Nel complesso e confuso panorama politico degli anni Venti e Trenta, Panzini dunque teme, più che la minaccia alla libertà rappresentata dai regimi autoritari, ancora vaga ma già avvertibile («nell’impero di Germania sorgeva altra Croce da quella cristiana; e i popoli stessi d’Europa erano distinti in più degni e meno degni di regnare in Europa»170), i disordini, lo schiacciamento dei singoli individui in nome di nobili principi di uguaglianza, ma applicati a volte in maniera rozza, «nell’esagerato sentimento moderno della subordinazione dell’individuo al fine sociale» (v. Antisociale)171, a volte con interessata malafede, e spesso con violenza, come aveva visto nel primo dopoguerra con le leghe contadine in Romagna:
[1923] Ruolo unico: ideale tipicamente democratico! La democrazia voleva grado e paga conforme al merito; il socialismo pareggia Aristotile allo spazzino, Dante all’asinaio che gridava arri […],
[1923A] Avanti o popolo, alla riscossa, bandiera rossa trionferà: canto dei nostri comunisti alla russa che imperversò specialmente negli anni 1919-20 con occupazione di fabbriche, caccia al tricolore, arresto di treni con soldati, ecc. ecc.
[1905] Rus: […][1923] Coi boicottaggi dei leghisti e coi contadini padroni, e assalti e svaligiamenti alle ville, addio rus! (1919),
[1905] Mezzadria […]:[1923] le agitazioni a tipo socialista [fino al 1931: «a tipo rivoluzionario»], seguite dopo la guerra, tendono a distruggere questo patto colònico; […].[1935] Riconfermata da Mussolini, dando alla proprietà diritti e insieme doveri (1934) […].
Il DM fin dal 1923 invita a non temere chi vuol riportare un po’ di «disciplina»:
[1918] Reazione: […] in senso politico, tendenza e azione antiliberale. Vero è che nelle nostre democrazie spesso reazione è un drago di carta, usato e abusato per ispaventare chi voglia disciplinare la nostra indisciplinatezza172 […],
170 DM7, Dichiarazioni, p. XII. Sul nazismo, cfr. infra.
171 Sulla paura di Panzini nei confronti della società di massa che misconosce i meriti e uniforma gli individui, cfr. G.DE SANTI, Panzini e le ambiguità del borghese rurale, in Alfredo Panzini e la cultura
letteraria…, cit., pp. 390-91, e A.STORTI ABATE, Panzini piccolo-borghese, ibidem, pp. 403-23 e le
Conclusioni, di G.MANACORDA, ibidem, pp. 425-33.
172 Panzini sta parlando di «nostra» indisciplinatezza per pura diplomazia (la “reazione” non si sarebbe mai mossa contro di lui!). Il suo gradimento per le forze “ordinatrici” è espresso -pur se in termini ambigui- in
e guarda con uguale paura ai «socialisti» e ai «comunisti»-«bolscevichi», da lui come da molti all’epoca assimilati in quanto colpevoli di disordini e ruberie e spesso mal distinguibili anche ai loro stessi occhi (in PM sono detti «socialisti», ma si sentono rappresentati da Lenin, cfr. il c. XX dal titolo Viene Lenin).
Se la Lanterna di Diogene è il romanzo più pensoso di Panzini dal punto di vista politico, Il padrone sono me! è il romanzo più perplesso, dove Panzini descrive i gravi fatti che gli hanno fatto esclamare «addio rus!» con gli occhi di un contadino, senza proporre interpretazioni o giudizi (soprattutto alle pp. 486-500). Comuni col DM sono le critiche ai socialisti-comunisti; Panzini riprova innanzi tutto il fatto che essi si proclamino nemici della patria nel loro internazionalismo e antiinterventismo (cfr. le tante e violente discussioni che affronta la «padrona» per poter appendere lo stendardo tricolore, mentre «il deputato in piazza del paese […] gridava che bisognava buttarla giù la bandiera, che è quella dei borghesi e dei tiranni del popolo», PM p. 488). Inoltre constata che, nonostante i principi, troppi di loro pensano prima di tutto al proprio tornaconto, e che c’è sempre chi gode di un trattamento privilegiato: Mingòn conia la definizione di «comunista del chiappa», che «vuol dire chiappa te, che chiappo anch’io»173 (PM p. 487) e sa benissimo che la villa acquistata dall’oste non corre pericolo, a differenza delle altre ville signorili, perchè «l’oste è un’altra faccenda […]! L’oste è uno dei capi socialisti e gli portano rispetto» (PM p. 501).
Queste critiche tornano anche nel Dizionario:
[1918] Superare, superato e superamento: […][1923] «la patria è un’idea superata», dicono i socialisti italiani [1931] (1918) 174. «Il fascismo supera il socialismo» (1927),
[1923] Bandiera rossa: […] fu spiegata dai cattivi socialisti, in odio al Tricolore. «Da parecchi giorni guardie e carabinieri stanno piantonando le scuole […] per impedire […] gli atti di violenza, che alcuni ragazzetti vanno perpetrando ai danni di scolare che portano il nastrino tricolore» (Resto del Carlino, 18 marzo 1921),
[1908] Dividendo: […][1923] i socialisti parlano del Dio Dividendo adorato dai borghesi; ma forse anche per essi non è il diavolo (1918),
[1935] Compagno [1]: come fratello, come cugino, come camerata, — in politica —, talvolta equivale a ciò che in antico era suddito = sottomesso.
una lettera a Prezzolini del 25 settembre 1922, in cui loda le squadre fasciste che hanno posto fine all’anarchia agraria: «Il fascismo! Io non sono fascista, perché il fascismo è socialismo, né può essere altrimenti; ma ben diverso da quello di quelli altri non nominabili signori. Credo che lei non si dorrà di una disciplina e di una gerarchia, per quanto non eseguibili fra noi. A Roma non potete capire! Bisogna venir qui per capire che forza, e bella e nobile forza, è il fascismo. Hanno fatto più cento ragazzi delle 40.000 regie guardie e impiegati dello Stato» (A.PANZINI eG.PREZZOLINI, Carteggio 1911-1937, a c. di S. ROGARI, Rimini, Panozzo, 1990, p. 53).
173 Già nelle Chicche di Noretta (1908) un contadino esprimeva poca fiducia nella possibilità di fare la «rivoluzione», visto che i capi appena hanno raggiunto una certa agiatezza sono i primi a rinunciarvi: «Il capo della lega dice da tanti anni: Ragazzi, state pronti! Lui, intanto, il capo lega, fuma la pipa sdraiato anche lui tutt’il giorno sulla panca della sua bottega, quando legge “il foglio” ai contadini; ma è troppo grasso lui, sta troppo bene anche lui. Per fare la rivoluzione, ci vuole della gente magra» (FV p.765). 174 Cfr. anche VL p. 352: «il giornale socialista» pubblica «vignette in dispregio dell’Italia se fa guerra, dell’Italia se non fa guerra».
Panzini è molto attento agli eventi contemporanei, italiani e internazionali, fin da DM1 (cfr. le vv. sul caso Dreyfus, Affaire e Verità è in marcia). Nel DM sono presenti voci che si riferiscono a fatti molto lontani, come tutte quelle sulla guerra russo- giapponese, o la v. Disobbedienza civile (è Panzini stesso a ricordarci che in India le lotte iniziarono nel 1930 e che Gandhi andò a Londra nel 1931; si trattava di fatti piuttosto recenti e di cui ancora non si potevano supporre le clamorose conseguenze, eppure Panzini li registra, forse anche per la simpatia che destava in lui la piccola figura con «gambe nude, manto di lana bianca, telaio a mano», possibile emblema di una «sfida alla civiltà meccanica»), e persino la v. Loch-Ness («mostro marino in un lago di Scozia. Tenne il cartello per tutto il 1934»). Naturale che eventi clamorosi come la Rivoluzione Russa, la guerra mondiale e l’inarrestabile ascesa al potere di Hitler comportassero l’arrivo anche in Italia di molti nuovi vocaboli, che il DM registra con notevole tempestività.
Russia e comunismo
Del comunismo russo si parla in varie voci, e in modi piuttosto diversi col passare del tempo: fino al 1927 c’è nei confronti del nuovo fenomeno politico una prudente curiosità, ma già nel 1931 buona parte delle speranze erano svanite. Riporto le voci di DM5, seguite dalle aggiunte o dalle modifiche contenute in DM7 (ed eventualmente in DM6):
[1908] Comunismo: dottrina antichissima […]: propugna un ordinamento sociale in cui siano comuni tanto gli strumenti del lavoro come la ricchezza prodotta (e, logicamente, anche la donna) così che ciascun uomo lavori per quanto può e consumi secondo i suoi bisogni […].[1923] Nel febbraio 1920 i Sovieti di Mosca invitarono (?) il partito socialista italiano ad assumere il nome di comunista. Il Comunismo fu proclamato (1921) dalla Pravda […] la felicità per l’umanità intera;
DM7 stende un ulteriore dubbio sulla realizzabilità del programma aggiungendo fra parentesi l’osservazione «quando vi promettono la felicità in terra c’è da avere molta paura !».
[1923] Bolscevismo: socializzazione di «tutto», passaggio di tutte le forme e tutte le forze di produzione nelle mani dello Stato, concepito non già come espressione della totalità della società, bensì come dittatura di classe, e come mandatario dei lavoratori della forza fisica, […] con rinnegamento intransigente di tutti i diritti fin qui riconosciuti all’ingegno e al risparmio. Così in Russia (1918). Questo programma così attraente per i nostri operai e contadini, pare di applicazione difficile […].
Già nel 1931 viene tolto ogni accenno al fatto che per certuni il programma possa essere «attraente» e l’ultima frase è rimpiazzata dalla citazione «Videbis, fili mi, quam parva
sapientia regitur mundus». DM7 accorcia la v., curiosamente eliminando proprio
l’accenno al «rinnegamento intransigente di tutti i diritti»
[1923] Czar rosso: Lenin. «Si tratta di industrializzare interamente la Russia, cioè di compiere l’opera che gli czar […] iniziarono sul finire del Settecento. I bolscevichi hanno abbattuto il regime degli czar, ma non fanno che continuarne, in modo più adatto alle circostanze […] l’opera […]. Essi stanno occidentalizzando la Russia e la trasformano in un paese a tipo industriale, con disciplina di fabrica (di origine borghese)»
(Prezzolini). Ma se ne dicono tante, e se son rose, caro Prezzolini, fioriranno! 1922;
DM6 riassume la citazione e omette l’ultima frase, la DM7 elimina l’intera voce, e dice solo «v. Lenin». Cfr. anche vv. Anticristo, Bolscevìk, Falce e martello, Kremlin,
Kronstadt, Leninista, Leningràdo, Libertà di commercio, Soviet.
Verso la metà degli anni trenta, cominciano a giungere notizie anche degli orrori staliniani:
[1935] Stalin: […] Molto più zar dei vecchi zar. Se i vecchi zar avessero praticato i suoi sistemi sommari, Stalin non sarebbe ora zar (1934),
[1923A] Ceka: […] specie di comitato di salute pubblica in difesa del Comunismo, con poteri pieni e incontrollati (Russia) ma non in difesa della famosa sacra vita umana! [1931] Fu definita da Stalin (1927)
spada nuda del proletariato. […] Prese poi il nome di Ghe-Pe-U. Ma sempre sangue e ferocia […].
Nonostante i risvolti tragici di questi fatti lontani, Panzini non sa trattenersi dall’alludere al comunismo in certe sue chiuse più o meno umoristiche di voci:
[1923] Balli russi: espressione mimo-plastica dell’anima nazionale russa. Fecero il giro di Europa; e in Italia furono importati nel 1917 […].[1927] I veri balli russi ce li ha fatti danzare Lenin (1918-1922), [1923A] Fàscino slavo (Il): espressione fortunata della commedia satirica francese Il bosco sacro […].[1935] Col bolscevismo è nato un altro fascino slavo!,
[1918] Rullo compressore: espressione enfatica e metaforica della Guerra, dedotta dal francese, per indicare l’esercito enorme dei russi, che, come macchina stradale, lenta e potente, avrebbe dovuto comprimere la Germania […].[1927] Il vero rullo apparve poi, con la rivoluzione russa (1917).
È degno di nota che le conclusioni delle prime due voci siano state poi soppresse, e che nei suoi ultimi appunti Panzini collegasse gli esiti più funesti del comunismo con la guerra civile spagnola, ad esempio nelle vv. Bolscevismo («molto sangue fatto versare nella guerra di Spagna (1936-1937») e Ceka («anche la polizia politica spagnola, durante la rivoluzione rossa. Ma sempre sangue e ferocia»).
Prima guerra mondiale e “Vittoria mutilata”
Il fatto contemporaneo che più aveva colpito e cambiato la vita di ciascuno era stata la prima guerra mondiale, la «Guerra». Panzini ne parla a lungo in Il Padrone sono
me! (un po’ dovunque; dei combattimenti veri e propri nel c. XVI) e nel Viaggio,
soprattutto nel c. IV Quattordicimila morti!, e in altri romanzi, come nel commosso
Diario sentimentale della guerra, dedicato al «soldato noto d’Italia Renato Serra»175. Il DM accoglie un vasto lessico sorto e diffusosi durante la «Guerra»: parole (Asso,
Autodecisione, Autolesionista, Balcanizzare, Disfattismo, Dum dum, Pescicani,
Salvagente, Disfattista176), modi di dire (Bocche inutili, Esperanto di Hindeburg, Star
bene come un prigioniero austriaco in Italia e, dalle imprese coloniali, Bono taliano! , Nicco nicco), abitudini ad essa legate (Far coda), nomi di operazioni (molti in tedesco,
come si è visto), di luoghi di battaglia (Asiago, Grappa, Pasubio, Vittorio Veneto…) e di armate (lemmatizza le armate dalla I alla IX, riportandone i comandanti, i luoghi di stanza, le imprese).
Nel DM è chiaramente registrata l’insoddisfazione per la “vittoria mutilata” (espressione stranamente non lemmatizzata in nessuna edizione) e la chiara sensazione dell’incombere di una nuova guerra. Alla sconfitta italiana al tavolo della pace si allude nelle vv. Wilsonismo (lunghissima, dedicata al presidente statunitense che propose un programma molto favorevole all’Italia, ma che fu giudicato «politica da visionario» a Versailles),
[1923A] Versailles (Trattato di): 7 maggio 1919, consegna del trattato di pace alla Delegazione germanica. [1935] Non diede però pace e giustizia, onde si disse che i trattati non sono eterni,
[1931] Locarno (Patto di): adunanza di plenipotenziari d’Europa nella graziosa città svizzera […] coi ramoscelli d’ulivo, e le tasche piene, dopo la Guerra. L’Italia aveva dato tutto alla Guerra; perciò le sue tasche erano vuote. Il suo ramoscello d’ulivo sventolava un po’ di malavoglia (ottobre 1925),
(cfr. anche vv. Patto di Londra «cose molto tristi, e che troppo pochi ricordano» e Società
delle Nazioni). Una probabile prossima guerra sta sullo sfondo della specie di trattatello
costituito dall’insieme delle voci che iniziano con «pace», dalla prima, superflua («parola suprema di Cristo, di Dante, dei Santi», v. Pace), a Pace automatica («idea americana»),
Pace bianca, e
[1918] Pace cogliona: […] espressione della Guerra poco parlamentare, del parlamentare F. Turati. Tale sarebbe stata la pace che non avesse ottemperato a questo: «rettificazione dei confini italiani per modo che sia dato all’Italia tutto ciò che è veramente italiano […]» (1918),
[1918] Pace tedesca o germanica: la pace del mondo sotto l’egemonia germanica. Espressione della Guerra [1923] (1918). [1935] (Sino a tutt’oggi, 1934, si può dire di tutte queste paci: pace senza pace).
Dunque, una nuova guerra era nell’aria: entrano nel DM le vv. Riarmo, Fronte
interno («le grandi città, che in caso di guerra sarebbero esposte all’azione chimica
dell’arma aerea», sottolineatura mia), Aggressivi chimici («nome generico e quasi benigno dei gas asfissianti e mortiferi per le future guerre»), Antigàs (Maschera) («ne fanno esercizio anche le popolazioni civili») e Disarmista (fin troppo eloquente la frase mussoliniana: «il Lazzaro disarmista è profondamente schiacciato e sepolto sotto la mole delle corrazzate e dei cannoni»).
Nazismo
176 Le ultime tre parole compaiono anche in PM pp. 490, 472 e p. XII della dedica dell’edizione del 1922 citata.
Di nazismo si parla solo in DM7, che esprime più volte riserve nei confronti del regime tedesco (nei primi mesi del 1935 non è ancora iniziato l’avvicinamento che porterà all’Asse dell’ottobre 1936), di cui era già evidente il «carattere dittatorio», l’ideologia razzista e inquietante:
[1935] *Nazi: abbreviazione di sozial-national (Germania). Agg. nazista = nazional-socialista: partito fondato da Hitler (1926), poi salito a governo, con speciale carattere dittatorio, glorificazione e conservazione di stirpe o razza (v. Razzismo e Führer). Gli sviluppi del nazismo hitleriano non sono ancora ben manifesti, ma non promettono bene per noi (1934). Morale non evangelica,
[1935] *Führer: ted. condottiero, detto in Germania di Adolfo Hitler. Ricorda il princeps degli antichi germani di cui parla Tacito. Dopo la morte di Hindemburg, presidente del Reich (2 agosto ’34), capo supremo della Germania, Questo giovane Hitler, portato su gli scudi germanici, è di genitori austriaci. Nella sua opera Mein Kampf, la mia lotta, sostiene il principio della pura (?) razza germanica, e l’assorbimento dell’Austria nella Germania. Anti-semitismo, a pare anche anti-cristianesimo, [1935] Hitleriani: v. Nazi, e Nazismo. Seguaci di Adolfo Hitler. Conseguì il potere in Germania nel gennaio 1933 e il potere supremo il 2 agosto ’34. Antisemitismo, orgoglio di razza, annessione di tutti i tedeschi (v. Anschluss) sono nel suo programma; v. Führer. Il giovane Hitler prevede che «la società umana, anche per effetto di disperazione, si orienterà verso il comunismo russo, se una idealità individuale non porrà argine»,
cfr. anche le vv. Sterilizzazione («legge di Hitler, 1933, allo scopo di conservare la bontà della razza. A parte la misura crudele, pare scientificamente cosa non efficace»),
Anschluss («crescit eundo da parte della Germania (1934)!»), Arier e nichtarier («si vede
che il mondo aveva bisogno anche di questa complicazione»), Onde hertziane («l’anti- semitismo di alcuni tedeschi vorrebbe cancellare la gloria Hertz perchè ebreo»).
Quanto al lontano Giappone, a quell’epoca si era lontani dal pensarlo come un possibile futuro alleato, ma già ne erano visibili le tendenze imperialiste: cfr. le vv. Asia
agli asiatici (L’): «programma giapponese che fa pensare agli europei (1934)» e Gesta Dei per Francos, che associa significativamente tedeschi e giapponesi: «tutti i popoli, dal
più al meno, si credono privilegiati da Dio: ebrei, giapponesi, germani, arii puri, ecc…». La maggior parte di queste voci vengono notevolmente edulcorate -non si sa se da Panzini o da Migliorini e Schiaffini- nelle edizioni postume. Ad esempio, la v. Führer concluderà dicendo «nella sua opera Mein Kampf […] sostiene i diritti del germanesimo contro il semitismo e il bolscevismo») e la v. onde hertziane toglie ogni riferimento alle origini dello scienziato. Rimane qualche residuo di critica nelle nuove vv. Nazional-
socialismo («partito affine al fascismo […], salito al governo (1933), con speciale
carattere dittatorio, glorificazione e conservazione di stirpe o razza») e Sterilizzare («privazione della capacità di riprodursi applicata in Germania a persone degenerate o tarate. Pratica vietata dalla Chiesa»). Viene obliterato il riferimento all’Europa per la v.
Asia agli asiatici , mentre in gesta Dei per Francos l’elenco dei popoli che «si credono
privilegiati da Dio» esclude gli «arii puri».
L’Italia (e la Riforma Gentile)
Americanata, Americanismo («l’eccessiva ammirazione o imitazione degli usi […] degli
americani Stati Uniti. Fenomeno impressionante!»), e Razziatori (erano già «famosi» i «razziatori di biciclette»), e note frasi di uomini politici contemporanei, come gli ora celeberrimi Sacro egoismo (Salandra, ottobre 1914), e Nutro fiducia (Facta, 1922). Registra anche i più gravi problemi del Paese: la disoccupazione (le dedica una voce in DM7, in cui la definisce «una delle tante piaghe del dopoguerra») e l’emigrazione (vv.
Americano «popol. così è detto il nostro emigrato in America, reduce in patria» e Farfariello, «simbolo dell’emigrato nostro meridionale»; abbiamo già visto che nel DM
sono presenti parole del nuovo gergo degli emigrati). La lunga voce Concordato illustra i Patti Lateranensi.
Il DM nomina spesso un altro fatto contemporaneo, per il professor Panzini scelleratamente importante, la «Riforma Gentile» (v. Esame di Stato) del 1923, che secondo lo scrittore ha rovinato le scuole, trascurando il principio non multa sed multum (v. del DM, «vuol dire che nell’apprendere non giovano le molte cose ma l’intensità di alcune poche. Ciò che si acquista in estensione, si perde in profondità. Eppure nelle nostre scuole prevale il contrario!», cfr. anche v. Pluribus intentus minor est ad singula sensus), eliminando l’insegnamento della grammatica («La grammatica italiana insegnava una volta, quando era d’obbligo nelle scuole d’Italia (cioè prima del 1923)», v. S [1]), della «buona retorica» (v. Legno), per rimpiazzarla con la Stilistica (la parola stessa è un francesismo!), cambiando alcuni nomi anche inutilmente, togliendo il Liceo moderno (dal 1923 Liceo scientifico; «la mutazione dei nomi dà agli uomini l’illusione di una mutazione di cose») e imponendo la Maturità («e non più licenza liceale, […] così che i giovani si distinguono sui registri in maturi e non maturi. La qual cosa, in tempo di
giovanezza, non manca di una certa comicità»).
Ma non è solo colpa di Gentile: già nel 1911 Panzini osservava perplesso: «è strano quante cose i professori esprimano con quel “maturo”! Io gli volevo dire: È che il novanta per cento delle teste non sono destinate alla maturazione; e poi è anche perché la scuola è una incubatrice fredda» (FV p. 802). Dunque anche nelle opere narrative e ben prima della Riforma Gentile Panzini esprime disagio per quello che è la scuola dei suoi tempi: già nella Lanterna parla di «inutile scuola dell’alfabeto» (L p. 70), e nelle
Avventure di un Paterfamilias il protagonista «ha una gran paura che la Pedagogia gli [al
figlio] faccia fare un viaggio in baule» (cfr. in DM la v. Viaggiare in baule) fra Virgilio e Dante (FV p. 787), è disorientato di fronte alle nuove interpretazioni della storia antica («quei benedetti tedeschi me l’hanno tutta stravolta») e alla nuova nomenclatura
(«psittacismo […], legge del ritmo, […] estetica», e naturalmente «Stilistica»; tutto in FV p. 798)177.
177 La vocazione e la crisi dell’insegnante sono ben rese nella Cagna nera: alla consapevolezza orgogliosa che non esiste «ufficio più nobile di questo di educare la gioventù» (CN p. 679), perchè «la patria e l’avvenire ci guardano» (CN p. 691), segue la disillusione: «l’alto ufficio di educare e di istruire» (CN p. 685) è pagato miseramente («“Ma come si fa a viverci?” domandai con dolorosa sorpresa perchè quella somma per me rappresentava a pena il salario di un cuoco o di un cocchiere di casa signorile», CN p. 681), può essere umiliante («in quell’angusto spazio mi sentivo stretto e molto avvilito fra quei bambini, come io fossi stato un grosso giocattolo», CN p. 683), ma soprattutto gli stessi studi perdono la loro bellezza e il loro significato: «quel latino disseccato nelle scuole con tutte quelle sentenze di virtù, di amor patrio, di eroismo, di temperanza; sentenze mummificate nei libri di testo sotto l’azione pedantesca delle chiose che vi fanno quei poveri compilatori, mezzo rosi dalla miseria e mezzo dalla presunzione!» (CN p. 709, cfr anche i «latinucci» e le «cosucce» dei «maestri di scuola» in S p. 190).
Panzini non perdona a Gentile nemmeno la decisione, ancora del 1923, di
sospendere l’ultima edizione del Vocabolario della Crusca (in corso ormai da settant’anni e da tempo arenatasi, ma questo Panzini non lo dice), atto «Segno dei tempi!» spesso ricordato e contestato nel DM, come (v. Crusca, cfr. anche Crusca, Scocciare e Uo).
Fascismo
Nel complesso Panzini mantenne di fronte al fascismo un atteggiamento dignitoso e talvolta coraggioso178 anche come narratore (a parte un breve romanzetto di propaganda commissionatogli nel ’34, Legione Decima); per esempio sono piuttosto ardite, dato il periodo, le pagine del Bacio di Lesbia su Augusto, che si autoaccusa di tirannia, pretende