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An parum quod: questa movenza ricorda quella che si trova nel discorso di opposizione dei nobiles a Canuleio in Liv 4, 2, 7 parum id videri quod Sul

Nota preliminare

P. Dolabella: questo personaggio era già ricordato in Ann 3, 47, 3 per la sua gottesca adulazione nei confronti di Tiberio (solus Dolabella Cornelius

3 An parum quod: questa movenza ricorda quella che si trova nel discorso di opposizione dei nobiles a Canuleio in Liv 4, 2, 7 parum id videri quod Sul

rapporto tra Claudio, Tacito ed il passo liviano vedi supra, nota a paenitere. Veneti et Insubres: si tratta di popolazioni abitanti le zone intorno a Padova e Milano, dunque nella Gallia Transpadana, a cui Cesare nel 49 a.C. aveva concesso la cittadinanza (D.C. 41, 36, 3).

Coetu... inferatur?: è, a mio avviso, necessario emendare la lezione tràdita concordemente dai codici coetus in coetu (la correzione, proposta da Ritter, è accolta da Jackson, Heubner, Wellesley, De Vivo). Con coetus la frase è stata intesa “senza che (nella curia) venga introdotta una turba di stranieri, per così dire una massa di prigionieri”, come fanno Koestermann, Benario e il TLL III, 369, 4 ss. (che pure accetta coetu), dando a captivitas valore concreto, ma lo storico non impiega mai il vocabolo in questa accezione diffusa invece nella latinità cristiana, ed inoltre il senso generale del discorso è che il Senato verrà ridotto in schiavitù dalla turba di stranieri; oppure captivitas è stato inteso nel senso proprio di "schiavitù", o meglio "condizione di un luogo ridotto in schiavitù" (Furneaux), come apposizione di coetus, presupponendo a mio avviso una costruzione troppo dura (cf. anche ERIKSSON 1934, pp. 124-125). Per questo è meglio correggere coetus

in coetu, intendendo "senza che (nella curia) venga portata la schiavitù da una turba di stranieri". LAST, OGILVIE 1958, p. 481, invece, propongono, sulla scia di Heinsius,

di emendare captivitas in captae civitati sulla base di Liv. 6, 38, 7; Woodman accoglie la congettura di Haase coetus... velut capt<a sit c>ivitas. In generale, il concetto espresso dai detrattori del provvedimento claudiano risente del modello liviano del discorso di Canuleio, che afferma et perinde hoc valet, plebeiusne

consul fiat, tamquam servum aut libertinum aliquis consulem futurum dicat? (Liv.

4, 3, 7; per altri casi cf. supra note a paenitere e a parum quod).

Alienigenarum: notevole la presenza del termine nel discorso di Claudio a 11, 24, 4 e infra a 12, 14, 3 come insulto di Gotarze a Meerdate. Esso si trova spesso in Livio (e.g. 30, 12, 15 e 39, 3, 6).

nel discorso di Claudio a 11, 24, 6, sotto forma di auspicio, da parte dell'imperatore, che i Galli condividano le proprie ricchezze con i Romani dopo l'acquisizione della cittadinanza (aurum et opes suas inferant potius quam separati habeant). Per maggiori dettagli, cf. infra 11, 24, 6, nota a iam... habeant. Il verbo opplere ricorre, in senso traslato con connotazione negativa, anche in Hist. 2, 94, 3. Per quanto concerne il successivo riferimento alle azioni ostili dei Galli nei confronti dei Romani, in particolare quello all'assedio di Alesia, è probabile che Tacito l'abbia desunto dal discorso claudiano conservato dalla tavola di Lione, elaborandolo poi secondo la propria sensibilità (II, 31-32 bello per decem annos exercuerunt Divom

Iulium).

Quid si memoria eorum oreretur, qui <sub> Capitolio et ar<c>e Romana manibus eorundem prostrati s<int>?: il riferimento sembra essere alla presa di Roma da parte dei Galli Senoni nel 390 a.C., di cui parla Livio (5, 37 ss.) e a cui pare riferirsi l'imperatore stesso a 11, 24, 5 (cum Senonibus pugnavimus... capti a

Gallis sumus), ma il testo di M è seriamente corrotto (quid si memoriam eorum moreretur qui Capitolio et ara Romana manibus eorundem per se satis) ed è stato

variamente emendato. Moreretur è mantenuto da Fisher, Furneaux, Goelzer, Wellesley, ma è senz’altro preferibile per il senso complessivo della frase correggere con Bach e i restanti editori in oreretur; la correzione qui <sub>

Capitolio et ar<c>e Romana (<sub> recc., Dräger; arce Acidalius, da intendersi

come endiadi) è senz'altro la migliore ed accolta da pressoché tutti gli editori, con l’eccezione di Heubner, che opta per <in> Capitolio, pure da tenere in considerazione su base paleografica, Jackson, che adotta la correzione di Heinsius, accolta già da Nipperdey, qui Capitolio et arce Romana manibias deorum deripere

conati sint (annotando però “the passage is hopeless”), Wellesley, che emenda in qui Capitolium infra manibus eorundem perissent? Id enim per se satis (da

ricordare, infine, la proposta di SKUTSCH 1978 <capto> Capitolio, guardata con

favore da HORSFALL 1981, p. 302 e Benario, e che presupporrebbe un riferimento

tacitiano alla linea tradizionale secondo cui anche il Campidoglio fu preso dai Galli, e quella di Woodman, qui Capitolio et arce Romana manibus eorundem

stratis perissent). Il per se satis finale è stato, invece, oggetto di molteplici tentativi

Wuilleumier ed Heubner, prostrati s<int>, poiché il verbo prosternere è impiegato spesso dallo storico (e.g. Hist. 3, 27, 3). Le altre proposte presentano, invece, alcune debolezze: perissent satis di Furneaux, Fisher, Goelzer è sì abbastanza vicina paleograficamente al testo del Mediceo e alla lezione di alcuni recenziori

perisse satis, ma genera un nesso inusuale e prevede oltretutto una posizione di satis che non rispecchia l'usus tacitiano (SKUTSCH 1978, infatti, propone il solo perissent); per<is>sent <pro>strati di Koestermann (cf. anche DE VIVO 1980, p.

46 e QUESTA 1998, p. 100) è forse ridondante.

Fruerentur... vulgarent: sul valore eminentemente civile, non tanto politico, della cittadinanza concessa dai Romani- si contava politicamente, infatti, solo se si era ricchi-, a differenza di quanto accadeva in Grecia, si veda GAUTHIER 1974. Il verbo vulgarent, il cui soggetto è da intendersi i primores della Gallia Comata, è

ambiguo, potendo significare “rendere pubblico” o “svilire”; DE VIVO 1980, p. 47

segnala che un'analoga ambiguità semantica è posseduta dal verbo anche in Liv. 4, 1, 3 e 2, 6, dove i senatori esprimono il proprio disprezzo per i plebei.

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1 Et statim contra disseruit: s'intende in sede di consilium. Cf. l'incipit del

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