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La storia è per Panzini soprattutto storia letteraria. Le opere e gli autori da lui amati entrano nel DM non meno che nelle sue narrazioni, e in modi molto diversi138. Si comincia con le moltissime citazioni classiche (fra cui qualcuna direttamente in greco inserite nell’ordine alfabetico latino ( [[Erw" ajnivkate, {On oij qeoi; filou'sin, ajpoqnhvskei

nevo", Paqhvmata maqhvmata)139 degli autori più diversi: Giovenale, Livio, Seneca, soprattutto da «quell’acuto ingegno sereno che fu Orazio» (v. Est modus in rebus) e da

138 Delle citazioni nel DM parla rapidamente MARRI, cit., pp. 61-64, concentrandosi soprattutto su Carducci, Pascoli, Manzoni, Dante e su vari «spunti di critica militante».

Virgilio (specie dal secondo dell’Eneide, sulla distruzione di Troia, libro particolarmente congeniale a Panzini perchè pervaso dal rimpianto di quel che più non è, da cui il DM cita le vv. Ab uno disce omnes, Fuimus Troës, Quorum pars magna fui, Magna pars, Timeo

Danaos et dona ferentes).

Anche la cultura letteraria all’interno del DM va oltre la classicità e tocca, oltre che il latino non classico (cita sentenze della Vulgata, della Scolastica, della scuola salernitana…), i grandi nomi della tradizione italiana, e qualche autore più recente, italiano (in primis Carducci, Pascoli e d’Annunzio), francese (cita Zola, Murger, France, Dumas padre e figlio), di lingua inglese (Shakespeare, D.H. Lawrence, Poe, Wilde) e tedesca (Heine, molto spesso ricordato anche nei romanzi, Goethe, rimesso in voga dalla

Ronda, e da Panzini definito nella v. Frac - ! - «il Giove letterario di Germania»,

probabilmente sulla scorta di un celebre aneddoto raccontato da Heine), tutti scrittori di cui nel DM non di rado si parla anche per le loro vicende personali.

Rispetto all’immensa quantità di citazioni e aneddoti si dà un’esemplificazione assai ridotta. L’autore talvolta si limita a spiegare la provenienza e il significato letterale della frase celebre, specie se essa non è in italiano:

Fugit…irreparabile tempus: (Virg., Georg., III, 284) fugge l’irreparabile tempo; la forma intera è fugit

interea, fugit irreparabile tempus,

To be, or not to be: […] ingl., «essere o non essere»: filosoficamente è il dilemma dell’esistenza, se essa è

veramente, o è illusione; v. Cogito, ergo sum. Ma si dice in più facili e miti sensi; v. That is the question e

Essere o non essere,

Esser fra color che sono sospesi: cioè incerti della propria sorte (Dante, Inferno, II, 52) […].

Oppure si ha l’impressione che la citazione, tutt’altro che bisognosa di spiegazione, sia stata inserita solo perchè per qualche motivo a Panzini piaceva:

Era di notte: (e non ci si vedeva, perchè Marfisa aveva spento il lume). Goldoni, «il poeta fanatico», atto

III: Graziosissimo! Sono versi di Brighella, molto belli e chiari!,

Magnànimi lombi: nobili ed illustri progenitori (Parini, Mattino, 2): locuzione fatta comune ed usata

ironicamente, secondo il senso del Poeta,

Buone cose di pessimo gusto (Le): emistichio di quella indimenticabile poesia di Guido Gozzano, L’amica

di nonna Speranza, divenuto popolare.

Altre volte Panzini chiarisce il contesto in cui l’espressione si usa:

Et verbum caro factum est (et habitat in nobis): […]. Si dice in senso profano per significare il sogno,

l’idealità (verbum), divenuta cosa reale (caro = carne),

Neque semper arcum tendit Apollo: […] cioè Apollo non sempre ferisce (Orazio, Odi, […]); ma il motto

è usato anche nel senso che conviene riposare per meglio ritemprarsi al lavoro. […] Ricorre anche in più largo senso: cioè non sempre si può e in tutte le parti dimostrare lo stesso valore (riferendosi a cose d’arte),

Essere o non essere: (Amleto, atto III) locuzione riferita furbescamente talora alla condizione del marito

rispetto alla fedeltà della moglie […].

Victrix causa Deis placuit, sed victa Catoni: famoso verso eroico di Lucano […]. Si ripete […] a conforto

di magnanimità sfortunata. Certo è che la Storia è con chi vince, e quel volterriano di Federico II re di Prussia soleva dire che Dio è sempre dalla parte di chi ha i battaglioni più forti,

Sta come torre ferma, che non crolla || giammai la cima per soffiar de’ venti: noti versi di Dante (Purg.

V, 14-15), espressione della più alta individualità eroica della coscienza […]. (I salici e le canne però sono più sicure contro gli uragani che non le torri),

Nihil sub sole novum o novi: […] (Ecclesiaste, I, 10). verità millenaria che gli uomini fanno bene ad

obliare, altrimenti molta tristezza e molta inerzia graverebbe su di loro140,

Tèmpora, o mores (O ): oh, tempi!, oh costumi! Celebre epifonema di Cicerone (Catilinaria), tradotto per

celia scolastica, oh, tempo delle more!

Altre volte il commento rapporta la frase alla realtà storica contemporanea:

Silent leges inter arma: […] Di questa saggia sentenza non si ricordarono molto i ministri parlamentari

d’Italia, durante la Guerra!,

Hic manèbimus optime: […] motto augurale del centurione romano (Livio, libro V, cap. 55), quando al

tempo dell’incendio di Roma per opera dei Galli […] si trattò di trasferirsi a Vejo. Acquistò forza di intercalare e fu solennemente detto da Quintino Sella nel 1870 quando la capitale del regno d’Italia fu portata in Roma.

A questo proposito è interessante seguire l’evoluzione del commento all’oraziano Dulce

et decorum est pro patria mori, massima particolarmente delicata a quei tempi. Le prime

due edizioni la trattano con un certo distacco, come una eroica reliquia che ha perso ogni utilità in tempo di pace:

Dulce et decorum est pro patria mori: dolce e nobile cosa è morir per la patria: antica massima sublime,

da Orazio […] così armoniosamente espressa. Orazio, a vero dire, preferì gettar lo scudo, vantarsene per cortigianeria, e vivere […]. La massima, ripetuta nei secoli, va oggimai perdendo il suo valore intimo a cagione delle mutate condizioni della nuova civiltà: conserva tuttavia il suo stupendo valore storico.

Da DM3, verso la fine della Prima guerra mondiale, Panzini si ricrede ed aggiunge:

così io scrissi. Ma gli anni della terribile Guerra han ridato valore attuale, anche troppo, al motto glorioso (1918).

L’ultima redazione rielabora completamente la voce, riducendola drasticamente e omettendo ogni pericoloso riferimento attuale alle «mutate condizioni della nuova civiltà»; scrive semplicemente:

Dulce et decorum est pro patria mori: dolce e nobile cosa è morir per la patria: antica massima sublime,

da Orazio (Odi, III, 2, 13) dedotta da Tirteo, e così armoniosamente espressa.

Spesso Panzini racconta più o meno diffusamente l’origine del motto, con le modalità che abbiamo già visto per i modi di dire non d’autore:

Linquo coax ranis: lat. lascio il gracidare alle rane, dice mastro Lo nello Specchio del Passavanti: mastro

Lo, gran savio mondano, abbandonando le cose mondane. Quant’è bello! Vale un volume di filosofia!,

O sancta simplicitas!: esclamazione attribuita a G. Huss sul punto di morte, vedendo un villano che nel

suo ingenuo fanatismo recava legna pel rogo. Eufemisticamente per imbecille,

Fortiter in re, suàviter in modo: […] motto della Compagnia di Gesù, che ha sua origine nelle parole del

generale dell’ordine, Claudio Acquaviva, il quale nell’opera Industriae ad curandos animae morbos (Venezia, 1606): dice: fortes in fine assequendo et suaves in modo assequendi simus. […],

Espressione geografica: fu detto dell’Italia: Italien, ein geographiscer Begriff, frase del principe di

Metternich (circolare del 6 agosto 1847), del cui valore non è qui il caso di ragionare. Nel periodo del Risorgimento fu ritenuta come ingiuria. […] Il Metternich usò in quell’occasione tale frase anche per la Germania.

Abbiamo visto che Panzini ama aggiungere negli interpretamenta citazioni latine; con ancora maggior piacere vi inserisce frasi dei “suoi” autori, che sono ugualmente non necessarie, ma spesso offrono richiami suggestivi:

Èros: gr. amore che, secondo Esiodo nella Teogonia, fu il primo Dio e secondo Freud […] è l’istinto

dell’amore, che tende alla procreazione. La sua espressione dinamica si chiama libido. “Ero" ajnivkate: o

Amore invincibile, principio di uno fra i mirabili cori dell’Antigone di Sofocle. E Virgilio: Omnia vincit amor, motto del Boiardo. E Leonardo da Vinci: L’amor omni cosa vince […],

Musicoterapia: la cura di certe infermità, specie nervose, mercè la musica. Cfr. Dante dove dice che il

musico Casella «solea quetar tutte le mie voglie» […],

Bugia: […] in francese bougie è la sola candela, e il candeliere basso che noi chiamiamo bugia, è invece

chiamato bougeoir. «Je substituai, dans le bougeoir de sa chambre à coucher, una bougie de ma composition». E. Poe, traduz. del Baudelaire, Le Démon de la Perversité. […].

Talvolta Panzini si compiace (come nei romanzi) della sua capacità di creare collegamenti fra autori ed epoche diverse, e pare quasi che certe citazioni siano inserite nel DM proprio per ostentare tale abilità:

Video meliòra probòque, deteriòra sèquor: nota sentenza d’Ovidio (Metamorfosi, VII, 20-21): Veggio ’l

meglio ed al peggior m’appiglio (Petrarca, nella canzone I’ vo pensando, e nel pensier m’assale); ed il

Foscolo (sonetto, Il proprio ritratto): Do lode alla ragion, ma corro ove al cor piace. Cfr. San Paolo, Ad

Romanos, VII, 19-21,

Bruno il bel non toglie (Il): leggesi nella Gerusalemme Liberata (XII, 21), ed è una reminescenza del

motto biblico: Nigra sum, sed formosa (Cantico dei cantici, I, 4).

Nonostante questo profluvio di frasi celebri, Panzini critica nello stesso DM l’uso improprio o superfluo delle citazioni -latine, italiane o straniere- sia che siano scelte solo per vezzo, perché «in latino fa più effetto», come si dice nella v.

Necessità non ha legge: necessitas non habet legem, storiche parole di Bethmann-Hollweg, cancelliere

germanico, a giustificazione dell’invasione del Belgio, proferite il 4 agosto ’14 al Reichstag. Anche altri diplomatici dicono così; e in latino fa più effetto, come l’omnia munda mundis al buon frate Galdino,

(cfr. supra la v. Lapin, in cui il frate dell’ottavo capitolo dei Promessi Sposi è correttamente Fra Fazio)141; sia quando le citazioni si riducono a frase fatta o luogo comune, come osservato in altre voci “programmatiche” del Dizionario:

Luogo comune: press’a poco come frase fatta, cioè espressione o locuzione d’effetto, in origine, ma che

per il troppo ripetersi e non sempre a proposito, è diventata enfatica e consunta, priva di efficacia, anche se di origine illustre […],

Frase fatta: così si chiamano, talora con lieve senso di spregio, alcune locuzioni artistiche o di carattere

sentenzioso, le quali per essere molte volte ripetute, non inducono commozione e persuasione. Es.: la proprietà è un furto; la carità del natio loco; intelletto d’amore; eredità di affetti. […];

oltre a quelle citate come esempi, il DM raccoglie varie frasi criticate per quest’ultimo motivo, come:

Non scholae sed vitae discimus: (Seneca, Epist., 106) […] sentenza usata e abusata nelle scuole: frase

fatta,

Fatale andare: locuzione dantesca […]: è passata nel linguaggio comune e sa di enfatico […],

Nihil est in intellectu quod prius non fuerit in sensu: […] motto del sensismo, erroneamente attribuito a

Locke […] perchè di formazione anteriore. Teoria filosofica che ogni conoscenza abbia origine dalla sensazione. Sentenza di uso ed abuso scolastico, specie fra i pedagogisti,

Se Dio non esistesse bisognerebbe inventarlo: […] Voltaire […]. Abusata sentenza, che per certa sua

arguzia di antitesi si ritrova, con qualche variante, nel patrimonio filosofico delle persone mediocri per brio e per filosofia […].

È diversa la tipologia delle altrettanto frequenti citazioni nelle opere di fantasia; i richiami in sostanza sono divisibili in due grandi gruppi: le citazioni dichiarate, quando Panzini riporta come tali versi, luoghi, personaggi o sentenze di Dante, Petrarca, Carducci, Ariosto, Manzoni, Machiavelli…, e le citazioni non dichiarate, ma anch’esse così evidenti e quasi sfacciate che non si possono certo chiamare “allusive”142. Il fatto di tirare sempre in ballo la letteratura è un’abitudine un po’ pedantesca su cui Panzini stesso ironizza più volte: «“bravo!” dissi a me stesso, “eccoti a far ancora della letteratura”» (L p. 15), «lo so, ci siamo ancora con la letteratura!» (L p. 17), «Questa specie di ampio sentire può dare all’uomo l’aspetto esterno come di un riminchionito» (L p. 30, detto a proposito del lasciarsi andare ad un’«allegra fantasia boccaccesca» -ovvero al ricordo di una delle beffe ai danni di Calandrino- durante la gita in bicicletta).

Per farsi un’idea dei richiami del primo gruppo è sufficiente leggere qualche passo dei romanzi, ad es. i primi due capitoli della Lanterna di Diogene. Fin dalla prima pagina, alla partenza da Milano, si dice che «la cappa del cielo era proprio così bella come assicura il Manzoni nei Promessi Sposi» (L p. 7). Subito dopo troviamo nominati l’Orlando Furioso, la Gerusalemme, l’Odissea, la Commedia, esaltati per l’effetto che

141 Però Panzini, contraddicendo questi principi, nei romanzi autobiografici a volte si rivolge in greco a persone sicuramente non in grado di intenderlo (L p. 33, VL p. 307).

142 A. De Molo li considera invece sapienti «doppi fondi», «sfida aperta al filologo, al curioso, al lettore che con l’autore condivide formazione ed interessi» (A.DE MOLO, Panzini e i classici, in Panzini oggi, cit., pp.

producevano sul narratore quando li leggeva da ragazzino: «questi magici libri non mi dicevano mica: “Mettiti lì, a far dei commenti!», ma invece mi dicevano paternamente: “Va, cammina, svagati!”» (L p. 8). Poco sotto si parla del saluto ai conoscenti che rimangono in città («dissi nel cuore biblicamente: “Nescio vos!”», L p. 9), degli «eroi di Gualtiero Scott» (L p. 10), dell’incontro di Alessandro il Grande con Diogene (L p. 11). All’arrivo sul Po il narratore racconta: «attesi se per le acque lontane giungesse alcuna voce di antica epopea, alcun sospiro dell’idillio di Aminta in cui tu esalasti l’anima giovane, o Torquato! Ma il castello estense di Belriguardo non c’è più!» (L12). Nel secondo capitolo arrivano le citazioni vere e proprie: paragonando il suo viaggio a quello di altri viaggiatori dell’antichità «i romei, i cavalieri erranti, i clerici vagantes, i trovieri» ricorda Jaufré Rudel, Guinizzelli e cita i Trionfi petrarcheschi (L p. 15). La discesa verso la pianura padana gli fa venire in mente le parole di Pier da Medicina e Guido del Duca nella Commedia (L pp. 17-18). Il resto del libro presenta una analoga concentrazione di richiami letterari palesi, che si ritrova grosso modo anche nelle altre opere esaminate (a parte PM).

Nelle opere narrative le citazioni non dichiarate sono altrettanto frequenti; troviamo sentenze classiche anche al di fuori dei romanzi ambientati nell’antica Grecia o a Roma, e viceversa in queste ultime sono presenti vari riferimenti alla letteratura successiva (situazione del tutto analoga ai già visti riferimenti alla storia).

È abbastanza scontato che la frase dulce et decorum est pro patria mori sia scritta dal ginnasiale primogenito del Paterfamilias (FV p. 802) e lodata dall’imperatore Augusto di fronte al suo autore, pur se in traduzione italiana (BL p. 533). È invece ancora una volta volutamente anacronistico riferirsi a motti nati dopo, come la profezia di Augusto a Orazio «credo che voi vivrete a lungo nella memoria degli uomini, e sarete ricordato specialmente come Orazio satiro» e il salace nisi caste, saltem caute (che il DM riporta con una chiosa vagamente anticlericale: «consiglio speciale a chi fece voto di castità») nell’invito –nel Liber assente- di Catullo a Lesbia infedele: «Sì, riconosco, non è mondano, non è galante mostrar gelosia. Solo ti prego di essere se non puoi casta, almeno più cauta» (BL p. 610). Sono riferimenti, non dichiarati ma evidentissimi, a Dante e a Goethe i tre brani successivi (BL pp. 599, 643 e 644):

Grande era l’amicizia fra Cicerone e Catone.

Un giorno che il grande oratore non ne poteva più, disse a Catone: «Ma come devo fare con Terenzia?»

«Fa come ho fatto io con Marzia mia.» «Come hai fatto tu con Marzia tua?».

È che quando le divine Muse sono gioconde, diventano esse stesse costruttrici di meravigliosi navigli, con strani equipaggi, con itinerari non mai percorsi. Vie libere! Non impedimenti, non sbarramenti! Camminano all’alitare del canto. Poca compagnia: tu e io. Guido, Lapo, e le belle donne! Talvolta sta a poppa un angelo, con le ali spiegate. Talvolta sta a poppa un vecchio con gli occhi di fiamma

Quivi ha principio l’Italia, qui appaiono agli stranieri i grandi occhi neri delle donne d’Italia, qui fiorisce il cedro e verrà giorno che un poeta straniero, qui discendendo, canterà lui pure l’immortale canzone fatta anche lei di nulla: “Sai tu la terra dove fiorisce il cedro?”,

(cfr. in DM la v. Kennst du das Land, wo die Citronen blühn, che nella traduzione sostituisce ancora una volta i limoni dell’originale coi «cedri»). È con un’eco del

celeberrimo timeo Danaos et dona ferentes (come si è detto, lemmatizzato nel DM) che Panzini avverte che i giudici di Archia «temevano la Grecia anche se essa portava doni poetici» (BL p. 545). Fra gli “anacronismi” di Santippe ci sono il motto linquo coax

ranis, riportato assieme alla storia della sua origine (S p. 213) e l’accostamento fra

Socrate ed altri che avevano l’«abitudine» di «chiacchierare»: Cristo, Dante, San Francesco, Tolstoi e Campanella, il quale «portava per emblema una campana, e aveva per motto: “Non tacebo, non starò mai zitto”» (S p. 226, cfr. DM v. Non tacebo).

Fra le tante citazioni del DM inserite anche nelle opere ambientate nel novecento, cfr. ad es. quis custodiet custodem? sull’ambiguo rapporto fra i fiocinini di Comacchio e i guardiani (L p. 140), Rule Britannia, «le prime parole dell’inno nazionale inglese» ricordate a proposito del soggiorno pisano di Lord Byron (VL p. 321), la definizione dell’Italia Niobe delle Nazioni nel Childe Harold’s Pilgrimage (VL p. 322), l’apertura di paragrafo Incipit vita nova (CN p. 680), e il già citato Thalatta, thalatta, che allude non solo a Senofonte, ma anche all’ode di Heine che si apre con questa esclamazione. Il doppio riferimento è evidente nel confronto fra la voce del DM

Thàlatta, thàlatta! || Sei mir gegrüsst, du ewiges Meer: mare, o mare! salve, mare eterno: così comincia

Arrigo Heine una delle sue grandi liriche […], e vi pone per motto il saluto qavlatta qavlatta con cui i greci di Senofonte salutarono il Ponto […],

e VL p. 350, che riprende dal poeta tedesco il saluto (in Senofonte solo implicito) all’“eterno mare”:

la macchina sibilò. Rimini!

Thalatta, thalatta, l’eterno mare! la lama azzurrina dell’Adriatico saliva verso il cielo, ma io non ti salutai,

eterno mare: io non ti saluterò più!

Heine è uno degli autori più citati in tutte le opere panziniane; anche il riferimento al «falso cane Medoro» in BL p. 642, più che alla figura in sé, è alle pagine in cui Heine racconta la sua visita al presunto «eroico cane»143.

La letteratura entra nel DM anche per altri tipi di voci, inserite in omaggio a certe opere o a certi autori. Si tratta da un lato di singole parole “estetiche”, quasi sempre di paternità dannunziana, e di cui a volte si annota che sono «abusate dagli imitatori» (v.

Liliale), come Aristocrate, Asprigno, Basilissa, Buen Retiro, Magalda, Nivale, Ridarello, Strèpere. Se a d’Annunzio va il merito di rivitalizzare con termini preziosi la prosa

italiana contro la «paludosa bassezza e monotonia dei democratici dello stile»144, Panzini (come lo stesso d’Annunzio, del resto) non ha stima degli imitatori del Vate: «per quel che si pensi del caposcuola, certo fra esso e gli imitatori non v’è traghetto» (v.

143 Per una rapidissima panoramica sulle fonti più importanti (fra cui appunto Heine) della cultura classica e moderna di Panzini mi permetto di rimandare a M.FRANCHI, Panzini, memoria culturale e suggestioni

europee, in «La Piè», LXXVIII (2009), 1, 15-17.

144 DM1, Prefazione, p. XXVI, n. 1. Su Panzini e d ’Annunzio cfr. N.LORENZINI, Tra «abbiosciarsi » e

«zàgara»: il D’Annunzio di Panzini, in Alfredo Panzini nella cultura letteraria…, cit., pp. 241-51, e la Appendice che elenca i lemmi del DM contenenti riferimenti al poeta; sono ben 197, numericamente

Dannunziano in DM2). Stando al DM «questo fortunato ed ampolloso scrittore» «ogni

[…] cosa» del quale conosce almeno «qualche voga»145, che «ricercato esageratamente l’artificio della parola» (v. Dannunziano) ha il limite di presentare contenuti studiati e insinceri, contravvenendo all’oraziano Si vis me flere, dolendum est Primum ipsi tibi, lemmatizzato e in DM1 concluso dalla frase «NB. È ciò che manca al d’Annunzio il quale, per ciò solo, non può raggiungere l’agognata eccellenza ».

Oppure ci sono voci che facilitano la lettura di certe opere recenti, o la comprensione di riferimenti ad esse, adempiendo ad un compito simile a quello che abbiamo visto assolto dalle voci sulle antichità classiche per le opere antiche. Vengono lemmatizzati i nomi di vari personaggi, come si è già visto (a D’Artagnan e al Cid vanno accostati Azzeccagarbugli, Banco, Bel Ami, Fantomas, Yorick, Ronzinante, Shylock,

Tartufo…), certi “tipi” (v. Zio d’America, «deus ex machina di commedie e romanzi»),

personaggi o vicende divenuti miti moderni (Otello, Siegfried, Signora delle Camelie,

vascello fantasma). Infine, ci sono certe voci che probabilmente sono state lemmatizzate

nel DM perchè ricorrono in opere letterarie: Astro-nautica («navigazione fra gli astri come per fantasia imaginò Giulio Verne […]: ma oggi si tenta sul serio!»), Giaùrro («voce turca che vale infedele, detto, per ispregio, de’ cristiani. Titolo di un poema del Byron»), telega (un tipo di carro russo, compare nel Michele Strogoff di Verne),

Scotland-Yard («voce ricorrente nei romanzi gialli»; fin da DM3 compare anche la v. Sherlock Holmes).

Aneddoti su scrittori

Sia nel DM sia nei romanzi, Panzini raccoglie anche aneddoti sulla vita (e sulla morte) degli scrittori e semina qua e là i suoi giudizi sulla letteratura contemporanea.