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At Claudius, matrimonii sui ignarus et munia censoria usurpans: l’accostamento operato da Tacito tra l’ignoranza, da parte di Claudio,

Nota preliminare

1 At Claudius, matrimonii sui ignarus et munia censoria usurpans: l’accostamento operato da Tacito tra l’ignoranza, da parte di Claudio,

dell’adulterio, peraltro plateale, di Messalina (ignoranza che terminerà infra ad 11, 25, 5), e la severità e solerzia profuse nel rivestimento della carica di censore non può non ottenere un effetto ironico; a rafforzare tale impressione coopera anche il modo piuttosto rapido e cursorio in cui Tacito elenca i provvedimenti claudiani (per maggiori dettagli su tutto questo si cf. supra la nota introduttiva a 11, 11-15). Per quanto concerne l'espressione munia censoria usurpans, il principe deteneva solitamente i poteri principali degli antichi censori, ma censori veri e propri non erano stati più eletti dal 23 a.C. Probabilmente, Claudio si era fatto designare censore all’inizio dell’anno, e Tacito doveva parlarne nella parte perduta, e aveva

cominciato a rivestire effettivamente la carica dopo i ludi saeculares (supra 11, 11, 1, nota ad isdem consulibus). Anche sulla durata della censura claudiana non si hanno dati del tutto certi: normalmente la carica durava diciotto mesi (pensa a questa durata per la censura claudiana, dunque fino all'autunno 48, MOMIGLIANO

1932b, p. 87; a supporto di quest'ipotesi va anche la menzione del lustrum a 11, 25, 5), Nipperdey a cinque anni, anche se le iscrizioni non sono chiare in proposito (si veda la nota di Furneaux ad loc.) e 12, 4, 1, portato a sostegno dell'idea che i censori fossero ancora in carica nel 49, rivela, invece, con chiarezza che Vitellio si comportò da censore quamquam lecto pridem Senatu lustroque condito (12, 4, 3, LEVICK 1990, p. 216 n. 15).

Theatralem populi lasciviam severis edictis increpuit: già Tiberio aveva preso provvedimenti contro l’eccessiva libertà di giudizio e comportamento esibita dal popolo durante gli spettacoli teatrali, per cui cf. Ann. 1, 54, 2 e 77, Ann. 6, 13, ed aveva anche nel 23 espulso gli attori dall'Italia (Ann. 4, 14, 3).

Quod in Publium Pomponium consularem... probra iecerat: nei confronti di questo personaggio, Publio Calvisio Sabino Pomponio Secondo (PIR VI P 754; CIL XIII. 5201; 5237 e 11515; ECK 1985), forse nativo di Iguvium, figlio di Vistilia

(ricordata con i suoi figli da Plin. Nat. 7, 39), fratello di Corbulone e di Cesonia moglie di Caligola, questore con Claudio e suffectus nel 44, Tacito mostra una certa simpatia: in Ann. 5, 8, 2 lo storico ricorda l’odio provato nei suoi confronti da Tiberio e le accuse mossegli dopo la caduta di Seiano, accuse a cui egli, multa

morum elegantia et ingenio inlustri, riuscì a sottrarsi, e infra a 12, 28, 2 ne

menziona la brillante attività militare come legato delle legioni contro i Catti (egli fu legatus Augusti pro praetore in Germania Superiore forse da fine 48 a fine 54) e la gloria ancora maggiore ottenuta come autore di carmina, cioè drammi scenici (decretusque Pomponio triumphalis honos, modica pars famae eius apud posteros,

in quis carminum gloria praecellit; si vedano anche quanto già scritto da Tacito in Dial. 13, 3, il giudizio positivo sulla sua attività letteraria di Quint. Inst. 10, 1, 98 eorum (sc. tragoediae scriptorum) quos viderim longe princeps Pomponius Secundus, quem senes parum tragicum putabant, eruditione ac nitore praestare confitebantur, oltre a Inst. 8, 3, 31 ed alle innumerevoli testimonianze dei

125, 132, 137, 371, II 538). Plinio il vecchio gli aveva dedicato un’opera biografica, oggi perduta (si vedano Plin. Nat. 14, 56 e Plin. Epist. 3, 5), su cui si veda QUESTA 19672, pp. 232-234, che però non si pronuncia con certezza sul suo

utilizzo o meno da parte di Tacito. Della sua produzione scenica oggi restano sparuti frammenti dall'Atreus e dall'Aeneas. Interessante e significativa per il nostro passo la testimonianza di Plinio il giovane (Epist. 7, 17, 11), secondo cui Pomponio teneva in grande considerazione il giudizio popolare nella sua attività poetica. 2 Lege lata: secondo Svet. Vesp. 11 Vespasiano auctor senatui fuit decernendi... ne

filiorum familiarum faeneratoribus exigendi crediti ius umquam esset, hoc est, ne post patrum quidem mortem (forse il SC Macedonianum dei giuristi, si cf. Dig. 14,

6, 1, Cod. Just. 4, 28 e Inst. 4, 7, 7); i due provvedimenti sembrano distinti (si veda LEVICK 1990, p. 124).

Saevitiam... darent: il provvedimento claudiano era volto ad evitare che i figli ancora sottoposti alla patria potestas prendessero denaro in prestito con l’impegno a restituire la somma e i relativi interessi dopo la morte dei genitori, poiché questo poteva, per usare un eufemismo, spingerli a speculazioni; un buon provvedimento, che però Tacito enuncia senza alcun commento, portato com’è a dare una valutazione riduttiva della censura di Claudio. Per altri provvedimenti claudiani in materia di legislazione sociale, ricavabili soprattutto dai giuristi, rivelatori del desiderio dell'imperatore di tutelare le fasce più deboli della società e di mantenere l'equilibrio tra le varie componenti di quest'ultima, si vedano SCRAMUZZA 1940, pp.

42-43, LEVICK 1990, pp. 122-126. In morte<m> è correzione del recenziore P (e

dell'edizione cinquecentesca frobeniana) per il tràdito in morte ed è espressione brachilogica, da integrarsi con un participio come spectantes.

Fontes... intulit: nonostante l’accenno cursorio e un po' impreciso da parte dello storico, quest’opera fu di straordinaria importanza. Claudio completò, tra il 47 ed il 52, i lavori iniziati da Caligola nel 38 (Frontin. Aq. 13 e Svet. Cal. 21) per un acquedotto che portava l’acqua dell’Aniene dai monti Simbruini fino alla città di Roma. Le date appena riportate si evincono da un’iscrizione del 52 presso Porta Maggiore, che ricorda anche i restauri dell’acquedotto da parte di Vespasiano e Tito (CIL VI. 1256). L’opera claudiana constava di due parti, l’Anio novus e l’aqua

insieme, su due livelli sovrapposti (Svet. Claud. 20, 1); secondo Plinio (Nat. 36, 122) si trattava di un acquedotto più grande dei precedenti e costato 55, 5 milioni di sesterzi, che portava le acque ad un livello tale da raggiungere tutti i colli di Roma (cf. anche Frontin. Aq. 13-15). Su questo intervento di pubblica utilità, preceduto nel 44-46 dalla risistemazione dell'Aqua Virgo di Agrippa, si cf. LEVICK 1990, p. 111

e OSGOOD 2011, pp. 175-182; per l'atteggiamento polemico nei confronti del proprio

predecessore Gaio (arcus ductus aquae Virginis disturbatos per C. Caesarem/ a

fundamentis novos fecit ac restituit) riscontrabile nell'iscrizione commemorativa

dell'opera fatta apporre da Claudio, visibile del resto anche sulla monetazione, cf.

RAMAGE 1983, pp. 202-206.

Addidit vulgavitque: “aggiunse ed introdusse nell’uso comune”. Si cf. infra la nota introduttiva a 14.

Comperto: per l’ablativo assoluto formato dal participio perfetto passivo impersonale, cf. supra 11, 10, 2, nota a multum certato; per comperto cf. Ann. 1, 66, 2. Non trovo necessario accettare, come fa Wellesley, il comperit di alcuni recenziori.

Litteraturam: “alfabeto”; quest‘uso del termine, ad indicare le notae singularum

litterarum, è ciceroniano (cf. Part. 26).

14

L’excursus sulla storia dell’alfabeto riproduce con buona probabilità, come già più volte ricordato (supra, nota introduttiva a 11-15), materiali claudiani, mediati attraverso gli acta o provenienti direttamente dal trattato dell’imperatore sull’alfabeto (così GRIGULL 1907, pp. 26-27 e QUESTA 19672, p. 230). È, però, a mio

avviso più probabile che il materiale presente nel trattato sia stato recepito da Tacito già inglobato nel discorso con cui Claudio illustrò e giustificò il proprio provvedimento in Senato, accessibile allo storico negli acta: spia di questo l’espressione addidit vulgavitque di 11, 13, 2, che associa strettamente l’introduzione delle nuove lettere alla loro diffusione pubblica, possibile a Claudio solo in qualità di imperatore e non al momento della stesura del trattato, quand’era ancora privato cittadino (di quest'idea HAHN 1933, pp. 65-66, SYME 1967-1971, II,

esempio del metodo “antiquario” di Claudio, che parte da esempi del passato per giustificare un’innovazione nel presente: lo stesso meccanismo argomentativo anche nel celeberrimo discorso claudiano sulla concessione della possibilità, per i notabili della Gallia Comata, di ottenere cariche pubbliche in Roma infra a 11, 24. Nell’azione claudiana convergono il ricordo dell’antenato censore Appio Claudio, autore nel 312 a.C. di una riforma dell’alfabeto (per questo cf. RYAN 1993), e della

tradizione grammaticale romana (Varrone scrisse un trattato De antiquitate

litterarum, oggi in gran parte perduto). Si vedano, per un commento approfondito a

questo capitolo ed utili osservazioni su singoli dettagli, PAPKE 1986 e SCHMIDT 1994.

1 Primi... Aegypti: l’idea secondo cui i primi inventori dell’alfabeto sarebbero stati gli Egizi, con preminenza rispetto ai Fenici, si trova già in Platone, nel famoso mito di Teuth (Phdr. 274-275). Tacito attribuisce agli Egizi il primato sia nella prassi di trasporre i pensieri umani in simboli (figurae animalium, un modo un po' approssimativo di indicare i geroglifici), sia nella creazione di una scrittura fonetica (litterae, probabilmente le scritture demotica e ieratica, forme corsive di quella geroglifica, rare sui monumenti pubblici ma ben attestate dai papiri, per cui si cf. Hdt. 2, 36, 9; per la peculiarità della distinzione figurae-litterae cf. SAGE 1991, p.

3414). In questo diverge dalla tradizione seguita da Plinio (Nat. 7, 192), il quale, pur ricordando la teoria “egiziana” dell’origine dell’alfabeto, ritiene che il primo alfabeto fosse assiro.

Quia... praepollebant: l’indicativo nell’oratio obliqua serve qui a sottolineare la fattualità del dato all’interno di una breve osservazione di natura parentetica. La stessa osservazione si può fare per gli altri casi di quia + indicativo nell'oratio

obliqua all’interno dell’opera tacitiana, tutti negli Annales (Ann. 3, 6, 3; 4, 25, 1).

2 Cadmum: l’affermazione secondo cui Cadmo avrebbe portato l’arte della

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