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Potior retinendo regno: potior prende qui la costruzione di aptus e idoneus con il dativo del gerundivo (G ERBER , G REEF 1962 s.v traducono “geeigneter”); s

Nota preliminare

4 Potior retinendo regno: potior prende qui la costruzione di aptus e idoneus con il dativo del gerundivo (G ERBER , G REEF 1962 s.v traducono “geeigneter”); s

tratta dell’unico caso in cui compaia un simile costrutto.

Deditur Seleucia... anno: la rivolta dovrebbe essere quella ricordata in Ann. 6, 42, 1, iniziata nel 36 e conclusasi quindi nel 43 (sull'assedio della città intrapreso da Vardane si veda anche supra 11, 8, 3, nota a defectores); a conferma di tale data vanno la menzione di Vibio Marso come legato di Siria (infra 11, 10, 1) e quella della morte di Vardane (11, 10, 3).

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1 Invisit: “visitò, ispezionò”, per stabilirvi la propria autorità. Invisit, lezione di M e di una parte dei recenziori, è da accettarsi come lectio difficilior rispetto ad

troverebbe una conferma in quanto racconta Flavio Giuseppe (AJ 20, 72) a proposito della dichiarazione di guerra, da parte di Vardane, al territorio controllato dal feudatario Izate, re di Adiabene; tuttavia, credo si possa pensare anche ad una coincidenza casuale, ed inoltre invasit risulta meno congruente al contesto.

Ave<b>at: è lezione di Hol e B2 mg. (e proposta di Lipsius) per il tràdito habeat di

M, da accogliersi perché facilmente spiegabile dal punto di vista paleografico (si veda il TLL s.v. per la frequente confusione tra habeo e aveo nella tradizione manoscritta) e con un parallelo in Ann. 4, 71, 1 avebat animus antire. Meno buone sono, invece, le lezioni in animo habebat di L, accettato da Koestermann, e

parabat di alcuni recenziori, accolta da Wuilleumier, pur dubbiosamente, e da

Weiskopf.

Vibio Marso: uomo, secondo Tacito (Ann. 6, 47, 2) vetustis honoribus et inlustris

studiis, già consul suffectus nel 17, governatore in Africa dal 26 al 29, fu accusato

nel 37 di maiestas ma riuscì a scampare la morte e divenne legato di Siria dal 42, anno in cui sostituì P. Petronio, sino al 44 o 45 (cf. infra 12, 11, 3), quando gli successe Gaio Cassio. Subito dopo la morte di Germanico egli aveva aspirato alla carica, ma aveva dovuto cedere di fronte al concorrente Gneo Senzio (Ann. 2, 74, 1). Si veda PIR III V 388.

Paenitentia... et vocante nobilitate: si noti la variatio nella costruzione, con un ablativo di causa messo in parallelo ad un ablativo assoluto; per la variatio cf.

supra 11, 9, 1, nota a vi... Hibero exercitu campos persultante.

2 Huic contra itum: huic è lezione di alcuni recenziori, preferibile a quella di M

hinc (accettata da Furneaux, Fisher, Jackson, Goelzer), che si dovrebbe intendere

“da parte di Vardane”, ma rimarrebbe senza un correlativo (inde), secondo un uso privo di paralleli in Tacito. Per quanto concerne la costruzione cf. Ann. 14, 45, 1

sententiae Cassii... nemo unus contra ire ausus est.

Ad amnem Erinden: questo fiume non è altrimenti noto (Ryck pensò al Carinda, tra la Media e l'Ircania, menzionato da Ptol. Geog. 6, 2, 2 ed Amm. 23, 6, 40). Multum certato: si tratta di un ablativo assoluto formato dal participio perfetto passivo impersonale di certare, presente anche in Hist. 4, 16, 2 diu certato, ma non attestato prima di Tacito. In generale, lo storico si serve frequentemente di simili ablativi sia attestati in autori anteriori che di sua introduzione (e.g. infra 11, 26, 3 e

12, 7, 2 nec ultra expectato, 11, 38, 2 non distincto, 12, 17, 2 diu pensitato, Ann. 15, 14, 3 multum... disceptato), soprattutto negli Annales. Si cf. ENGHOFER 1961, pp.

67-71.

Ad flumen Sinden: questo fiume è altrimenti sconosciuto.

Quod Dahas Ariosque disterminat: per i Dai cf. supra 11, 8, 3, nota a Daharum

Hyrcanorumque. La menzione degli Arii, invece, costituisce qui un problema, in

quanto essi non erano collocati vicini ai Dai, bensì a sud ovest della Battriana; per questo Nipperdey (seguito dai commentatori e da SEIF 1973, p. 60) pensò che la

lezione fosse corrotta e celasse il nome di qualche popolo a nord o a est dei Dai, nelle regioni dell'Oxus o dello Jaxarte. Disterminare (“separare”), hapax in Tacito, è nel complesso raro, attestato per la prima volta in Cic. Arat. 94, per il resto frequente in Plinio il vecchio (cf. TLL V-1, 1518).

Ibi modus rebus secundis positus: si cf. per il concetto e l'espressione Lucan. 1, 81-82 laetis hunc numina rebus/ crescendi posuere modum, Stat. Theb. 2, 406 pone

modum laetis e 10, 333-334 secundis/ pone modum (FLETCHER 1964, p. 35).

Exstructis monimentis: non è qui necessario correggere il tràdito exstructis in

structis, come fa Andresen seguito da Heubner; si cf. infatti e.g. Ann. 15, 52, 1.

Quibus... parta: si noti la doppia reggenza di testor, da cui dipendono un accusativo ed una proposizione infinitiva, presente solo qui in Tacito.

3 Ingens gloria: questo nesso è presente solo in due passi tacitiani (questo e Germ. 37, 1). Ingens con ablativo di limitazione o causa, molto utilizzato da Tacito, è attestato nella lingua poetica a partire da Virgilio (cf. soprattutto Aen. 11, 124 fama

ingens, ingentior armis e FLETCHER 1964, p. 35), in prosa da Livio (e.g. 4, 6, 5).

Subiectis intolerantior: “intollerabile per i sudditi”. L'aggettivo intolerans è raro; non è chiaro se qui, come in Ann. 3, 45, 2 (intolerantior servitus... victis) abbia valore attivo (= impatiens), quello che di solito ha in Tacito in unione al genitivo (cf. e.g. Liv. 5, 48, 3, Tac. Hist. 4, 80, 1, Ann. 1, 31, 4 e 12, 1, 1) o valore passivo (=intolerandus, per cui si cf. Gell. 13, 8, 5 e 19, 7, 10 ʽcuris intolerantibusʼ pro

ʽintolerandisʼ, ma anche il passo solitamente trascurato di Amm. 21, 16, 17 hocque multis intolerantius videbatur); forse in questo caso il valore passivo è più adatto al

contesto (così Koestermann e Woodman e Martin nella nota ad Ann. 3, 45, 2,

comunque, senza dubbio una banalizzazione. Per il leit motiv del peggioramento del carattere dopo l'assunzione del potere si veda supra nota introduttiva a 11, 8-10. Interfecere: dall'evidenza monetaria si ricava che l'assassinio di Vardane avvenne nel 45.

Primam intra iuventam: “nel fiore della giovinezza”; il nesso intra iuventam è esclusivamente tacitiano (cf. e.g. Ann. 2, 41, 3). Iuventa è un poetismo (già in Cic.

Carm. Frg. 11, 75; cf. anche Catull. 61, 235; Hor. Carm. 1, 16, 23; Verg. Aen. 4, 32

e poeti di età imperiale) introdotto nella prosa da Livio (Liv. 1, 57, 7) e riscontrabile sporadicamente negli scrittori di età imperiale, che Tacito preferisce ad adulescentia, utilizzato una sola volta negli Annales in un contesto di discorso (ADAMS 1973, p. 137).

Claritudine paucos inter se<n>um regum: “per fama eguagliato da pochi re tra i più anziani”. Se<n>um è lezione di alcuni recenziori, mentre M e i restanti recenziori hanno inter se uni (errata la lettura di Koestermann se um); Woodman propone, invece, se<nior>um, da tenere in considerazione per il senso della frase. Per l’anastrofe della preposizione cf. supra 11, 1, 2, nota a contione in populi

Romani. Un'espressione simile a questa e.g. in Liv. 22, 7, 1 inter paucas... memorata... clades, Tac. Ann. 16, 18, 2 inter paucos familiarium Neroni adsumptus est. Per quanto riguarda il sostantivo claritudo, la cui accezione propria

(“chiarezza, splendore”) sembra apparire dopo quella traslata (“visibilità, fama”), e che pare differenziarsi dal sinonimo claritas su base stilistica più che semantica (le prime attestazioni in Cato Orig. 63 e 83 e nella storiografia arcaizzante, Sisenna

Hist. 49, Sall. Jug. 2, 4 e 7, 4), Tacito se ne serve in misura crescente (pressoché

sempre con il valore traslato), a spese di claritas, dalle opere minori agli Annales. Si cf. SBLENDORIO CUGUSI 1991, pp. 85-89.

4 Inter ambiguos, quis in regnum acciperetur: “poiché vi era incertezza, su chi far salire al trono”. La costruzione di ambiguus con interrogativa indiretta è attestata, prima di Tacito, solo in Val. Max. 5, 10, 2 e Mela 3, 44; in Tacito è piuttosto frequente (cf. e.g. Ann. 3, 15, 1 e 15, 38, 6).

Meherdaten prolem Phraatis: Meerdate (PIR V M 443) era figlio di Vonone (Ann. 2, 1, 2) e nipote di Fraate (Ann. 12, 10, 1). Il sostantivo proles, che in questo caso significa genericamente “discendente” (per altri esempi, cf. TLL X-2, fasc.

VII, 1821, 16-36 e infra 12, 18, 2 prole magni Achaemenis) ha coloritura arcaica e poetica (Cic. De or. 3, 154; Quint. Inst. 8, 3, 26), ma è ben attestato nella prosa storiografica precedente a Tacito, in Sallustio e Livio (KUNTZ 1962, pp. 95-96).

Obsidio: “in qualità di ostaggio”; questo astratto per il concreto è hapax assoluto. FLETCHER 1983, p. 313 cita anche Val. Max. 3, 2, 2 obsidio... se soluit, ma il

parallelo non è, a mio avviso, del tutto calzante ed inoltre la lezione è congetturale. Potitusque regiam: potitus di alcuni recenziori è senz’altro giusto a fronte della lezione di M positus. Ma a rerum di L, accolto dal solo Koestermann, è preferibile

regiam di M, accettato da Furneaux, Fisher, Jackson, Goelzer, Heubner ed

approvato da Koestermann nel commento e da Wuilleumier (che pure come Weiskopf e Wellesley pone a testo regia di una parte dei recenziori), in quanto

lectio difficilior; quello di L può essere, infatti, un intervento congetturale

banalizzante generato dalla frequenza in Tacito del nesso rerum potiri. Potior con l’accusativo si trova solo qui in Tacito, e si qualifica come costruzione arcaizzante, essendo attestata nei poeti arcaici (cf. TLL X-2, fasc. 3, 334, 48-58) e in Lucrezio (2, 653; 3, 1038; 4, 761).

Per saevitiam ac luxum: per questo tema si veda supra nota introduttiva a 11, 8- 10.

Adegit... orabant: la richiesta fu più volte avanzata dai Parti, che sotto Augusto ottennero da Roma Vonone (Ann. 2, 1, 2), sotto Tiberio Tiridate, in sostituzione di Fraate da loro chiesto inizialmente ma morto nel frattempo (Ann. 6, 31, 2-32), ed altresì dai Germani (infra 11, 16, 1); si aggiunga infine Tigrane, posto da Nerone sul trono d'Armenia (Ann. 14, 26, 1-2). Per quanto riguarda Meerdate, il racconto prosegue infra a 12, 10. In tutti i casi, secondo uno schema insistentemente ripetuto da Tacito, il nuovo sovrano non viene poi accettato dal suo popolo proprio per l'estraneità culturale determinata dall'educazione romana, o meglio per l'“ambiguità culturale” generata dal sovrapporsi, secondo un processo cumulativo e non di armonica integrazione, di caratteri romani a quelli barbari preesistenti (un ottimo esempio di questo fenomeno, Italico, sarà descritto infra a 11, 16, 2; sul tema in generale cf. DAUGE 1981, p. 263 e GOWING 1990).

Patrium ad fastigium: Tacito si era già servito di un’analoga espressione (paternum ad fastigium), sempre a proposito delle lotte di potere tra i Parti, in Ann.

6, 32, 1. 11-15

In questa sezione Tacito si occupa dei provvedimenti presi da Claudio durante il rivestimento della carica di censore, che non veniva più ricoperta dal 23 a.C., ma che Claudio riprese, per proseguire e valorizzare l’opera di Augusto, a partire da dopo la celebrazione dei ludi saeculares nell'Aprile 47 (cf. per maggiori dettagli sulla cronologia infra 11, 13, 1, nota ad at Claudius, matrimonii sui ignarus et

munia censoria usurpans; sulla censura in generale SCRAMUZZA 1940, p. 116 e SEIF

1973, pp. 73-84; LEVICK 1990, pp. 98-100, per quanto riguarda il prestigio che

questa carica portava e l'affermazione della sicurezza di sé da parte dell'imperatore nel rivestirla; per l'influsso, sui provvedimenti presi da Claudio censore, del possibile modello dell'antenato Appio Claudio Cieco, console nel 312 a.C., cf. RYAN

1993). Tacito menziona, tra i provvedimenti claudiani, le limitazioni alla sfrenatezza del pubblico durante gli spettacoli teatrali e all’avidità dei creditori (11, 13, 1-2), il completamento dell'acquedotto che portava a Roma l'acqua dai colli Simbruini (11, 13, 2), la riforma dell’alfabeto tramite l’introduzione di tre nuove lettere (11, 13, 2-14), il ripristino del collegio degli auguri (11, 15), l'integrazione in Senato dei notabili della Gallia Comata, l'ampliamento del patriziato e l'espulsione dal Senato dei famosi probris, il censimento (11, 23-25). L’elenco dei provvedimenti riportato da Tacito è ristretto (per una trattazione più ampia dell'attività di Claudio censore si cf. OSGOOD 2011, pp. 154-167), ma funzionale al

giudizio che Tacito vuole dare della censura di Claudio e dell’imperatore in generale: quella di un uomo ignaro di quanto di grave succede attorno a lui e dedito ad occupazioni in fin dei conti di scarsa rilevanza (DEVILLERS 1994, p. 66). Ciò è

evidente soprattutto dal “montaggio” del racconto in questa sezione: Tacito al cap. 12 inserisce notizie sull’ascesa di Agrippina e Nerone e soprattutto sul furore di Messalina, che intreccia apertamente una relazione adulterina con Silio, tutte spie significative del futuro di cui, però, Claudio è definito ignarus (11, 13, 1); anzi, vi è un chiaro intento ironico nell’accostamento del comportamento di Messalina e dei provvedimenti di pubblica moralità presi da Claudio censore (su questo WILLE

“rivoluzionario”, generalmente misconosciuto dalle fonti antiche (si veda DEMOUGIN

1994, pp. 18-20). Un altro aspetto importante di questa sezione è la comparsa della prima delle digressioni antiquarie che costellano la narrazione tacitiana del principato di Claudio (all’interno dei libri claudiani sono presenti anche digressioni sulla questura, 11, 22, 2-6, sul patriziato, 11, 25, 2, sul Pomerio, 12, 24, sull’ordine equestre, 12, 60, 3-4, su Bisanzio, 12, 63). La funzione e l’origine di queste digressioni sono state oggetto di dibattito. L’idea di SYME 1967-1971, I, pp. 409-410

e II, pp. 925-928 (App. 40) è che esse servissero, negli Annales, a tener vivo il ricordo della res publica e a far conoscere la conformità dell’autore alla tradizione e alla tecnica degli antichi annalisti; quest'ipotesi è condivisibile, essendo tutta l’opera tacitiana (in particolare gli Annales) animata dalla tensione tra analisi del presente “autoritario” e confronto con il passato repubblicano. Tuttavia, nel caso delle digressioni claudiane la questione della funzione si intreccia strettamente a quella dell'origine, che è alquanto complessa. L’opinione che gode di maggior seguito, e in effetti la più condivisibile, è che il materiale delle digressioni derivi dagli acta (HAHN 1933 con alcuni distinguo, perplessi TOWNEND 1962 e SAGE 1991,

p. 3410 ss.), contenenti materiali claudiani (di questa opinione soprattutto SYME

1967-1971, I, p. 409 e App. 40, che pensa ad orazioni claudiane conservate negli

acta). Un’altra possibilità è la derivazione diretta dalle opere erudite di Claudio (su

cui cf. BARDON 1968, HUZAR 1984 e BRIQUEL 1988a), per la conoscenza delle quali la

fonte più importante è la biografia svetoniana. Secondo Svetonio (Claud. 41-42) Claudio, cultore tanto della lingua latina che di quella greca, sarebbe stato autore di opere storiche e grammaticali. Nella prima categoria si annoverano un’opera storica in latino di 43 libri, 2 sul periodo immediatamente posteriore alla morte di Cesare, 41 a pace civili (il principato di Augusto), di un’autobiografia in 8 libri, di una Storia dei Tirreni in 20 libri e di una Storia dei Cartaginesi in 8, entrambe in lingua greca. Nella seconda categoria, invece, sono da inserirsi un trattato sull’alfabeto, uno sul gioco dei dadi (Svet. Claud. 33, 2) e una difesa di Cicerone contro l’attacco rivoltogli da Asinio Gallo, che aveva preferito all’arpinate il proprio padre Asinio Pollione, su base stilistica secondo quanto si apprende da Gellio (17, 1, 1). Purtroppo, in assenza di frammenti significativi di queste opere, e nell’impossibilità di conoscerne la diffusione e la popolarità al tempo di Tacito,

l’ipotesi succitata rimane inverificabile.

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1 Isdem consulibus: si tratta di Claudio e Vitellio, che dopo i ludi saeculares

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