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I luoghi della memoria

4.0 Luoghi bouleversés

Dopo aver analizzato perché conservare la danza, quali sono i molteplici problemi conservativi e i materiali documentativi, nonché gli aspetti immateriali, siamo giunti a dover rispondere alla domanda: dove conservarla? Qual è il luogo migliore a soddisfare questa esigenza?

Anche in questo caso sarebbe illogico voler dare una risposta definitiva. Si ritiene dunque opportuno fare un approfondimento innanzitutto su cosa significhi archiviare e musealizzare, specialmente nell’attualità tecnologica, per passare poi in rassegna diverse soluzioni adottate in Europa per conservare la danza. Proporre un centro/museo della danza in Italia infatti, come detto, era il proposito iniziale della presente ricerca ed il primo problema era proprio capire quale tipologia di luogo della memoria fosse più adatta: un museo, un archivio, un centro?

Ognuno di questi istituti oggi sta vivendo dei profondi sconvolgimenti, che a ragione potrei indicare con il termine francese bouleversement.

Come l’arte esce dai musei, così la danza esce dai teatri, i teatri si trasformano in musei e viceversa. Per riprendere le parole di Gabriele Brandstetter: «The museum was transformed into a theater and the theater turned into a museum that housed the rhetorics of gestual expression as a space in which the expressive forms adopted from the artworks of antiquity were physically brought up to date and simultaneously inventoried»430.

Tutto ciò è sicuramente conseguenza dei cambiamenti culturali che la nostra epoca ha indotto e che hanno influito non solo sul tempo, ma anche sullo spazio, come già ampiamente esaminato nel primo capitolo. Dunque è ovvio che l’arte se ne

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BRANDSTETTER G., Poetics of Dance. Body, Image, and Space in the Historical Avant-Gardes, Translated by Elena Polzer with Mark Franko, New York, Oxford University Press, 2015, p. 70.

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sia fatta specchio, mettendo in crisi il concetto stesso di opera d’arte (come abbiamo visto nel capitolo tre) e, di conseguenza, di conservazione. Come una reazione a catena queste crisi si riversano anche sui luoghi di memoria, in particolare sui musei, contro cui si scagliarono molte delle avanguardie. Mentre prima il museo era un luogo che faceva asserire qualcosa a opera d’arte, nella contemporaneità molto artisti lo rifiutano e le opere sono sempre meno musealizzabili.

I musei vengono definiti cimiteri, mausolei e, forse proprio in reazione alle accuse di chiusura e morte, talvolta si sono trasformati anche in una sorta di “supermarket” rispondendo a logiche di mercato – così come il mettere alla dirigenza dei musei manager piuttosto che storici dell’arte o esperti di cultura - che vanno appiattendo la missione culturale431. Nei casi migliori cercano in tutti i modi di adeguarsi ai tempi, aprendosi all’esterno, anche architettonicamente (come per esempio il Centre Pompidou che nella sua stessa denominazione rifiuta la dizione “museo”, aprendosi all’esterno con la sua struttura caratterizzata dalla trasparenza delle pareti fatte da vetri) e mettono in atto dei “giochi di specchi” con lo sguardo del pubblico e con la città, facendola entrare metaforicamente nel museo, rispondendo così alla funzione di loisir432.

C’è da chiedersi se proprio questa finalità di spettacolarizzazione sia uno dei motivi per cui la danza è entrata nei musei. La danza già dagli anni ‘20 del secolo scorso ha occupato l’ambiente museale e allo stesso tempo, sempre nei primi decenni del ‘900, ci si interessa di conservazione della danza. Due diversi modi di approcciare il discorso danza all’interno del museo - che oggi è oggetto di numerosi

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POLVERONI A., This is contemporary! Come cambiano i musei d'arte contemporanea, Milano, Angeli, 2007, p. 22. Sulla questione museo-supermarket si veda anche il pensiero di Yves Michaud con il discorso sul supermercato dell’aura, MICHAUD Y., L’arte allo stato gassoso, Roma, Idea, 2007. Fabrizio Ferrari critica la possibilità dei musei di poter ancora essere templi della memoria cfr. FERRARI F., Lo spazio critico, Roma, Sossella, 2004. Queste tematiche verranno approfondite più avanti al § 4.3.

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Cfr. POLVERONI A., This is contemporary!, op. cit.; letterarlmente il termine loisir sta ad indicare il tempo libero dal lavoro, dedicato agli svaghi.

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dibattiti – museo da considerare dunque sia come luogo performativo, sia come luogo conservativo433.

Vi è poi tutto lo sconvolgimento apportato dalle nuove tecnologie si parla addirittura di mutazione genetica dei musei, a causa della loro crescente medializzazione434. Già Malraux utilizzando la tecnologia - la fotografia per la precisione - aveva ipotizzato un “museo immaginario” dove metteva in luce l’antimaterialità dell’operazione, riducendo la fisicità dell’oggetto, alla virtualità dell’immagine. Questo oggi accade sempre più spesso tant’è che si parla di conservazione (e duplice esistenza estetica) in vivo e in imagine435, poiché sempre più frequentemente l’opera si materializza con l’artista - esattamente ciò che accade con la danza – dunque quello che può rimanere di queste opere sono spesso solo delle immagini.

Tra i dibattiti sull’istituzione museo vi è anche quello volto a sovvertire l’ordine prestabilito che porta a non accettarlo più; esemplificativo è il gesto di Marcel Broodthaers il quale crea un museo “fittizio” nella sua abitazione436

. Allo stesso tempo si assiste alla creazione di archivi personali da parte degli artisti (si pensi alla “Scatola in valigia” di Marcel Duchamp) o copie originali (a volte definiti anche “musei senza pareti” e questa ambivalenza di denominazioni è esplicativa degli sconvolgimenti vissuti dai luoghi di memoria)437.

L’archivio dell’artista è un altro tema importante su cui porrò attenzione. Vediamo pertanto come non un solo luogo sia necessario per preservare la memoria.

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FRANKO M., Museum Artifact Act, in “Tanz und Archiv”, 5 (2014), pp. 96–107. In generale si vedano in numerosi esempi del numero 46 (3), 2014 della rivista “Dance Research Journal”.

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Cfr. POLVERONI A., This is contemporary!, op. cit., p. 31.

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Cfr. RIOUT D., L’arte del ventesimo secolo, op. cit., p. 376.

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Ivi, p. 400.

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FOSTER H. - KRAUSS R. et alii, Arte dal 1900, op. cit., pp. 274-275. Si nota un impulso archivistico nell’arte, archivi che si ramificano e si rifanno alla metafora del rizoma e dell’albero (ivi, pp. 668-669).

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È indubbio che in tema di conservazione della danza i due luoghi che hanno avuto la meglio siano archivi e musei, ma anche i teatri si sono prestati a questa funzione. Oggi si parla di centri coreografici e si discute anche su cosa si intende di volta in volta per museo, centro o archivio in riferimento a un’arte immateriale. Questa caratteristica, come visto finora, crea i maggiori problemi, perché per gli elementi materiali è ovvio si possano applicare il più possibile le soluzioni per tutti gli oggetti frutto o prodotto di un attività artistica umana. I materiali analizzati nel capitolo 3, definiti anche frammenti, offrono ciascuno a suo modo un aspetto della danza e ognuno necessita, per la propria unità potenziale, di un luogo specifico: gli oggetti di un museo, gli scritti di un archivio, i video di una mediateca, ma nessun luogo potrà conservare il fulcro di tutto ciò: il corpo. Il corpo è di per sè un luogo di memoria, ma a tempo, con una scadenza. Un luogo che si arricchisce ogni giorno di più e che ha tanti tipi di memoria, ma che non è accessibile a tutti. Può avere anche dei “magazzini” dimenticati che possono rivedere la luce, se qualcuno cerca di ritrovare e ripercorrere quel “sentiero” che vi conduce. Questo fa sì che sia fondamentale mettere al centro l’artista, intervistarlo, capire il suo pensiero, carpire i suoi insegnamenti, in una parola documentare la sua vita.

A tutto ciò deve corrispondere un parallelo interesse nei confronti di queste ricerche, dunque far comprendere come l’arte sia fondamentale per l’uomo, è una necessità estetico culturale che lo differenzia dagli animali. Per far ciò occorre entrare in altri luoghi, nelle scuole, nelle università dove si fa ricerca, è necessario rendere nota l’importanza di questo atto conservativo prima ancora di trovarne il luogo di elezione. Dunque si deve creare interesse nell’uomo e per l’uomo e prima di parlare di conservazione o archiviazione, occorre parlare di condivisione e dialogo (soprattutto fra gli enti e tra ente e ricercatore, che spesso trova numerosi ostacoli e difficoltà nel poter accedere all’oggetto che vuole studiare). Il tutto è finalizzato al mantenimento della memoria e questo è uno dei poteri più grandi dei luoghi detti appunto di memoria pur nel loro sconvolgimento.

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