• Non ci sono risultati.

Danza spettacolo: un’arte composta da framment

Conservazione tra materia e immaterialità

3.2 Danza spettacolo: un’arte composta da framment

L’estetica del frammento (e di conseguenza i problemi e le soluzioni riguardanti la conservazione dello stesso) è qualcosa di molto vicino ai problemi di conservazione della danza intesa come spettacolo, sia perchè essa è un’opera costituita da numerosi “frammenti” (costumi, scenografie, musiche, ecc., che trovano nei musei, archivi o teatri i luoghi della loro conservazione), sia perché pone delle problematiche conservative del tutto particolari, che la pongono come un caso limite.

Dal momento che stiamo parlando della contemporaneità, risulta ancora più calzante il discorso sul frammento in quanto esso come concetto caratterizza il ‘900 sotto molteplici punti di vista.

Il frammento è il simbolo di una distruzione e questo è ciò che contrassegna la nostra epoca e molta dell’arte contemporanea. Lo stesso Picasso affermava che per lui un quadro era una somma di distruzioni, ma si vedano anche le opere di Samuel Beckett, Alberto Giacometti, Aby Warburg e come in ognuno di loro la frammentazione assuma un’accezione diversa. Altro esempio possono essere alcune forme di cinema, come quello sovietico, o di teatro (Brecht) dove si ha volutamente una frammentazione del contenuto con il fine di stimolare una attività ricompositiva, dal momento che la caduta dell’aura implica un approccio passivo271

. Anche le riflessioni estetiche nel ‘900 si concentrano molto sul frammento272

e non a caso

271

EVOLA D., L’esperienza estetica al supermarket dell’aura, in DI GIACOMO G. - MARCHETTI L. (a cura di), "Rivista di Estetica", n. 52, Torino, Rosenberg & Sellier, 2013, p. 86.

272

Solo a titilo di esempio si pensi alle riflessioni di: Hans Georg Gadamer con il simbolo come frammento di essere, Michel Foucault con l’analisi della rarità contrapposta alla ricerca della totalità, fino alla formazione di vere e proprie estetiche del frammento con Benjamin e Adorno e messe in atto anche in alcuni linguaggi artistici, cfr. TAVANI E., Il frammento e la rovina: su alcune eredità dell’estetica del ‘900, in LUIGI RUSSO (a cura di), La nuova estetica italiana, Centro internazionale Studi di Estetica, Palermo, 9 dicembre 2001, p. 215.

127

questo secolo si dà in eredità nel frammento. Eredità che si consegna già in stato di frammenti e non ridotta in frammenti273.

Il frammento, nel senso stretto del termine, è una forma della rovina, la quale è una eccedenza sia rispetto alla conservazione (non si lascia restaurare, resiste al ripristino), che rispetto alla sparizione (resta per definizione a testimoniare qualcosa)274. Già nella Teoria del Restauro di Cesare Brandi (1963) il rudere è un caso limite estremo275. Rovine come vestigia, da vestigium, impronta del passo nel suolo, così effimera e labile, come la danza, come il mutismo che può colpire i frammenti (che sono comunque cosa diversa dalla rovina). Si può uscire dal mutismo “interrogando” questi frammenti a metà tra la certezza di avere una traccia276, seppur incompleta, in grado di poter evocare una memoria, e l’illusione di poter risalire all’intero e alla sua completezza. Questi frammenti, comunque sia, sono ognuno nella sua singolarità portatori di un’unità potenziale e lo spirito dell’opera d’arte risiede, secondo Brandi, come un intero in ciascuno di essi277.

Per quanto si possa condividere o meno quanto è stato appena affermato, è doveroso, prima di procedere con qualsiasi altra riflessione, capire lo “stato” della riduzione in frantumi. Occorre pertanto fare una distinzione tra le opere ridotte in

273 Ivi, p. 211. 274 Ivi, p. 217. 275

Cfr. BRANDI C., Teoria del restauro, Torino, Einaudi, 1963. Dovremmo indagare come questa teorizzazione possa essere applicata ad altri esempi, rivisitarli alla luce della contemporaneità, considerando il fatto che la logica che porta Brandi a disquisire sull’argomento “rovine” è frutto non di un percorso lineare, ma un esito di successive aggregazioni in cui compaiono componenti diverse, dal crocianesimo, all’esistenzialismo, alla fenomenologia e allo strutturalismo, passando per la psicologia della Gestalt. Illuminanti anche le considerazioni circa l’opera d’arte come unità in BRANDI C., Il restauro. Teoria e pratica, a cura di M. Cordaro, Roma, Editori Riuniti, 1999, pp. 20- 23.

276

Sulla questione della traccia che lascia la rovina come analogon, cfr. DUBOIS P., Figures de ruine. Notes pour une esthétique de l’index, in «Rivista di Estetica», 8, 1981, pp. 9-15 passim.

277

Se l’opera risulta divisa, frammentata, si dovrà cercare di sviluppare la potenziale unità originaria che ciascuno dei frammenti possiede, BRANDI C., Teoria del restauro, op. cit., pp. 41-42, 44; cfr. FANCELLI P., La Teoria di Cesare Brandi, in ANDALORO M. (a cura di), La teoria del restauro nel novecento da Riegl a Brandi, Firenze, Nardini, 2006, p. 367.

128

frammenti e quelle che per loro natura sono composte da frammenti (ad esempio il mosaico, ma anche molte opere contemporanee)278. Per la danza potremmo trovarci davanti ad entrambe le opzioni ossia: opere composte da estratti da altre coreografie oppure spettacoli che si intendono ricostruire e dove è necessario capire quanto tempo è intercorso tra la loro nascita e la loro riproposizione. In quest’ultimo caso innanzitutto è indispensabile stabilire se si hanno tutti i frammenti (materiali e non) e, in seconda battuta, quanto tempo è intercorso tra lo “stato di frantumazione” e il momento in cui si decide di dargli voce. Qualora infatti si ricomponessero tutti i frammenti possibili e si avesse l’idea dell’insieme, si avrebbe una nuova realtà (pensiamo ad es. ai remake e ai repertori, che posso considerare ricostruzioni di “frammenti”, ma che ad ogni rappresentazione sono comunque qualcosa di diverso). Se invece ci fossero delle zone mancanti, si avrebbe la lacuna, la quale comporterebbe una serie di problematiche per il suo reintegro e a cui occorrerebbe dare una lettura più consona possibile. In ogni caso si deve capire la contestualizzazione presente e passata, poiché con il tempo si creano mutamenti tali da non poter giustificare “ricollocazioni” identiche al passato.

Frammenti presenti (ossia di opere attuali, dove si è in grado di avere esattamente i medesimi elementi costituenti la danza quali i danzatori, le scenografie e via dicendo) pongono quindi il problema del corretto “montaggio”. Quelli che invece potremmo definire del passato - in contrapposizione a quelli del presente poc’anzi descritti - vale a dire quelli in cui è trascorso un lasso temporale più ampio tra la formazione dei frammenti stessi e la decisione di ricomporli, pongono il

278

Sia che delle opere siano ridotte in frammenti o costituite per loro natura da frammenti, c’è un forte richiamo alla morte. Nel caso ad esempio dell’opera mosaicata notiamo come essa sia formata da innumerevoli frammenti, ognuno vitale alla realizzazione dell’insieme, e nonostante la durevolezza del materiale nella sua singolarità, sia estremamente fragile nella sua complessità (se manca un tassello, gli equilibri di “attacco” sono messi in discussione). Per riprendere le parole di Solmi nell’introduzione di Angelus Novus: «Il mosaico è l’arte allegorica per eccellenza, dove la spinta vitale è arrestata e l’immagine, composta di innumerevoli frammenti dati, è già di per sé (prima ancora del suo significato) allegoria della morte o della trascendenza», cfr. SOLMI R., Introduzione, in BENJAMIN W., Angelus Novus: saggi e frammenti, a cura di R. Solmi, Torino, Einaudi, 1962, ed. agg. 1995, p. XII.

129

problema della reintegrazione delle lacune incorse con il tempo e una ricontestualizzazione, una traduzione in un linguaggio attuale. Quindi ogni caso necessita di una riflessione specifica, apposita.

In più rammentiamo che si può avere anche una componente di frammenti immateriali, quelli “mnemonici” fondamentali per ogni ricostruzione o creazione ex novo di una coreografia. Con ciò intendo ad esempio il ricordare i passaggi coreografici da parte di un danzatore che attinge al suo sapere, a quel bagaglio di movimenti che ha immagazzinato nel corso del tempo. Per questo processo di “ricomposizione” può avvalersi dei frammenti materali quali foto, scritti e quant’altro. Vi è poi il ricordo dello spettatore, anch’esso definibile come “frammento mnemonico” e che può essere utile per comprendere quali emozioni possa suscitare una danza in una determinata epoca, come viene vista e vissuta.

Quello che appare evidente, considerato tutto ciò, è che l’elemento che crea le variabili maggiori è il danzatore, che potremmo immaginare come il supporto con il “disegno preparatorio” e collante di questi frammenti, indispensabile per la realizzazione dell’opera finale, di cui è parte integrante279. Lui è l’elemento mortale

e il suo corpo è quanto fino ad oggi è sfuggito ad ogni logica di conservazione.

279

Cfr. ARGUEL M. (a cura di), Danse: le corps enjeu, Parigi, PUF, 1992, p. 205; SACHS C., Storia della danza, Milano, Il Saggiatore, 1966; BENJAMIN W., Angelus Novus, op. cit.

Non dimentichiamo che un’altra frammentazione può incorrere nei confronti del danzatore, poiché il suo corpo può essere vissuto da chi guarda, in quanto lo “analizza” nelle singolarità delle componenti del corpo, piedi, mani, gambe, ecc. Interessante come Guy Ducray nel testo Corps et graphies. Poétique de la danse et de la danseuse à la fin du XIX siècle, dedichi un capitolo a La Danseuse en morceaux, analizzando proprio questa frammentazione cui la danzatrice è soggetta quando il suo corpo viene visto come insieme di membra. Questa la citazione (tratta da QUIGNARD P., Une Gêne technique à l’égard des fragments, 1986) con cui apre il capitolo: «La fragmentation est une violence faite ou subie, un cancer qui corrompt l’unité d’un corps, et qui le désagrège comme il désagrège tout l’effort d’attention et de pensée de celui qui cherche à porter son regard sur lui», cfr. DUCRAY G., Corps et graphies. Poétique de la danse et de la danseuse à la fin du XIX siècle, Paris, ed. Champion, 1996. Nel testo vengono poi citati una serie di artisti che fanno della frammentazione il loro linguaggio, soprattutto letterario, che ben si confà alle caratteristiche del XX secolo, che si preavvisavano già alla fine del XIX secolo, quando si forma tra l’altro anche una

130

Per dare l’idea dell’importanza e centralità del danzatore mi avvarrei di una metafora, molto semplice, ma assai diretta ed esplicativa. Immaginiamo un fiore, una margherita, dove il pistillo (sede del polline e/o del seme che permette la nascita di nuovi fiori) è il corpo del ballerino, mentre i petali sono tutto ciò che arricchisce questa danza: i costumi, la coreografia, la scenografia, la musica, le arti che potrebbero essere connesse, le eventuali tecnologie usate, il luogo scenico. Per vedere il fiore nella sua completezza ho bisogno di tutti questi elementi i quali però sono “sostenuti” e ri-prodotti da quel pistillo, da cui dipende anche il colore, mentre la loro forma e disposizione dipenderà, come una sorta di sezione aurea (che investe la natura con proporzioni “ritmiche”), dal ritmo. Ritmo che a sua volta è mosso e smuove ancestrali memorie del corpo e sensazioni e che accomuna le varie arti. Ecco perché il danzatore e il suo corpo hanno un ruolo centrale.

nuova visione del corpo e forse anche una strumentalizzazione, difatti la frammentazione di cui parla assume una connotazione di negatività, come focalizzazione dell’attenzione su una parte del corpo.

131