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Il bene culturale immateriale e la convenzione UNESCO

84 2.1.1 Definizione di bene culturale

2.1.2 Il bene culturale immateriale e la convenzione UNESCO

Molte culture, soprattutto quelle dei Paesi in via di sviluppo, affidano all’oralità la trasmissione del loro sapere e della loro identità, producendo così quelli che oggi vengono definiti i beni culturali immateriali, «beni, cioè, che non consistono in oggetti o in testi, ma nella possibilità socialmente diffusa di crearli o rievocarli»195.

Queste “tradizioni”, proprio a causa della loro immaterialità, sono sempre «a una generazione dalla scomparsa», riprendendo le parole della giornalista del “Pueblo”, Paula Gunn Allen; basta il silenzio di una generazione perché esse scompaiano.

Da ciò comprendiamo come questa nuova categoria di beni sia fortemente legata alla memoria, l’evocazione della quale permette che certe tradizioni continuino ad esistere. D’altra parte la memoria stessa è soprattutto un processo, «non un deposito di dati in via di progressivo disfacimento, ma una perenne ricerca di senso nel rapporto con il passato e nel riuso dei repertori culturali […]»196.

193

ASSINI N., Manuale, op. cit., pp. 46 e ss.

194

Ibidem, cfr. anche Cons. Stato, sez. VI, 13 settembre 1990, n. 819, in Cons. Stato, 1990, I, p. 1117.

195

PORTELLI A., L’inesausta metamorfosi delle culture immateriali, in “Il Manifesto”, 29 settembre 2007.

196

Ibidem; lo stesso autore continua dicendo che: « […] Nessun cantore o suonatore eseguirà due volte lo stesso brano nello stesso modo, nessun narratore dirà due volte la stessa storia con le stesse parole, perché anche se vengono dal passato queste espressioni si materializzano nel presente e il presente vi irrompe con le sue domande e le sue richieste. Infatti gran parte delle forme espressive popolari sono destinate all’invenzione, all’improvvisazione: basta pensare allo stornello, al blues,

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Alla memoria è legata anche l’identità di un popolo197

, non a caso molti Paesi - come la Cina, il Giappone198, la Corea199, il Canada ecc…200- già da tempo si occupavano di tale tipologia di beni coscienti del forte valore ad essi connesso, e non a caso alcuni di questi sono anche i Paesi più attivi nella proposizione di beni da inserire nella lista del PCI.

all’ottava rima, persino al rap, ai muttus della tradizione sarda. In questo caso, il bene culturale non è la singola ottava o il singolo stornello, quanto la capacità del cantore o del poeta di reinventarne sempre di nuovi ».

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Interessante è l’osservazione fatta da M.A. Penicela Nhambiu Kane riguardo all’origine della parola identità: essa deriva dal latino scolastico identitas, che significa ciò che caratterizza ciò che è unico (unum) e lo stesso (idem) – unum et idem est, PENICELA NHAMBIU KANE M. A., Repenser les Problématiques du patri moine culturel immatériel: les cas de la construction de la Nation Mozambicaine, in Le patrimoine culturel immatériel. Les énjeux, les problématiques, les pratiques, in "Internationale de l’imaginaire", nouvelle série, n. 17, Paris, Maison des cultures du monde, 2004, p.85; cfr. anche MUZKAT M., Consciência e identidade, São Paulo, Editora Ática, 1986, p. 10.

198

Si veda anche l’articolo di ISOMURA H., Le Japon et le patrimoine immatériel, in Le patrimoine culturel, op. cit., pp. 41- 48.

Negli anni seguenti alla Seconda Guerra Mondiale, il Giappone fece un serio programma di riconoscimento e appoggio per le tradizioni che rappresentavano il suo patrimonio culturale nazionale, poiché vi era il timore di perdere le antiche tradizioni e quindi l’identità nazionale. In una storica legge di protezione della proprietà culturale (1950) e nella sua revisione (1954), il Governo definì le proprietà culturali materiali e immateriali e le persone come “tesori vivi”, risorse e beni della nazione che debbono essere protetti, riconosciuti, utilizzati e gestiti non con il fine di lucro commerciale ma per la propria sopravvivenza stessa della civiltà. Altri programmi nazionali nacquero dalla stessa radice e in risposta alle inquietudini similari in Corea, Filippine, USA, Tailandia, Francia, Romania, la Repubblica Ceca, Polonia e altri Paesi; cfr. Le patrimoine culturel, op.cit., pp. 80-82.

199

JEONG-OK K., Les problématiques du patrimoine culturel immatériel en Corée, in Le patrimoine culturel, op. cit., pp. 80-82.

200

Tali questioni sono emerse con insistenza durante il convegno internazionale sul Patrimonio culturale immateriale presso “Centre Culturel International de Cerisy- la- salle” (24-29 settembre 2012). Interessante è come in queste legislazioni sia sottolineato come il patrimonio immateriale sia fondamentale per lo sviluppo armonioso e durevole della società, favorire l’unità del Paese ecc… In generale su questa tematica si vedano anche gli articoli contenuti in: Le patrimoine culturel, op. cit., pp. 80-82.

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La terminologia di “immateriale” per definire questi beni si è affermata di recente; l’UNESCO vede il primo utilizzo della parola “patrimonio immateriale” nella conferenza tenutasi in Messico nel 1982. A ciò succederanno poi negli anni diversi interventi dove l’attenzione nei confronti di questa tipologia di beni diviene crescente201. Nel 1997 viene costituita all’interno della Divisione del Patrimonio Culturale (Cultural Heritage Division) una sezione dedicata al patrimonio immateriale (Section of Intangible Heritage) con responsabilità verso le lingue locali e le forme di espressività popolari e tradizionali. Ma è soprattutto con il progetto Intangible Heritage, avviato nel 1999, che l’organizzazione ha intrapreso una serie di concrete azioni in questo settore: Proclamation of Masterpieces of Oral and Intangible Heritage of Humanity, che riguarda l’individuazione dei patrimoni immateriali di interesse mondiale meritevoli di venire considerati come “capolavori del patrimonio orale e immateriale dell’umanità”; Living Human Treasures, che promuove i depositari di saperi e tecniche oralmente trasmessi (artigiani, artisti,ecc.); Endangered Languages, che pone l’attenzione sulle lingue a rischio di estinzione; Traditional Music of the World, una collana discografica dedicata alle culture musicali mondiali202.

La standardizzazione dunque della definizione di beni culturali immateriali, condivisa a livello mondiale nelle diverse lingue (non-material heritage, biens immatériels, bienes immateriales) accanto a quella di beni “intangibili” (intangible heritage) testimonia l’accresciuto interesse, sia a livello nazionale che internazionale, intorno a ciò che quel termine rappresenta203.

201

A tal proposito si veda l’excursus ricco di passaggi storici fondamentali in: LE SCOUARNEC F. P., Quelques enjeux liés au patrimoine culturel immatériel, in Le patrimoine culturel, op. cit., pp. 26-40.

202

TUCCI R., Il patrimonio demoetnoantropologico immateriale fra territorio,documentazione e catalogazione, in Strutturazione dei dati delle schede di catalogo. Scheda BDI, II, Roma, ICCD, 2006, p. 20.

203

Ivi, pp. 20-29. Sulle questioni terminologiche connesse a questi tipi di beni, si veda CIRESE A. M., Beni immateriali o beni inoggettuali?, in “Antropologia Museale”, I, n. 1, 2002, pp. 66-69.

Meno omogeneità di termini si riscontra sulla prima parola: patrimonio. C’è chi parla di beni, chi di tradizioni, ecc. In generale sull’importanza e la difficoltà di trovare una terminologia standard si veda: VAN ZANTEN W., La elaboraciòn de una nueva terminologìa para el patrimonio cultural

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Un punto fermo in materia, dopo anni di discussioni su tale questione204, è stato posto il 17 ottobre 2003 a Parigi, quando viene ratificata dall’Assemblea Generale dell’UNESCO, durante la sua trentaduesima sessione, la “Convenzione per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale”.

I beni immateriali vengono definiti all’art. 2:

Ai fini della presente Convenzione,

1. per “patrimonio culturale immateriale” s’intendono le prassi, le rappresentazioni, le espressioni, le conoscenze, il know-how – come pure gli strumenti, gli oggetti, i manufatti e gli spazi culturali associati agli stessi – che le comunità, i gruppi e in alcuni casi gli individui riconoscono in quanto parte del loro patrimonio culturale.

Questo patrimonio culturale immateriale, trasmesso di generazione in generazione, è costantemente ricreato dalle comunità e dai gruppi in risposta al loro ambiente, alla loro interazione con la natura e alla loro storia e dà loro un

inmaterial, in BOUCHENAKI M., Patrimoine immatériel, in "Museum international", n.221/222, maggio 2004, Spagna, vol. 56 n. 1-2, 2004, pp. 36-43.

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L’UNESCO (United Nations Educational, Scientific and Cultural Organization) vede il primo utilizzo della parola “patrimonio immateriale” nella conferenza tenutasi in Messico nel 1982. A ciò succederanno poi negli anni diversi interventi dove l’attenzione nei confronti di questa tipologia di beni diviene crescente (a tal proposito si veda l’excursus eloquente di questi passaggi fondamentali in: LE SCOUARNEC F.P., Quelques enjeux, op. cit., pp. 26-40).

L’UNESCO dal 1997 ha costituito, all’interno della sua Divisione del Patrimonio Culturale (Cultural Heritage Division), una sezione dedicata al patrimonio immateriale (Section of Intangible Heritage) con responsabilità verso le lingue locali e le forme di espressività popolari e tradizionali. Ma è soprattutto con il progetto Intangible Heritage, avviato nel 1999, che l’organizzazione ha intrapreso una serie di concrete azioni in questo settore: Proclamation of Masterpieces of Oral and Intangible Heritage of Humanity,che riguarda l’individuazione dei patrimoni immateriali di interesse mondiale meritevoli di venire considerati come “capolavori del patrimonio orale e immateriale dell’umanità”; Living Human Treasures, che promuove i depositari di saperi e tecniche oralmente trasmessi (artigiani, artisti,ecc.); Endangered Languages, che pone l’attenzione sulle lingue a rischio di estinzione; Traditional Music of the World, una collana discografica dedicata alle culture musicali mondiali, TUCCI R., Il patrimonio, op. cit., p. 20.

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senso d’identità e di continuità, promuovendo in tal modo il rispetto per la diversità culturale e la creatività umana. Ai fini della presente Convenzione, si terrà conto di tale patrimonio culturale immateriale unicamente nella misura in cui è compatibile con gli strumenti esistenti in materia di diritti umani e con le esigenze di rispetto reciproco fra comunità, gruppi e individui nonché di sviluppo sostenibile.

2. Il “patrimonio culturale immateriale” come definito nel paragrafo 1 di cui sopra, si manifesta tra l’altro nei seguenti settori:

a) tradizioni ed espressioni orali, ivi compreso il linguaggio, in quanto veicolo del patrimonio culturale immateriale;

b) le arti dello spettacolo;

c) le consuetudini sociali, gli eventi rituali e festivi;

d) le cognizioni e le prassi relative alla natura e all’universo; e) l’artigianato tradizionale.

L’Italia ratifica la Convenzione con la legge 27 settembre 2007, n. 167, quindi il Parlamento italiano impiega quasi quattro anni per recepire ciò che in campo internazionale era ed è così rilevante. Nello stesso contesto il Parlamento ratifica altresì l’altra importante Convenzione UNESCO, adottata il 20 ottobre 2005, relativa alla «Protezione e promozione delle diversità delle espressioni culturali» e lo fa con la legge 19 febbraio 2007, n.19. Alla luce di ciò, con il D. Lgs. 26 marzo 2008 n. 62, viene aggiunto nel codice dei beni culturali l’art. 7bis, il quale così dispone:

Espressioni di identità culturale collettiva

1. Le espressioni di identità culturale collettiva contemplate dalle Convenzioni UNESCO per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale e per la protezione e la promozione delle diversità culturali, adottate a Parigi, rispettivamente, il 3 novembre 2003 ed il 20 ottobre 2005, sono assoggettabili alle disposizioni del presente codice qualora siano rappresentate da testimonianze materiali e sussistano i presupposti e le condizioni per l'applicabilità dell'articolo 10.

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Come possiamo notare, questo articolo non fa altro che sottolineare il rifiuto del nostro ordinamento di tale categoria di beni, poiché nella nozione giuridica viene ribadita la necessità di materialità. All’estero invece ci sono aperture in tal senso, si veda in proposito la Spagna, dove vi è una legislazione coerente e integrata volta alla tutela del patrimonio culturale spagnolo in tutte le sue espressioni, indipendentemente dal suo substrato materiale205, oppure quello Portoghese o dell’America Latina, che molto si rifanno al predetto ordinamento spagnolo.

In Italia al momento della sottoscrizione della Convenzione l’unica normativa che concretamente tutelava un patrimonio immateriale era la legge 482/1999 sulla tutela delle minoranze linguistico-storiche206. Una nozione estesa di patrimonio culturale, comprensiva delle “tradizioni popolari” e del “folklore” e connotativa delle identità culturali di comunità regionale o locale, si rinviene altresì nella legislazione regionale italiana207.

205

Vi sono poi ulteriori specificazioni per ciascuna regione della Spagna. In generale l’ordinamento Portoghese, nonché quello dell’America Latina, risultano estremamente influenzati da quello iberico, si veda TARASCO A. L., Diversità e immaterialità del patrimonio culturale nel diritto internazionale e comparato: analisi di una lacuna sempre più solo italiana, in Foro amm. - CdS, VII, 3, 2008, pp. 2261-2287; VAIANO D., La valorizzazione dei beni culturali, Torino, Giappichelli, 2011, p. 50.

206

Ibidem; cfr. anche TARASCO A. L., Diversità e immaterialità, op. cit., p. 2261 e ss. Per un elenco delle normative per ciascuna regione si rimanda a: GUALDANI A., I beni culturali immateriali: ancora senza ali?, in “Aedon”, 1, 2014, op. cit.

207

Liguria: art. 2, lett. g del nuovo Statuto e l.r. n. 32 del 1990; Molise: l.r. n. 9 del 1997 e n. 19 del 2005 (patrimonio culturale immateriale: etnologico, sociale, antropologico, produttivo); Puglia: art. 2 nuovo Statuto (tradizioni regionali); Sardegna: l.r. n. 14 del 2006 (patrimonio culturale materiale e immateriale), cfr. COSI D., Diritto dei beni e delle attività culturali, Roma, Aracne, 2008, p. 162. Inoltre ci sono proposte recenti di legge come la 123A-IX, presentata dal Consigliere regionale della Puglia Sergio Blasi e passata all’unanimità nella seduta della VI Commissione del 05.07.12, che intende, come si evince dal titolo e come si legge nella relazione iniziale, «mettere in campo una serie di interventi rivolti al sostegno dell’insieme variegato di soggetti che, a vario titolo (…) operano sul territorio con iniziative di salvaguardia e promozione delle musiche e delle danze tradizionali». Altresì l’intento della proposta di legge in commento è quello di salvaguardare la “memoria musicale”, sostenendo la ricerca e la pubblicazione di “documenti originali”, ossia le registrazioni delle “performance degli anziani cantori”, e infine creando “una rete di archivi

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Il Codice dei beni culturali sembra dunque quasi tenere in disparte tale tipologia di beni; pare sia in pieno accordo con quella parte della dottrina che li vorrebbe tutti inclusi nelle cosiddette “attività culturali”208, ovvero nelle “opere

dell’ingegno”209

. Tuttavia la normativa internazionale non intende per patrimonio culturale “immateriale” quelle che, dal punto di vista del diritto civile, sono le opere dell’ingegno (certamente espressione fondamentale della cultura di un popolo e dell’umanità)210

.

multimediali” ove conservare e rendere fruibili i materiali raccolti. Tale proposta di legge è divenuta legge regionale il 22 ottobre 2012, n. 30, disciplinando gli "interventi regionali di tutela e valorizzazione delle musiche e delle danze popolari di tradizione orale".

208

Secondo l'intendimento della Corte costituzionale, i beni culturali attività sono altro e cioè sono quelli «che riguardano tutte le attività riconducibili alla elaborazione e diffusione della cultura» (Corte costituzionale, sentenza 7-9 luglio 2005, n. 285 e sentenza 21 luglio 2004, n. 255). Infatti, mentre i beni intangibili sono "espressioni testimoniali culturali", (BARTOLINI A., s.v. Beni culturali, in Enc. Dir., VI, Milano, 2013, p. 110), le attività culturali sarebbero "funzioni strumentali, rivolte a formare e diffondere espressioni della cultura e dell'arte", CHITI M., La nuova nozione di beni culturali nel d.lgs. n. 112/199: prime note esegetiche, in “Aedon”, 1, 1998. Cfr. GUALDANI A., I beni culturali immateriali: ancora senza ali?, in “Aedon”, 1, 2014, op. cit.

Sulla differenza tra bene immateriale e attività culturale si veda anche D’ELIA G., La tutela del patrimonio cultural immateriale, in SANTORO V. - TORSELLO S. (a cura di), Sui patrimoni, op. cit., pp. 9 - 41.

209

Interessante la dissertazione che fa in materia Annalisa Gualdani in: GUALDANI A., I beni culturali immateriali, op. cit. Qui sottolinea anche - portando l’esempio del Palio d Siena - che «mentre la tutela del diritto d'autore è di tipo dominicale, quella pensata per i beni immateriali è di tipo pubblicistico, perché volta a perseguire l'interesse pubblico che si concretizza nel tramandare e promuovere la conoscenza delle tradizioni identitarie di una comunità» (ibidem).

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