

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dell’immaterialità141

, una immaterialità curatrice. Tuttavia nel secolo delle dicotomie questa caratteristica è sia punto di forza, che di svantaggio, poiché rende la danza fragile e molto predisposta a contaminazioni (o addirittura scomparire) a causa dei processi di globalizzazione e di trasformazione sociale142. A tale proposito spesso si notano le contrapposizioni di pensiero tra vecchie e nuove generazioni di danzatori di alcuni balli tradizionali, come il flamenco, dove i bailaores più conservatori non accettano di buon occhio fusioni, intromissioni di nuovi strumenti, di nuove ritmicità143. É pur vero tuttavia che in mancanza di una corretta e profonda conoscenza dello stile a cui ci si avvicina queste fusioni scadono in con-fusioni, per riprendere le parole di Cristina Hoyos in risposta alla domanda sulle fusions (si veda l’intervista riportata in appendice A2). Come espresso dalla danzatrice bisogna sempre tenere bene a mente la “radice”, ovvero l’origine.

Concludendo notiamo come il secolo che ha avuto più possibilità di archiviazione, documentazione e conoscenza è quello che, parimenti, ha messo più a rischio queste differenze caratterizzanti tanti “diversi modi di vivere”, che sono essenziali per l’umanità così come lo è la biodiversità per la natura. Il pericolo è appunto quello di una omogeneizzazione che seppellisca i tesori culturali, ma questo sarebbe un grave errore come già sosteneva Salvatore Settis in Battaglie senza eroi a proposito dell’Europa e del processo di identificazione di una identità europea, la

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Come infatti notava Guy Debord in Società dello spettacolo, la produzione, nelle società capitalistiche avanzate, è sempre più immateriale, così come anche il consumo. Vi è una progressiva smaterializzazione della società, tutta la nostra realtà è ormai virtuale (denaro/carte di credito, lettere/mail, rapporti sociali/social-network, ecc.), Cfr. DEBORD G., La società, op. cit., p. 57.

142

Cfr. D’ELIA G., La tutela del patrimonio culturale immateriale, in SANTORO V. - TORSELLO S. (a cura di), Sui patrimoni immateriali del Salento e del Gargano: problemi e prospettive, Roma, Squilibri, 2010, p. 14.

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Mi riferisco e alle contaminazioni arabe e all’uso ad esempio del violino o all’uso della bata de cola in modo innovativo, come afferma Matilde Coral nel suo libro: CORAL M. - ÁLVAREZ Á. - VALDÉS J., Tratado de la bata de cola. Matilde Coral una vita de arte y de magisterio, Madrid, Alianza editorial, 2003, p. 83.

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quale invece deve concentrarsi sulle diversità e le differenze, nonché sulle relazioni fra i vari popoli144.

In tutto ciò c’è anche una forte valenza politica, specie in Europa, dove le varie culture e identità si sono formate mediante processi di osmosi e di interscambio. Ciascuna di esse non va definita per “distinzione” dalle altre, ma piuttosto mediante l’analisi degli elementi che la compongono, molti dei quali sono presenti anche in altre culture. In altri termini si può dire che l’identità culturale sia scomponibile, perché risulta da un processo di interscambio, in cui ciascuna cultura “riceve” e “dà”145.

Equilibri dunque estremamente fragili che ci rendono responsabili del processo di formazione della memoria, che si fonda sulla conservazione.

Questa premessa estetico filosofica ha permesso di comprendere quanti siano i problemi che si incontrano nell’affrontare un tema delicato come la conservazione della danza, ma allo stesso tempo quanto sia importante questo atto conservativo. Si sente pertanto l’esigenza di salvaguardare la cultura e creare una maggiore consapevolezza, soprattutto fra le generazioni più giovani, riguardo alla rilevanza del patrimonio culturale immateriale e delle problematiche che la sua protezione pone. Occorre infatti prendere coscienza del passaggio da un tempo fisso a un tempo in movimento. Se pensiamo ai beni culturali, la prima cosa che viene in mente è un monumento, un documento, qualcosa di stabile che noi piazziamo fuori dal tempo, per rappresentare il nostro tempo. Riprendendo le parole di Bernard Schiele «il patrimonio è uno sguardo orientato sul tempo e sullo spazio»146. Ma il patrimonio culturale è costituito anche da tanti elementi immateriali e, se si vuole creare il futuro e gettare uno sguardo in avanti, si ha il dovere di tutelarlo perchè, come affermava André Malraux in due diversi scritti in difesa della cultura: «L’uomo non

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Cfr. SETTIS S., Battaglie senza eroi, op. cit., p. 298.

145

Ivi, p. 299.

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SCHIELE B., Les trois temps du patrimoine, in ID. (a cura di), Patrimoines et identités, Québec, Ed. Multimondes, Musée de la civilisation, 2002, p. 215. Cfr. altresì sull’argomento JEUDY H. P., La machinerie patrimoniale, Paris, Circè, 2008; JADE M., Patrimoine immatériel: Perspectives d'interprétation du concept de patrimoine, Paris, l’Harmattan, 2006.

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è sottomesso al suo patrimonio, è il suo patrimonio che gli è sottomesso […]. L’héritage non si trasmette, si conquista»147

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147

« L’homme n’est pas soumis à son héritage qui lui est soumis […]. L’héritage ne se transmet pas, il se conquiert» (trad. mia) MALRAUX A., Sur l’héritage culturel, op. cit., p. 1198, cfr. DIDI- HUBERMAN G., L’Album de l’art à l’époque du "Musée imaginaire", Parigi, Editions Hazan, 2013, pp. 142-143.

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