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Le scritture della danza: dalle fonti scritte ai sistemi di notazione

131 3.3 Il corpo del danzatore

3.4 Le scritture della danza: dalle fonti scritte ai sistemi di notazione

Abbiamo visto finora che il primo grande linguaggio dell’uomo è il corpo e i suoi gesti con i quali è come se scrivesse una poesia. La danza è fatta essenzialmente di ciò, dunque è a tutti gli effetti un linguaggio, ma ha qualcosa in più, che fa sì che sia re-azione a quello istituzionale312 ed è speciale trovandosi «tra la preghiera e l’opera d’arte, tra la parola e il canto, non dicendo nulla pur comunicando e non producendo alcuna realtà tangibile»313.

Un linguaggio così particolare manca di una scrittura propria e cerca costantemente mutuazioni da altri campi. È pur vero che in alcuni casi la danza stessa è stata vista come una sorta di scrittura: Mallarmé infatti fa un assioma sulla danza, sostenendo che la ballerina non danzi, ma scriva. La danza è dunque anche una scrittura corporale «un poema libero da tutti gli apparecchi dello scriba. La tenacia di questo concetto è dimostrata dal fatto che colui che crea la danza è un coreografo»314. La parola coreografia infatti inizialmente indicava l’arte di scrivere la danza, successivamente il termine comincia ad essere riferito al creare i balletti. Il primo a fare uso del termine coreografo fu Carlo Blasis (1820), ma con scarso successo, si preferiva ancora “maestro di ballo”.

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« Poème de plastique, de couleurs, de rythmes, où le corps n’est pas plus qu’une page blanche, la page où le poème va s’écrire » per riprendere le parole di RODENBACH G., “Danseuses”, in Le Figaro, 5 mai 1896, p. 1.

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Da notare come la lingua nasca non solo dal popolo, ma da una serie di forze, “la lingua è specchio del totale essere e del totale pensiero, viene da una cospirazione di forze”, cfr. Gadda lingua letteraria e lingua d’uso, del ‘42, citato in: PATRIZI G., Memoria del testo, memoria del vissuto in Gadda, in DI GIACOMO G. (a cura di), Volti della memoria, op. cit., p. 179.

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LISI S., Il Linguaggio, op. cit., p. 121

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La danza scrive discorsi con i gesti e i movimenti ed ha «un’ambivalenza di codici espressivi, un linguaggio del corpo in grado di rimandare insieme al massimo di figuratività (il danzatore che si esibisce), al massimo di astrazione e di antinarratività (parola negata), a un puro gioco ritmico, di gesti, movimenti, suoni, colori»315. Non stupisce dunque che la danza come scrittura sia stata paragonata da Mallarmé ai geroglifici, non perché questi simboli fossero iconici, ma perché questa scrittura pittorica ha una qualità misteriosa e sacra, difficile da decifrare316. In realtà ritengo che il rimando iconico del geroglifico, una scrittura fatta di immagini, sia cosa estremamente interessante in un paragone con la danza (a sua volta riducibile a una immagine in movimento). L’immagine infatti è un mezzo di comunicazione molto forte, assai più ricco spesso della parola stessa, perché l’immagine e il simbolo possono rimandare ad altro da sé; non a caso le prime forme di scrittura erano ideografiche, quindi legate ad immagini, ma si pensi anche ai testi miniati, alle chiese o a qualsiasi opera d’arte in generale317.

Si è già parlato della questione dell’immagine (e vi torneremo anche più avanti), qui ora affrontiamo il problema delle “scritture” (plurale non casuale, per la complessità e varietà che si incontreranno)318. Anche su questo tema molti dibattiti

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CARANDINI S., La danzatrice è una metafora. Poesia del corpo e astrazione dello spazio nella danza di Loïe Fuller, in “L’astrazione danzata. Le arti del primo novecento e lo spettacolo di danza”, (Ricerche di Storia dell’arte), Roma, La Nuova Italia Scientifica, 49 (1993), p. 6.

316

LEWIS SHAW M., Ephemeral Signs: apprehending the idea through poetry and dance, in “Dance Research Journal”, Vol. 20, N. 1 (Summer, 1988), pp. 3-9.

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Catherine Perret parla di immagini di trasmissione, discontinue come i frammenti mnestici; ne discenderebbe che l’arte sarebbe un medium simbolico per la trasmissione, cfr. PERRET C., Pour un modèle, op. cit., pp. 62 e ss. Quello che ricorre con più frequenza nello scrivere la danza è che si utilizzino simboli, immagini da intendere come quell’arresto sul linguaggio, l’istante di abisso della parola di cui parlava Pierre Fédida, cfr. FÉDIDA P., Le soufflé indistinct de l’image (1993), in Le Site de l’étranger. La situation psychanalytique, PUF, Paris 1995, pp. 187-220; DIDI-HUBERMAN G., Gesti d’aria e di pietra: corpo, parola, soffio, immagine, Reggio Emilia, ed. Diabasis, 2006, p. 11.

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Il testo di Ducray, specifico sulla danza del XIX sec. non a caso mette al plurale le parole “corpi e grafie” e indaga i vari linguaggi della danza con preciso riferimento però al balletto, che proprio grazie alla sua codificazione può essere paragonato alla scrittura, DUCRAY G., Corps et graphies.

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hanno avuto luogo, pertanto in questa sede si vogliono toccare alcuni punti, poiché la finalità qui è capire quali e di che natura siano le fonti scritte della danza, all’interno di un’ottica precisa, che è quella della conservazione.

In prima analisi per fonti scritte possiamo intendere tutti quei documenti che hanno parlato di danza, che hanno tentato di descriverla, di fermarla, attingendo quasi sempre i termini utilizzati da altri linguaggi artistici, in particolar modo dalla musica, ma anche dalla letteratura, dal teatro e dal cinema. Rientrano dunque in questa categoria di fonti scritte tutta la letteratura - le poesie, i canti, le descrizioni di eventi, gli studi, ecc. - che in qualsiasi modo abbia trattato di danza, sia direttamente, che indirettamente. Nella letteratura infatti la danza è usata sia come metafora di bellezza, grazia o movimento, sia come immagine per descrivere un momento danzante di festa, oppure dedicandogli centralità e cercare di capire dove risieda la magia della danzatrice che riesce a creare una sorta di sospensione spazio temporale e a vincere le leggi della fisica. Cosa questa assai ardua che ha affascinato anche molti filosofi soprattutto tra fine ‘800 e inizi del ‘900. Da Valéry a Nietzsche, da Mallarmé a Merlau Ponty sono numerosi i pensatori che hanno riflettuto sulla danza come esperienza di trascendimento, come slancio impermanente che dà visibilità all’invisibile e come arte del corpo, che con la fenomenologia si tentava di riabilitare in quanto corpo vivente.

Fonti di grande interesse sono anche le recensioni critiche. Con la nascita neli anni ‘20 di un nuovo concetto di danza è dovuta nascere anche una nuova critica, l’evoluzione della quale ha contribuito al diffondersi dell’affermarsi di una tradizione che include gli elementi della descrizione, dell’interpretazione e della valutazione. Il giudizio dei critici può fornire indicazioni rilevanti circa i cambiamenti sulla scena, soprattutto se sono attenti agli studi degli storici e ai mutamenti della società. Poi ci sono le preziosissime fonti scritte nascenti dai commenti propri dei danzatori, dalle loro autobiografie, dalle lettere personali che

Poétique de la danse et de la danseuse à la fin du XIX siècle, Paris, ed. Champion, 1996. Potremmo dunque parlare, come lo si fa per la musica, di “variazioni linguistiche”; “l’alfabeto” infatti può essere lo stesso, ma la lingua risultante dalla composizione delle lettere è diversa.

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riportano impressioni e pensieri sulla danza, le eventuali sensazioni degli spettatori, ecc. Tutto ciò ci può fornire un punto di vista importante, quello dell’epoca in cui è stato vissuto l’evento, nonché, nel caso di autobiografie o altri generi di scritti inerenti i danzatori, capire cosa quell’artista provava e sentiva, cosa muoveva la sua interpretazione o creazione. Ecco perché danzatori come i Dupuy tengono così tanto alla scrittura, elemento fondamentale per loro che sono di un’epoca pre video, dove le emozioni del movimento potevano essere rivissute o ricostruite tramite foto e soprattutto descrizioni scritte o orali. Capire cosa muove un’azione, il perché e come viene percepito è fondamentale in un’arte immateriale. Un esempio calzante può essere quello che ci fornisce la musica. Spesso accade di ascoltarla e darle un certo valore, poi quando scopriamo da scritti vari perché è stata composta, la vita del compositore e il suo particolare momento esistenziale, assume tutto un altro colore. Nella danza può avvenire qualcosa di simile rivedendo quel determinato danzatore, e conoscendone il background. Ovviamente se l’interprete cambia, cambia anche l’emozione intrinseca dell’opera. In fondo ciò che si perde dell’immaterialità della danza non è solo il movimento, ma l’emozione che esso è in grado di suscitare.

Con il tempo muta poi la sensibilità, il modo di sentire e questo si percepisce dalle espressioni artistiche e dagli scritti.

Cosa diversa è invece pensare alla possibilità di scrivere il movimento della danza, nel corso dei secoli si sono avute opinioni discordanti circa l’opportunità e la positività o meno di ciò. In passato per esempio si affermava che quando un’arte arrivava a uno stadio dove potesse essere tradotta in parola potesse essere definita un’arte morta319. Parimenti Mary Wigman diceva che se avesse potuto dire a parole

ciò che la sua danza esprimeva, non avrebbe avuto ragione di danzare.

Sembrerebbe quindi che la scrittura confligga con la particolare natura della danza, ma scrivere non vuol dire soltanto trasporre in segni grafici qualcosa, significa soprattutto trasmettere, quindi una qualche forma di scrittura è comunque necessaria per la danza, in modo tale da permettere che se ne abbia memoria e il nuovo nasca.

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Scrivere non della danza, ma la danza non è certo facile, neanche crearne un alfabeto, che dovrebbe avere un numero infinito di caratteri. Tra questi tentativi di fissare i movimenti della danza ci sono sicuramente i trattati quattro-cinquecenteschi delle corti italiane, in cui i passi erano descritti a parole. Si giunse poi a una forma di scrittura simbolica della danza, ossia quella che è stata definita da Raoul-Auger Feuillet nel XVIII secolo “notazione”320. Ann Hutchinson-Guest distingue cinque

grandi categorie di sistemi di scrittura della danza321: i sistemi che fanno ricorso alle parole e alle abbreviazioni (i più antichi), i sistemi di notazione che adattano la partitura musicale alla scrittura del movimento (Stepanov, Conté), i sistemi figurativi (Blasis, Saint-Léon, Zorn), i sistemi di tracce rappresentanti gli spostamenti e le traiettorie (Feuillet), i sistemi di segni astratti (Laban e Benesh), che propongono delle grammatiche complesse, assimilabili a dei linguaggi strutturati e che sono oggi oggetto delle formazioni superiori che portano alla professione del notatore.

Tra questi sistemi quelli che hanno avuto più fortuna in tempi recenti sono il Laban e il Benesh. Il primo, presentato nel 1928 da Rudolf Laban, prende il nome di cinetografia (comunemente Labanotation) e, basandosi sull'analisi generale del movimento elaborata dal suo creatore, indica la direzione, l’altezza, la durata e la parte di un corpo che si muove. Il secondo invece, chiamato anche corologia, fu messo a punto da Rudolf e Joan Benesh nel 1955 e risulta particolarmente centrato sull’analisi del movimento e della struttura dei lavori coreografici322

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320

Cfr. http://mediatheque.cnd.fr/spip.php?page=videoALaune&id_article=273

321

HUTCHINSON-GUEST A., Choreographics: A Comparison of Dance Notation Systems from the Fifteenth Century to the Present, New York, Gordon and Breach, 1989.

322

Cfr. FICAT M., Les Archives et la mémoire, op. cit. Le notazioni Laban e Benesh hanno una notevole complessità e anche dei problemi nel riuscire a tradurre in segni grafici qualsiasi tipo di movimento. Addirittura decenni fa c’era chi non le riteneva applicabili alle danze tradizionali. Mi riferisco a Dora Stratou che per le danze greche affermava: «Il ballo non ha scrittura. Purtroppo. Pochi anni fa, alcuni studiosi hanno inventato modi di trascriverlo. Questa scrittura, però, per diverse ragioni tecniche, non può essere usata per le danze popolari. L’unica soluzione è la cinematografia scientifica (documentari)» STRATOU D., Danze popolari. Un vivente legame col passato, Atene, Angelos klissiounis, 1967, pp. 15-16. Si veda anche l’intervista ad Alkis Raftis sull’applicazione

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Sicuramente ogni danza ha una specificità e in alcuni casi anche un proprio linguaggio ben strutturato, come per le danze accademiche, il balletto.

Quasi ogni coreografo ha comunque il proprio modo di scrivere la danza, tant’è che spesso si rasentano vere e proprie opere d’arte astratta, come si evince anche dal catalogo della mostra Danses tracées, che fa delle varie forme di notazione una sorta di esposizione artistico-pittorica323.

3.5 I “materiali della memoria” della danza: tra produzione e