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Le donne: tipologia, comportamenti, accessor

Fra gli argomenti più amati sia nel Dizionario che nei romanzi, il feminino, tutto quello che ha a che fare con le donne, sia “quelle di una volta”, sia le «fanciulle del 900», di cui Panzini si mostra informato e arguto commentatore. Le due voci seguenti sono emblematico riassunto delle differenze fra le donne dei due secoli e di quale sia la preferenza dell’autore, del resto scontata:

Fru, fru: si diceva, una volta, del galante vestire della donna, e anche di donnina galante. Ciò dal fruscio

delle ampie gonne. Bei tempi del romanticismo! […],

Chaperon: […] in italiano vi risponde la voce classica capperone, cioè cappuccio. Nel solito ceto elegante

e mal parlante, chaperon indica quella dama grave d’anni o di senno che accompagna e tutela una signorina in società. […] In francese usasi il verbo chaperonner per sorvegliare e tutelare l’innocenza di una fanciulla. Se ne è fatto un saperonare, e si dice per celia. Sarebbe, caso mai, capperonare. Ma è costume in disuso. Le fanciulle del 900 non sono più capperonate.

Da altri oggetti, abitudini, modi di dire o particolari marginali spesso Panzini trae spunto per commentare, con arguzia quasi sempre gradevole, quello che c’è di nuovo nelle giovani donne del Novecento, quello che è «in via di scomparizione» o quel che rientra nelle note e immutabili caratteristiche (nel bene e nel male) del «genio femminile»:

KKK: Kirche, Küche, Kinder (chiesa, cucina, bimbi) l’ideale della moglie tedesca, in via di scomparizione

anche là […],

Domi mansit, lanam fecit: […] parole che rendono e comprendono l’ideale della mater familias presso i

romani. Questo austero motto si trova nell’antica età ampliato con più delicato sentimento così: Domi

mansit, casta vixit, lanam fecit; ricorre come termine di confronto con la donna odierna emancipata,

Platinare (i capelli delle dame): moda del 900, corrispondente alla incipriatura del 700, ma più difficile. È

operazione di carattere chimico […]. I capelli prendono un colore grigio-chiaro metallico, che è proprio del platino, ed è molto caratteristico dell’età nostra metallica,

Migraine: […] È il nome della malattia che più si presta ad essere simulata come scusa, specialmente dalle

dame; ed è artificio assai antico, come puoi vedere in Ovidio (Amores, I, VIII, 73): capitis modo finge

dolorem, cioè «dà ad intendere un mal di testa»; v. Nottata,

e commentando la stessa frase latina, ripete l’osservazione:

l’emicrania non è un’invenzione delle donne moderne!

Talvolta le voci “seguono la moda” (letteralmente!) e vengono aggiornate:

[1923A] *Garçonne: neol. francese […]; la fanciulla indipendente del dopo Guerra, che non rinunzia all’amore, e in caso di disgrazia, ricorre a Malthus (proibito in Italia dal governo fascista, 1929). La

maschietta, come dicono a Roma. [1927] Si chiamano à la garçonne i capelli corti al filo delle orecchie che

oggi (1924) portan le donne, seguendo la moda americana. Addio verso: erano i capei d’oro all’aura

sparsi! [1935] Ora (1933) pare che le donne abbiano intenzione di farsi crescere i capelli,

[1905] *Décolleté: […] dicesi anche scollatura […]; v. Scollacciato. Un antico proverbio diceva che questa moda accomuna regine e sgualdrine. Ciò non è molto gentile; ma la sapienza del popolo non tien troppo conto della gentilezza. Cfr. l’altro: regina e sgualdrina fanno rima. [1923] Lo scollato dell’anno 1920 e seguenti si è trasferito nella schiena, e le donne si mettono la camicia soltanto... quando vanno a letto. [1931] La camicia? C’è il pigiama. [1935] Ma tutto ciò è del genio femminile. Lo scollato nella schiena probabilmente ebbe origine perchè l’esposizione delle grandi poppe dell’800 non era più di moda; v. Donna

crisi.

[1927] Mammelle o poppe o tette (Le): voci di vasto suono, già vanto della maternità, gloria dei pittori, sospiro dei poeti, rimpianto dl chi ne era priva: ora (1925) condannate dalla moda insieme con i capelli, con i fianchi, col callipigio; v. Seni [1935] e Donna crisi. [1931] Risorgono con moderazione (1930),

[1905] **Pirelli: voce effimera del gergo lombardo per indicare l’imbottitura di gomma che talvolta usano le donne (da G. B. Pirelli, introduttore fra noi dell’industria della gomma) [1927] (1918). La moda tende ora verso il tipo maschile, quindi senza seno, o meno che si può (1925). [1931] Però non dispiace (1930);

rimanendo in tema, si può ricordare che l’osservazione un po’ criptica fatta in una novella a proposito di una donna apparentemente troppo magra

dall’alto dei gradini da cui scendeva, potè Lelio osservare, per concessione dell’accappatoio, che non era assolutamente esatto che San Giuseppe fosse il suo santo protettore,

è perfettamente chiara dopo la lettura di un’altra voce del DM, ancora una volta dedicata alle rotondità femminili,

San Giuseppe: (dice il popolo che ci è passato San Giuseppe, con la sua pialla) per accennare il difetto di

mammelle nelle ragazze […].

Il DM lemmatizza e come al solito commenta i nomi, spesso gergali, di vari tipi di donna: Backfisch, Bona, Catherinette («detto di ragazza fra i 25 e i 30 anni, specie sartina o modista, che si mette la cuffia di Santa Caterina d’Alessandria, patrona delle zitelle, cioè rimane zitella»), Danseuse, Donna crisi («la donna volutamente scheletrica, oggi di moda, ma poco gradita al Regime»), Dulcinèa («scherzosamente, per amante, amorosa.

Dulcinèa del Toboso, l’amante ideale del meraviglioso Don Chisciotte […]. In realtà

Dulcinea era una villana, che puzzava di cipolla, come diceva Sancio Panza»), Foca («o

balena, […] si dice di donna assai pingue, che nulla più conserva della linea muliebre»), Ghèiscia, Kore, Signore sole, Silfide, Suffragetta,

Danzatrice: e non ballerina, oibò!, si vogliono denominare quelle mime le quali in abito da paradiso

terrestre intendono con la plastica del loro corpo rivelare i vari costumi e la psicologia degli affetti. Oh, dove si va a ficcare la psicologia! […],

Mammiferi di lusso: (v. Poule de luxe), perifrasi resa popolare da Pitigrilli, le donne di alta mondanità, Bas-bleu: letteralmente in francese vuol dire calza azzurra, e dicesi di ogni donna saccente. Quanto

all’origine assai incerta di questa parola, ecco quanto se ne legge. Verso il 1781 eravi in Londra un circolo che si accoglieva in casa della signora Montague, grande letteratessa che si doleva di non essere nata uomo; e chiamavasi della calza azzurra (blue stocking -club). […] Il Molière aveva chiamato queste dame femmes

savantes; presso i romani erano dette disertae […],

voce che ha un corollario (quanto mai maschilista e misogino) in quel che si dice di Lesbia in BL p. 562:

se avete udito questa dama ragionare di politica o di poesia, non è che essa fosse una bas bleu, o una femme

savante, o una mulier diserta, come dicevano i latini: ridicola generazione di donne, le quali essendo per

natura prive di grazia e perciò mancando di uomini, trovavano rifugio nella politica o fra le muse.

Accoglie anche molte espressioni di vario tipo sulle donne e i loro comportamenti: vv. Et vera incessu patuit dea («dicesi talora di bella e maestosa donna»), Far la civetta,

Flirt, Flirtare, Gerontocomia, Isterismo, Keep your school girl complexion, Ninfomania, Sculettare («etimologia evidente!»), Senato («in gergo scherzoso, seno molto sviluppato.

Ma con la moda della scarnezza androgina delle donne il senato non è autorevole»),

Signorina («certe zitellone si offendono a sentirsi chiamare signora e non signorina .

Viceversa […] la parola signorina è stata condannata dal Congresso femminile che ebbe luogo a Helsingfors»), Souvent femme varie, Utero,

Pericolo ròseo: locuzione foggiata cavallerescamente su pericolo giallo dallo scrittore Luciano Zùccoli

(Corriere della Sera, primavera 1911) per indicare l’invadenza delle donne scrittrici,

su cui cfr. anche il c. VII del Viaggio, in cui Mimì chiede all’antico spasimante di leggere i suoi versi e fa notare che «vi sono adesso tante donne che scrivono, tante poetesse!». La reazione del narratore è ancora una volta molto misogina: «tutte le volte che una poetessa canta i fiori, le stelle, la luna, ecc. ecc., sotto i fiori, le stelle ecc., se ci si guarda bene, si vede un uomo, cioè l’amore per un uomo o per più uomini. Ciò senza dubbio è cosa interessante, ma un po’ monotona» (VL pp. 287, 289).

Il DM rende infine conto di molti altri oggetti e usi delle donne, accompagnandoli coi soliti commenti: vv. Assassina, Baschetto e Brilli Peri, Bébé, Boa («figura di metonimia, essendo la donna — non la cravatta — il boa constrictor»), Boudoir,

Bubikopf, Combination, Culottes («vedi che roba mi tocca registrare!»), Depilatorio, Déshabillé, Institut de beauté, Khol, Pechinese («il piccolo, brutto, idiota cane di moda.

Caro alle donne!»), Permanente, Pantalons («le mutandine da donna, ma eleganti. Dire

mutandine sarebbe borghese, non è vero?»), Reggipetto, Robe-trotteur, Stola, Farsi le unghie («dipinte anche in rosso, in turchino, in color granato […]. Ha del barbarico»).

Anche nei romanzi lo studio dei comportamenti delle donne è raffinato e il catalogo di figure femminili vario: da donne fatali e affascinanti, come la misteriosa attrice, da cui «evapora l’ombra di un tedio interiore», che fa «olocausto di sé nelle passioni» (L pp. 106, 108), all’elegantissima ed algida «artista» incontrata dal

Paterfamilias («facevano perdere la forza ad ogni pensiero virtuoso quel profilo e quel

profumo», FV p. 809), a un personaggio primordiale come «la Giovanna, la bestia» (L p. 82), a Imperia, bella trentenne nubile, «che spesse volte avea veduto, maschilmente sola, sicura, lanciare, sotto l’impulso del bel piede, la docile macchina leggera» (L p. 121; La «macchina» in questo caso è «antonomasticamente, la bicicletta», come nella v.

Macchina). Dalla «pupa» con geloso accompagnatore attempato, «grazioso balocco per

grossi bambini» (VL pp. 327, 324-25)

È bella? chi lo può dire? Il suo volto pare ricavato per opera di un abile gelatiere da un sorbetto di crema alla vaniglia, con ricami di cioccolata ed alchermes. I suoi occhi sono lineati ad arte; e rimangono immobili e stupidi: deve essere giovanissima; un’adolescente ancora. Questa adolescenza e quegli artifici di vecchia cortigiana perturbano,

alla «signorina» che «studia alla scuola normale» e «con una vocina rabbiosetta» dice alla zia di non volere imparare né a cucinare né a fare le calze: «una volta voialtre stavate tutta la vita a imparare a far da cucina; ma oggi le signorine che studiano, come dice la nostra professoressa, sanno fare di tutto» (VL p. 347), alla «giovanetta» che ancora una volta turba il professor Panzini («la sua grazia non era pareggiata che dalla sua timidezza. Soltanto la grazia dava indizio fisico della sua essenza muliebre. […] Ma quando ballava era un incanto», L p. 124). Cfr. anche le raccolte di novelle Signorine e Damigelle (e parzialmente anche Donne, madonne e bimbi) serie di ritratti femminili, e quanto Panzini scrive a proposito del misterioso fascino della Dolly (PM pp. 430-31):

pareva una di quelle pupine che si ritagliano con la carta ricamata. […] Camminava leggiera su quelle scarpettine che pareva una capretta. […] La guardava attorno con certi occhi che pareva non avesse veduto mai il mondo. Ma quando fu nella chiesuola e si lasciò cadere dalla testa un gran velo bianco, la gente la guardava per meraviglia. Assomigliava alla Madonna dell’Immacolata che sta sull’altare […]. Invece la sapeva lunga! Le labbra, rosse come la cerasola, se le faceva lei con la tinta davanti allo specchio e gli occhi più grandi se li faceva col pennello. Ci siamo cascati dentro tutti.

Con altrettanta penetrazione della psicologia femminile riproduce le critiche delle altre donne (PM pp. 437-38):

le altre signorine erano invidiose della Dolly e gliene dicevano dietro! E siccome la Dolly quando andava a fare il tuffo in mare, andava mica mezzo nuda, come vanno le altre signorine, ma tutta coperta, persino con le calze e con i guanti, così dicevano che lei faceva così per nascondere quei catenacci che aveva davanti al petto e non mostrare quei due stecchi di gambe. Dicevano anche altre cose di lei: che se andava lontana a fare il tuffo in mare, non era per il mare, ma perché c’era il suo perché,

pettegolezzi che hanno l’acredine dei commenti di Terenzia su Clodia, tanto ammirata da suo marito: «bella? Spudorata! Tutta tinta, fin le unghie! Intelligente? Ruba tutto quello che sente dira da quei poetini della malora, che si tira dietro come fanno le cagne in calore» (VL p. 598).

La conoscenza delle donne di Panzini viene riassunta in alcuni dei celebri (al loro tempo) aforismi panziniani: «come è eloquente la donna quando tace e quando canta» (L p. 132), «il pudore delle donne è un’invenzione degli uomini» (VL p. 263), «le pallide Ofelie mangiano, e qualche volta mangiano anche gli uomini vivi» (VL p. 277), «le signorine […], quando si è eleganti, guardano e guardano anche per prime!» (VL p. 305), «è sempre un disastro la donna» (FV p. 743).

Il matrimonio

Lo spirito di osservazione panziniano ha uno dei suoi oggetti preferiti nel rapporto con le donne, e nel matrimonio: già lo abbiamo visto paragonato al kara-kiri dell’amore (VL p. 280) per le tante «complicazioni» (S p. 197) che esso comporta, perchè «per noi moderni l’Amore è una cosa così complicata, così difficile, così piena di conseguenze!» (S p. 220).

Santippe è anche il romanzo della vita matrimoniale: il «tipo Santippe» non è che

l’incarnazione della moglie difficile da sopportare anche se amata, e Panzini dimostra che a volte lo sono un po’ tutte le mogli (S pp. 178-79):

chi avrebbe mai supposto che quella creatura tutta bianca, tutta pavida, tutta docile che noi orgogliosamente conducemmo, in un dì beato, in carrozza, davanti al codice del signor sindaco, si sarebbe ammalata e sarebbe diventata Santippe? […]

Le varietà del tipo Santippe sono molte; e forse non è inutile, a beneficio di quelli che non conoscono le conseguenze del viaggio davanti al codice del signor sindaco, riferire qualche onesto esempio; benché in questo, come in altre cose, la sagace natura ha provveduto alla propria salvezza facendo sì che l’uomo non potesse acquistar conoscenza se non dopo il fatto o experimentum […].

Noi siamo giunti a casa, abbiamo mangiato un boccone. La stufa era accesa, il sofà ci invitava. Noi vi ci siamo distesi per obliare in un breve chiudersi della pupilla i fastidi e le cure della mattina e quelle che ci aspettano nel dopo pranzo. […]

“Ah, con quella testa unta sul sofà! con quei piedacci sul mio voltaire! […] E quella puzza nauseabonda di pipa! Un marito non ha più nessun riguardo. Ma chi ha creato i mariti?”.

Considera poi quanti «eroi», da Eracle a Marco Aurelio, da Lutero a Tolstoi «ebbero mogli Santippe, cioè fecero un’orribile attraversata della vita. Fra gli eroi […] non ci fu che Cristo a salvarsi» (S p. 185). Ma, proprio considerando le parole di Socrate secondo cui il Dio «ha stabilito che il matrimonio fosse una specie di giogo, o tiro a due, rappresentato da un uomo e da una donna» (S p. 196), Panzini arriva alla originale conclusione che Santippe aveva tutte le ragioni per lamentarsi e che fu Socrate a sbagliare, prendendo moglie (S p. 208):

Che cosa doveva rispondere Socrate a Santippe? […]

Doveva rispondere come Gesù Cristo: “Guarda, Santippe, come crescono i gigli delle convalli. Nemmeno Salomone […] fu mai vestito come uno di questi: guarda, come si nutrono gli uccelli dell’aria”?

Ma Cristo […] non aveva figlioli né moglie che avessero fame; e in caso proprio di necessità, Cristo avrebbe operato la moltiplicazione dei pani e dei pesci. Ma a Socrate non venne mai in mente di operare miracoli […].

Perciò io non so come facciano i grandi scrittori a dire nei loro celebri volumi che Socrate “era meravigliosamente esente da bisogni personali”; e meno ancora capisco come i professori delle scuole facciano ai loro scolari tradurre in greco questa stupida proposizione: “Socrate con poche sostanze viveva contentissimo”.

No, non è proprio così, illustri e garbati signori. È un’altra faccenda; è che quando si è “dentro pieni di imagini degli Dei” come era Socrate i soldi non trovano la via per entrare; ovvero quando si è pieni di imagini degli Dei non è lecito prender moglie per continuare questa stirpe umana!,

lamenta di non avere sposato «un onesto trippaio» (S p. 235).

Anche negli altri romanzi il peso del matrimonio e della famiglia (in termini di spesa, di perdita della libertà, di necessità di sopportazione), si fa sentire, ad esempio in PM p. 414 («se io perdevo il tempo a domare mia moglie, non me ne rimaneva più per studiare»), in L p. 79 (l’«uomo felice» afferma: «mi sono sposato giovane; e non me ne pento: certe cose, se si fanno, bisogna farle presto», implicitamente ammettendo che la vita coniugale e familiare richiede un ragguardevoe dispendio di energie) o in L p. 118 (un giovane marchese sta dissipando il suo patrimonio fra «una disperata automobile» e «una vezzosa carnosa moglie, i cui nervi diffusi per l’epidermide perlacea, abbrividivano di pena se non erano al contatto di sete profumate e trine preziose»). Che il rapporto istituzionalizzato fra i due sessi interessasse il narratore, è visibile anche dai titoli di altri scritti come E se pigliassi moglie?, Sposini novelli, Io cerco moglie!

La satira contro il matrimonio si sente anche nel Dizionario, per esempio nelle vv.

George Dandin, tu l’as voulu: motto francese che si deduce dal monologo del Molière nelle sua commedia

George Dandin, in cui il protagonista […] rimprovera sè con le parole: […] Vous l’avez voulu, George Dandin, vous l’avez voulu. Era Giorgio Dandin un ricco contadino che, per aver voluto menare in moglie

una nobile donna, andò incontro a gran numero di guai, il che può accadere anche col semplice prender moglie,

Far l’amore in casa: dicono in Romagna e altrove, per essere fidanzato, cioè quando il moroso è —

infelice!— ufficialmente riconosciuto160,

Penna d’oro: costume è nelle cospicue nozze civili che il sindaco […] doni agli sposi la penna d’oro con

cui, spesso, essi aprono il paradiso, o firmano la propria sentenza di guai,

Embarquement pour Cythère: famoso quadro del Watteau […]. Si dice quando due si sposano, cioè

partono per l’isola dell’amore. Ma se anche non sono sposi, si dice lo stesso, e forse meglio.

Uno dei «guai» matrimoniali a cui Panzini allude più di frequente, nel DM (anche senza necessità, cfr. vv. Corneto Tarquinia e Cornovaglia «si presta a facile gioco scurrile di parola per la somiglianza del suono con corna») e nei romanzi, è la possibilità di un tradimento, che sempre si ipotizza da parte della moglie, cfr. vv. Corna (far le),

Essere o non essere, Far le fusa torte, Faux ménage, Minotaurizzato,

Finalmente soli: si dice per indicare la felicità dei nuovi sposi, finchè non arriva il terzo,

Autorizzazione maritale: abrogata per legge (17 luglio 1919 […]), cioè la moglie può fare atti civili senza

il consenso del marito. Il quale fa da parafùlmine, e paga i dèbiti, se vuole evitare altro pagatore,

Ménage a trois: cioè il marito, la moglie, e l’amante di costei, in buon accordo. Locuzione francese

ironica, e cosa di questo mondo. Cfr. il Parini (Il Mattino, 744) […]. Il popolo ha i suoi termini, secondo i dialetti: Becco contento, re di corona, corna d’oro, un’anca per uno, ecc,

cfr. le brevi allusioni dei romanzi: «l’arrivare in anticipo non fu mai consigliabile ai mariti che sono buoni tutori della felicità coniugale» (L p. 13), o «perchè poi nascono così diversi i figli, io non lo so; e la signora, nemmeno» (FV p. 785).

160 Una bella analisi della «graziosa ironia» che informa questa voce è in G.DEVOTO, Dizionari di ieri e di